La vita è esperienza, cioè improvvisazione, utilizzazione delle occasioni; la vita è tentativo in tutti i sensi. Donde il fatto, a un tempo imponente e assai spesso misconosciuto, delle mostruosità che la vita ammette
Georges Canguilhem



giovedì 24 dicembre 2009

Auguri, con una riflessione

La Notte del Santo Natale che sta per iniziare può suggerire alcune considerazioni. Il valore della festa non si esaurisce nelle file infinite dei centri commerciali, negli odori invadenti delle cucine, nell'incenso amaro delle cattedrali. Non può essere mistificato dal sorriso perbenista che magari può far scivolare eccezionalmente un obolo di compassione nelle mani nere del mendicante. Perchè vale l'adagio secondo il quale a Natale son tutti più buoni. Non si riflette nei prosit, nei baci scambiati con gente che ognuno di noi si sognerebbe di baciare in qualsiasi altro momento dell'anno o nelle sinfonie di sempre ripetitive fino alla rivolta della coscienza. Centinaia di filmetti e ricordi di interminabili sere d'infanzia ci hanno ormai assuefatti alla monotonia delle emozioni e alla pigrizia del cuore. Recitiamo parti di un copione che conosciamo da sempre a memoria . L'autentico spirito cristiano non coincide sempre con i pregiudizi propagati dalla Chiesa Romana o con le gesta di quei personaggi illustri ed esimi che ostentano la loro professione di culto soltanto per tutelare determinate relazioni altolocate ed apparire come le anime pie, devote, timorate del Signore. E' incompatibile con il regime commerciale del supermarket della fede. In queste ore un pensiero va dedicato a quanti sono lasciati in penombra dalle luminarie accecanti, distanziati dal proscenio delle canzoncine intonate da voci angeliche. Il Natale è la maledizione degli emarginati. Tante anime oscure in queste ore stanno soffrendo più del solito e del dovuto. Chi ulula in una struttura psichiatrica avvolta dalla nebbia, chi dorme negli scompartimenti delle metropolitane o in un'auto abbandonata da sempre davanti alla Stazione Centrale, chi cerca riparo sotto i cavalcavia della tangenziale, chi passeggia per i corridoi anonimi della propria piccola dimora implorando l'orologio di terminare in fretta i propri giri, chi piange senza conforto. RitrattI di solitari per scelta o nemesi, depressi, angosciati, emarginati, diseredati, emarginati, clandestini, apolidi, falliti d'ogni genere e condizione, internati e reclusi. In questi giorni provano ancor di più il senso della loro vacua leggerezza esistenziale. Gente che non indide nulla. La società dei consumi non li considera, non può considerarli, dal momento che la loro esistenza basta a provare inconfutabilmente un inesorabile fallimento sociale. Il mondo capitalistico non è il migliore dei mondi possibili, forse è il peggiore. Non esistono. Non possono nè devono esistere. Le attenzioni del potere entrano nei ristoranti esclusivi, nei santuari consacrati a Nostra Signora dell'Ipocrisia, nei salotti scintillanti degli amici che contano. Nausea, nausea, nausea....!!! Lasciateci respirare!!! Nisgusto infernale, . . . come se si fosse inghiottito fango e . . . Nessuno può mostrare o svalare le regioni e la ragioni del sottosuolo, ciò che le vetrine addobbate dei negozi dei corsi principali non osano neppure riflettere. Sono ombre notturne, simulacri di foschia onirica, l'incubo di diventare qualcuno o qualcosa del genere. E' sufficiente dedicargli un pensiero per elevare il senso autentico della morale cristiana, checchè predichino i preti domani. Se fosse con noi, Cristo trascorrerebbe con loro il suo compleanno nella notte che sta per iniziare.

***
Lacrime lacrime non c'è ne mai abbastanza
quando vien su la scoglionatura,
inutile dire cuore mio spaccati a mezzo come un uovo
e manda via il vischioso male
quando ti prende lei la bestia non c'è da fare proprio nulla
solo stare ad aspettare un giorno appresso all'altro.
E quando viene comincia ad attaccarti la bassa pancia,
quindi sale su allo stomaco e lo agita in tremolio di frullatore
e poi diventa ansia che è come un sospiro trattenuto
che dice vengo su eppoi non viene mai.

La citazione è tratta da Altri libertini (1980) di Pier Vittorio Tondelli. Si tratta di un passo che amo alla follia; spesso lo richiamo quando ho l'umore in cantina. La bestia di Tondelli è la depressione giovanile. Lo stato depressivo può valicare il limite patologico della pena individuale per assumere connotazioni sociali, delle quali sono portatori latenti proprio le sentinelle notturne, gli alienati della Notte Santa, una notte come infinite altre monotone notti per loro. Notti di rabbia e di stelle. Notti di pianto e di urlo. Notti di tanfo e di pena. Notti di gelo e di mare. Notti di morte. Nelson Algren ha scritto (con buona ragione!): "I politici e gli intellettuali mi annoiano, mi sembrano irreali; la gente che frequento è quella che mi pare vera: puttane, drogati, ladri, gli unici rimasti con qualcosa da dire e nessuno a cui dirlo". Auguri libertari a tutti, . . .

venerdì 18 dicembre 2009

Contro l'ipocrisia telematica
Facebook è senza dubbio uno dei fenomeni sociali del momento. Tutto lascia intendere che non rappresenti una moda passeggera, un passatempo che alla lunga possa stancare. Per questa ragione, può essere inteso come un fenomeno sociologico ed antropologico. Qualcosa da non sottovalutare o minimizzare, dicendo magari: "Son cose da ragazzi!". Decine di conoscenti ed amici non si stancano di ripetermi: "Quando ti decidi a registrarti? E' da un po' che cerco di chiederti l'amicizia...". Chiedermi l'amicizia? Il più nobile sentimento morale dell'uomo viene ridotto a questioni di click e, così, inesorabilmente deformato. E' un dato di fatto che in seguito alle cocenti disillusioni degli anni '60 e '70 la possibilità di coltivare sogni collettivi si sia progressivamente estinta, lasciando il passo ad uno sfrenato individualismo, svuotato di ogni contenuto etico ed altruistico e connotato, piuttosto, dall'esaltazione delle apparenze e di fantastici gusci che includono - nel migliore dei casi - marciume nauseante. Le utopie sono state sostituite da un faccione ritoccato o dalla ricercata esposizione di tette, petti, ect. Tempo fa mi è capitato di sentire sulla metropolitana una ragazzina che si vantava di avere 437 amici. Non so cosa mi ha trattenuto dal dirle: "Senti belloccia, mi dici quale dei 437 amici verrà a soccorrerti durante la prossima crisi isterica?". Se avesse pubblicato una foto "normale", quanti sconosciuti le avrebbero richiesto l'amicizia? Proprio così. Non reggono affatto le giustificazioni ripetute all'infinito dagli internauti più pudichi che mostrano (almeno si spera...) la faccia: "Ho un'amica in Nuova Zelanda e quindi mi conviene", oppure "C'è mio cugino alle Antille e così lo posso sempre sentire", anche se la più fantasmagorica è: "Lo faccio per non perdere di vista gli amichetti delle elementari...". Con le frenesie della vita quotidiana, incerta e precaria, vorrei che qualcuno mi spiegasse per quale ragione dovrei includere nel mio spettro visivo sconosciuti che non vedo dal 1996 e che ovviamente non sanno neppure chi fossi o che, nel caso in cui si ricordassero vagamente di me, non avrebbero alcun interesse a sapere se riesco o meno a sopravvivere. Che vinca il Nobel o che venga travolto domattina dal primo Tir fa lo stesso. Facebook non è ovviamente un gioco da ragazzi: con sconcerto ho scoperto che anche docenti universitari insospettabili consumano i loro pomeriggi nel circolo delle possibilità infinite. Ad ogni modo, è arrivato il momento di tentare di comprendere le ragioni di tanta fortuna. Sono varie. Anzitutto, Facebook è una finzione condivisa che induce l'utente ad autoingannarsi: si convince di non essere solo al mondo e di avere ad un passo dalla tastiera un esercito di anime pie pronte a mobilitarsi, se fosse necessario. In secondo luogo, si tratta di un autentico bordello: il carattere più o meno esplicito della fotografia è un fedele indicatore del grado di disponibilità sessuale della tipa o del tipo che si intende sedurre e poi, il giorno dopo, "bloccare" e quindi dimenticare. La terza ragione si lega, invece, alla possibilità di allestire una vetrina personale di autopromozione con la quale vendersi al miglior acquirente; l'oggetto della promozione è quasi sempre più scadente rispetto alle sue apparenze. La regola non scritta di Facebook è nella massima: fai in modo di apparire più bello, più bravo, più seducente di quanto tu non sia o possa lontanamente sperare di essere. Si tratta di un principio che sta corrompendo un'intera generazione di teenagers, rincitrullendo schiere di quarantenni senza speranze e di cinquantenni focosi. Facebook è l'elogio della dissimulazione come unica pratica di vita possibile nella giungla postmoderna. Questo è davvero il tempo dei saldi di fine stagione. Sulla base dell'argomentazione sostenuta è lecito sostenere che Facebook sia il più comodo rifugio degli sfigati, siano essi di destra o sinistra, eterosessuali o omosessuali, intelligenti o idioti da bar sport.
La carriòla

Cianfrusaglie...


Ma no, no! perché continuare a rivangare sull’episodio di domenica…no, basta così. Insistere sull’argomento anche in questo contesto significherebbe cedere alla sagra delle ovvietà. Come sarebbe, cosa intendo dire? Semplicemente che cadrei nel luogo comune delle banalità se decidessi di indirizzare anche la mia malconcia carriola verso il sentiero già battuto e lastricato ben bene dell’attentato casereccio di Piazza del Duomo. Già il Duomo…
Basta commentare le scene dell’aggressione mille e una volta proposte dalla televisione, dalla carta stampata e dall’immancabile plastico da salotto che Vespa costruisce nel momento esatto in cui gli comunicano l’ennesima notizia di cronaca (nera).
Come dici, basta violenza? Be’, sono d’accordo. Anche perché se non t’allontani all’istante credo che mi metterò ad urlare per un attacco di bile!
Caro lettore (per pessimismo cronico credo sempre di rivolgermi ad un pubblico ristretto. Immagino che a parte Francesco e Marta, sarà sicuramente poco numeroso il mio parterre d’ascoltatori), dunque… caro lettore, perdona l’incomprensibile dialogo che m’ha rubato il prologo di questo nuovo, fulminato articolo. Come sempre e nei momenti meno opportuni salta fuori quella povera vecchia pazza di casa che osa chiamarsi coscienza. Intendeva suggerirmi un discorsetto sugli ultimi avvenimenti che c’hanno tempestato timpani e retine oculari, ma io, non avendo alcuna intenzione di battibeccare su quest’assurda vicenda, procedo per conto mio senza fornire opinione al riguardo. Già mi pare si sia scatenato un inferno sulla fantasia psicolabile di un folle dalle tasche colme di souvenir e in proposito qualcuno ha proposto il seguente aforisma: “Nel Vangelo c’è scritto: ‘Chi non ha peccato, scagli la prima pietra’. Il pazzo, credendo d’essere savio ha condannato l’adultero”. Ma ora, prego, non andiamo oltre. Restando, però, in tema di violenze verbali da diradare, lasciatemi ancora uno spazietto, un angolino contenuto dove – lontana dalle grinfie di sua Perfezione la Coscienza – poter urlare tutto il mio barbarico imbestialimento contro un deficiente che crede di essere uno scrittore. Se non ricordo male la settimana scorsa a conclusione dell’articolo, vi consigliavo di mettere sotto l’albero di Natale un buon libro che aprisse la mente a nuovi mondi e a nuove scoperte. Be’, sottolineo buon libro. Dove voglio arrivare? Oh, semplicemente a SCONSIGLIARVI l’acquisto di un romanzo squallido e senza spessore (a parte il numero delle pagine) che ha per titolo: ‘La cattedrale del mare’. Flaccido, nojoso, senza alcun mordente, alla novantesima pagina decido di lasciarlo marcire nel dimenticatoio in attesa del suo prossimo trasloco verso le pareti incandescenti di un bel focolare. Ah, ecco il mio attentato dicembrino! E ho pure letto che qualche lettore dell’immondo romanzo, stimandolo oltre misura, lo ha posto sullo stesso piano de Il nome della rosa di Umberto Eco! SACRILEGIO! (Chi ha letto le avventure di Adso e di Fra Guglielmo sa cosa intendo).
Uh, no-no. Sta per risalirmi sul volto il colore giallognolo della bile, e col bianco pallido che mi contraddistingue non sposa affatto bene…
Mio caro empiastro d’un Ildefonso Falcones (tale l’autore del flagello letterario) ti consiglierei vivamente di continuare con quell’altra attività che forse ti si addice meglio, l’avvocatura. Solo, temo che anche le tue arringhe presentino lo stesso tepore flaccido delle invenzioni fatali ricamate a mo’ di perdita di tempo negli spazi vuoti a lato dei tuoi testi di diritto. Lascia il mestiere di scrittore agli scrittori veri, non tentare la fortuna, potrebbe caderti una tegola della cattedrale sulla testa.
Io, per riprendermi dallo shock causatomi dal tuo romanzo, ho deciso di tuffarmi nel mondo incantato di un altro spagnolo (scrittore autentico, stavolta) e del suo caro figlioccio che, mosso da amore verso il prossimo, affronta i mulini a vento e si batte in singolar tenzone per salvare l’onore della sua donzella Dulcinea del Toboso!
Ora vago per le strade della Mancia con Don Chisciotte e il suo scudiero Sancio Panza, i miei prodi cavalieri che m’hanno salvata dalla follia imperitura di un Ildefonso qualunque. Che il diavolo ti porti senza dimenticare per strada quell’altro genio di Dan Brown! Tutt’e due avreste bisogno di leggere qualche libro serio prima di decidere di pubblicarne uno dall’elevata incapacità letteraria.

domenica 13 dicembre 2009

Qualcuno stacchi la spina Capezzone, Gasparri e le altre cicale asservite e pagate ad ore avranno un gran lavoro nei prossimi giorni. Certamente saranno agevolati dai montaggi dei TG più seguiti. Ad ogni modo, avranno il compito di farlo passare per un redivivo Cristo flagellato ed agonizzante, per conquistare magari la compassione di qualche vecchietto che non è ancora caduto nella trappola del TG4. Altri portavoce e portaborse dovranno invece ridurre quanto è successo qualche ora fa agli effetti dell'azione di uno squilibrato, di un nevrotico turbato dalla vigorosa violenza verbale delle sinistre marxiste, dai proclami terroristici di Di Pietro e dalla caccia allo stregone mobilitata da toghe sempre prevenute. Le cose non stanno così. Per averne una prova è sufficiente leggere i siti dei più autorevoli quotidiani internazionali. Le piazze iniziano a svegliarsi. Mentre il principale partito d'opposizione continua ad essere immerso in un sonno profondo ed infinito, in uno stato crepuscolare permanente, alcuni cittadini iniziano a capire e ad agire. Non mi riferisco all'uomo che lo ha colpito. Penso piuttosto all'Onda viola del No Berlusconi Day e a quanti lo contestavano pacificamente a Milano. Le azioni violente sono ingiustificabili ed inutili. Lo rafforzerebbero, allungando le speranze di sopravvivenza del suo governo di farabutti e contadinotti leghisti. Bisogna contestarlo nel pieno rispetto della legalità: urlando affinchè finalmente cada il sipario, mentre il teatro crolla.

sabato 12 dicembre 2009


Senta Casini . . .

La notizia del giorno coincide con la sua apertura rispetto alla possibilità che si costituisca un nuovo Fronte Popolare per la democrazia, un esercito invincibile degli oppositori contro Berlusconi e i suoi cani scodinzolanti ed asserviti. Non trova che la sua proposta sia piuttosto irrituale, considerati lo scudo crociato che si onora ancora di conservare e il suo passato, onorevole, di alleato storico del Grande Imbroglione? Non ricorda le vicende degli ultimi anni? Quando lei era un alleato dei berlusconiani, non sosteneva che l'Unione di centrosinistra fosse un'accozzaglia confusa tenuta insieme dal solo collante dell'antiberlusconismo? Adesso il Partito Democratico appare il partito meno antiberlusconiano fra le forze di opposizione. E lei, cosa fa? Si inventa garibaldino? Piuttosto che giocare, abbia il coraggio di dirci a cosa mira, sfruttando abilmente il torpore vegetativo di Bersani & C. e il malcontento degli Italiani che non sono stati plagiati dal TG1 dell'impresentabile Minzolini . . .

venerdì 11 dicembre 2009

Pieghe libertarie, un anno dopo
Non avendo proprio nulla di meglio da fare, il 12 dicembre 2008 mi venne la bizzarra idea di creare un account su Blogger. In realtà, era da un po' di tempo che mi frullava in testa l'idea di creare uno spazio virtuale di interazioni, confronti, scambi di opinioni. Un forum, dunque. Sulla conformazione che il blog avrebbe dovuto assumere avevo le idee piuttosto chiare: non doveva essere limitato dalla trattazione esclusiva di tematiche filosofiche e non doveva essere per nessuna ragione personale, autoreferenziale. Per intenderci, non avevo alcuna intenzione di allestire una vetrina di autopromozione. C'è chi lo fa. Io credo che sia un'espressione di prostituzione intellettuale. Per questa ragione, mi sono presto preoccupato di imbarcare sulla stultifera navis delle pieghe libere del pensiero persone pensanti con le quali condividere un percorso di comprensione comune dei decorsi problematici declinati dalla nostra epoca incerta e maledettamente precaria. Gli anniversari richiedono bilanci. Non ho alcuna intenzione di farne. Credo che ne sia valsa la pena. Mi attengo ai fatti: in 364 giorni sono stati pubblicati 155 post. Il blog non ha mai vegetato e non è andato mai in vacanza. Che l'avventura continui pure, allora (se voi, carissimi amici, la pensate come me...).
La carriòla

La fragilità del verbo


Oggi La carriòla avverte la necessità di portare a vostra conoscenza un articolo-inchiesta pubblicato qualche giorno fa su di un quotidiano nazionale. Evitate eccessi d’ira e faccette da annoiati impenitenti… Lo so, siamo alle solite. Ditemi pure che io ho una vera mania, una traboccante ossessione da folle maniaco. Ditemi che ho superato la misura e che non ne potete più di sentir parlare (ops, leggere) di argomenti di tal fatta. Potrei anche darvi ragione, ma il quadro della situazione è davvero imbarazzante e, oserei dire, catastrofico. Insomma, non avete ancora capito? Be’, non avete tutti i torti: non è mica facile districare un discorso del genere. Comunque, bando alle ciance e affrontiamo l’argomento senza perdere un minuto di più. L’articolo riguarda l’uso s-corretto della grammatica italiana, o per meglio dire, l’uso sconosciuto della grammatica italiana. Non ritengo sbagliato considerare uno degli obiettivi de La carriòla il promuovere, assecondare e incentivare l’idea di dedicarsi, ogni tanto, alla lettura di un buon libro.
Ma ecco a voi l’articolo in questione.

Io cossi tu cuocesti egli cosse: cos'è 'sta roba? Piccolo esame di verbi: "Se io sarebbe più abile, tu mi affiderai una squadra". Ma anche: "Se tu saresti più alto, potessi giocare a pallacanestro". Nel cimitero dove giacciono, insepolte, sintassi e ortografia, accenti e apostrofi si confondono in un'unica insalata nizzarda di parole: "Non so qual'è la prima qualità di un'uomo". E tutto questo accade, si legge, si scrive all'Università. Test d'ingresso per le facoltà a numero chiuso, anno di disgrazia 2009: alcuni degli aspiranti dottori del terzo millennio hanno risposto così. "I giovani che arrivano dalle scuole superiori sono semi-analfabeti", ha dichiarato il magnifico rettore dell'ateneo bolognese,Ivano Dionigi. E chi ha già superato il traguardo della laurea non sta poi tanto meglio: secondo una ricerca del Centro Europeo dell'Educazione (CADE, o forse sarebbe meglio dire casca: l'asino), l'otto per cento dei nostri laureati non è in grado di utilizzare pienamente la scrittura. Anzi, peggio: 21 laureati su 100 non vanno oltre il livello minimo di decifrazione di un testo. Cioè, se proprio va bene riescono a far partire la lavastoviglie leggendo le istruzioni, oppure intuiscono le controindicazioni dell'aspirina. Ma di più no. Ancora: un laureato su cinque non riesce a dirimere un'ambiguità lessicale. E un laureato su tre ha meno di cento libri in casa, quasi sempre quelli che ha (più o meno) sfogliato per arrivare al pezzo di carta. Ma su quella carta, troppo spesso è come se fossero impressi geroglifici. E non parliamo poi di quando è necessario scrivere un testo.
Per questo, molti atenei hanno deciso di organizzare corsi di recupero di italiano per le matricole: grammatica e sintassi, cioè argomenti da prima media. "I ragazzi non conoscono il significato di espressioni lessicali banalissime", spiega Pier Maria Furlan, preside di Medicina 2 a Torino, dove appunto si torna sui banchi quasi per fare le aste, e per ripassare (o per studiare?) il congiuntivo. "Credetemi, è una situazione da mettersi le mani nei capelli. Per fortuna, gli studenti sono abbastanza consapevoli dei propri limiti: gli iscritti ai corsi di recupero sono oltre 35 su cento". Come nasce lo "studente analfabeta"? Quando comincia a diventarlo? "I guasti iniziano nella scuola dell'obbligo", risponde Tullio De Mauro, il padre degli studi linguistici italiani. "Il buonismo degli insegnanti ha fatto grossi danni, ormai si tende a promuovere un po' tutti e non si sbarra il passo a chi non è all'altezza. Ma il disprezzo per la lingua italiana risiede anche in certi romanzi di nuovi autori, pieni di parolacce e di inutili scorciatoie, e nel linguaggio sempre più sciatto dei giornali dov'è quasi scomparsa la ricchezza della punteggiatura". Insomma, oggi s'impara poco anche leggendo. E si studia male. "Credo che il predominio dell'inglese stia nuocendo all'uso dell'italiano", sostiene il noto linguista Gian Luigi Beccaria. "Ormai è necessario alfabetizzare adulti e ragazzi, e la colpa è di un intero percorso scolastico che non sempre funziona. Le lacune nascono da lontano. Inoltre, l'uso esclusivo di telefoni cellulari e computer come strumenti di comunicazione non aiuta la nostra lingua: l'italiano sta regredendo quasi a dialetto". Lasciando perdere gran parte della narrativa italiana contemporanea, dov'è possibile far tesoro della lingua giusta? "Leggendo o rileggendo autori esemplari per pulizia dello stile e chiarezza: penso a Primo Levi, a Calvino, ma anche a Pirandello e Pavese, oppure al Fenoglio di Primavera di bellezza, mentre Il partigiano Johnny è più complesso". Secondo recenti e sconfortanti statistiche, il venti per cento dei laureati italiani rischia l'analfabetismo funzionale, cioè la perdita degli strumenti minimi per interpretare e scrivere un testo anche semplice. E la percentuale sale tra i diplomati: trenta su cento possono diventare semi-analfabeti di ritorno. Una delle cause può essere l'abbandono della grammatica e della fatica della sintassi: già alle medie non si studiano quasi più, figurarsi al liceo. Nella scuola superiore, ormai pochissimi insegnanti si sobbarcano la correzione di trenta temi pieni di bestialità, una fatica tremenda e scoraggiante. E guai se non si promuove chiunque: scatterà la reazione anche violenta delle famiglie (sempre più spesso si rivolgono all'avvocato per rintracciare vizi di forma nei registri, anche dopo la più sacrosanta delle bocciature dei loro pargoli). "Siamo molto preoccupati", dice Franca Pecchioli, preside di Lettere a Firenze. "Se gli studenti non sanno dov'è il Mar Nero, beh, è grave ma glielo possiamo insegnare. Ma se non sono in grado di seguire la spiegazione di un docente perché ignorano il significato di certe parole, allora è peggio". Ha un suono sinistro anche la testimonianza di Elio Franzini, preside di Lettere alla Statale di Milano: "L'anno scorso, insegnando ai primi anni di filosofia chiesi chi avesse letto Proust, e alzarono la mano in tre. E quasi nessuno sapeva chi avesse scritto Delitto e castigo". Invece è palese il delitto nei confronti della lingua italiana, o di quella che dovrebbe essere la formazione universitaria: tra i paesi industrializzati, solo Messico e Portogallo stanno peggio di noi. Vale forse la pena ricordare che in Italia soltanto 98 persone su mille acquistano ogni giorno un quotidiano, mentre in Giappone sono 644. Un problema di formazione, o di scarsa informazione? "Siamo di fronte a un'autentica violenza nei confronti della parola", risponde Giovanni Tesio, critico letterario e docente all'Università del Piemonte Orientale. "Ma non dipende solo dalla scuola: la colpa è anche delle famiglie e dei modelli culturali. La prevalenza dell'immagine porta a una disattenzione verso i testi, e comunque è vero che mancano le basi. Me ne accorgo correggendo tesi di laurea non solo scritte male, quello sarebbe il meno, ma anche piene di strafalcioni. Perché per decenni si è demonizzata la grammatica, come se tutto dovesse essere facile e divertente. Ebbene, a scuola non tutto può né deve esserlo. Un'altra fesseria è credere che la grammatica s'impari leggendo, quello è un universo che non accetta usi strumentali". Ma l'analfabetismo dei laureati può essere arginato? "Siccome la letteratura è il luogo in cui il senso della complessità diventa più forte, io la insegnerei anche nelle facoltà scientifiche". Forse in Italia manca un vero sistema di educazione per adulti, non siamo più capaci di aggiornarci, allenando cervello e conoscenza come se fossero muscoli. La faciloneria portata da Internet, strumento meraviglioso e banale, ricco di potenzialità ma anche di comode tentazioni, ha ormai diffuso una specie di cultura del "copia e incolla", attraverso l'utilizzo di una lingua spesso piatta e tutta uguale, riprodotta all'infinito. Molti esami scritti, all'Università, vengono condotti come i test per la patente, mettendo crocette su un questionario; e le relazioni degli studenti procedono con "Powerpoint", un altro strumento che riduce la dialettica a riassunto di qualche schema, sillabando quattro parole. "Abbiamo vastissima conoscenza orizzontale e istantanea, però non siamo più in grado di approfondire, di scendere nel cuore delle cose", conclude Tesio. Il sessanta per cento degli italiani non ha mai letto un libro (anche se molti di loro, purtroppo, hanno provato a scriverlo). E non è affatto vero che "val più la pratica della grammatica". Altrimenti non sarebbe possibile che 45 laureati su cento ignorino qual è (scritto senza l'apostrofo) il passato remoto del verbo cuocere.
[La grammatica è un'opinione, tratto da Repubblica dell'8 dicembre 2009]

Che ne dite? Sconvolgente, no? Ovviamente l’avervi proposto la lettura di quest’articolo non vuol dire affatto che voi lettori apparteniate alla categoria dei cattivi conoscitori della lingua italiana. Me ne guarderei bene dall’affermare una tale sgarberia! È solo che in quest’articolo ho potuto trovare confermata la mia impressione riguardo a tutte quelle persone laureate di mia conoscenza che disdegnano un po’ quella dovuta attenzione nei confronti di una lingua tanto complicata e interessante come quella italiana; probabilmente l’unica cosa che resta da osannare in questa povera penisola senza nessuna identità. Spessissimo m’è capitato di osservare come riuscissero a cadere in basso - grammaticalmente - laureati, liberi professionisti e tanti altri pessimi esponenti del loro bel diploma sistemato nella fatiscente cornice dell’ignoranza e della faciloneria. Quest’articolo m’ha mostrato quanto c’era di vero nelle mie impressioni e nei miei punti interrogativi disegnati a bella posta sulla mia testa.
A questo punto tiriamo le fila (e non i fili!) del discorso. Dato che tra qualche settimana è Natale e sicuramente, sin da ora, si comincia ad avvertire la crisi nervosa del regalo opportuno da comprare, perché non ci lasciamo guidare dal pifferaio magico che ci conduce verso la porta fantastica che si apre sulle pareti colme di una ben fornita libreria? La sottoscritta, purtroppo, non abitando in una grande città, non gode di una vastissima scelta a cui affidarsi e perciò quando le capita di allontanarsi per un po’ dalle mura domestiche e di aggirarsi nei dintorni di importanti librerie, non esita a lasciarsi andare all’acquisto matto e disperatissimo di una carriola di libri che emanano l’odore della scoperta e della conoscenza.
E come dice quel motto: "Chi legge, guarda lontano". Buon viaggio!

giovedì 10 dicembre 2009


Gli argomenti si riducono. La noia prende il sopravvento. Comincia ad annegare nella sua stessa solfa. Non potendo fare a modo suo continua a puntare il dito contro i garanti della giustizia. No. Un argomento nuovo ce l’ha. Stravolgere a proprio piacere la Carta Costituzionale! Macché, l’ha già ipotizzato da tanto, troppo tempo… e l’Italia sta a guardare mentre qualcuno fischia il requiem.

venerdì 4 dicembre 2009

La carriòla


Cadute di stile

Gentilezza ci vuole, gentilezza. È talmente paradossale il periodo storico che sta attraversando le membra della nostra cara Repubblica che soltanto facendo appello alle regole della buona educazione e al bon ton maccheronico si può tentare, dico tentare, di non lasciarsi andare ad imprecazioni e a volgarità boccaccesche.

Ci vuole davvero una dose colma di serenità interiore e di filosofica indulgenza per non ribellarsi come indiani agli attacchi di Carter quando si presta orecchio alle vicende che saltellano tra le pagine di quotidiani, canali televisivi ormai recuperabili solo con la tecnica del digitale e talk show sempre più odiosi e maleducati. Sarebbe una buona idea quella di fregarsene del sistema digitale e godere dell’oscurità dello schermo televisivo: si eviterebbero, così, tutte le insalubri fecondità dell’arte (eufemismo) di fare televisione. Lo so, avete ragione, c’è sempre il telecomando a cui appigliarsi per uscir fuori dalla macchia indecente che si riflette sui nostri volti stralunati…ma perché, davvero ci sono alternative? D’accordissimo con Mirza quando attacca l’idiozia dei quiz televisivi. Ma fosse solo quello! Non so se v’è mai capitato di assistere ai ‘dibattiti’ che imperversano in televisione durante questi pomeriggi autunnali. Obbrobrio è dire poco. Ritorniamo un attimo all’idea prima dell’articolo. La gentilezza. Ma Santi Numi! Accendi la televisione e quei pazzi furiosi ti entrano in casa con escandescenze verbali, urli satanici, opinioni tutt’altro che logiche e ragionevoli, quasi si azzuffano come neanche gli uomini primitivi prima di diventare sapiens! Ma, insomma, che diavoleria è mai questa? E qualcuno impone la gentilezza ai pubblici impiegati. Io ne farei la bandiera dell’esistenza civile, e in ogni occasione, non solamente dietro la scrivania di un ufficio (vogliamo dimenticare le sgarberie che si incontrano in alcuni negozi o il menefreghismo iperbolico degli automobilisti o ancora l’assoluta caduta di memoria a proposito dei beneducati buongiorno, buonasera e dell’altrettanto gradevole risposta all’augurio che pure pare quasi scomparso nella fuliggine dei cervelli troppo impegnati a restar serrati nella loro pochezza? Provate ad entrare in luogo pubblico - ad esempio, uno studio medico o qualsiasi altro luogo in cui ci sono più persone in attesa - e a volgere il vostro saluto agli astanti… su una decina di persone forse soltanto quel tizio seduto nell’angolo vi degnerà di una risposta e neanche ad alta voce ma quasi tra i denti!).

Grazie all’evoluzione tecnologica è possibile ‘rubare’ anche quei pensieri che si ritiene di rendere noti solo al proprio vicino e che poi scopri siano entrati nel sapere comune di tanti e solo perché, molto elegantemente, qualcuno s’è preso la briga di registrare ciò che s’è detto quasi sottovoce. Una volta si considerava maleducazione origliare, spiare. Oggi tutto è possibile, oggi non ci sono più regole e il galateo se ne va al diavolo con l’universo infinito delle sue stramaledette regole da ricordare.
Bisognerebbe saper conquistare quella tranquillità spirituale sulla quale i monaci tibetani hanno costruito tutta la loro essenza. Ma chissà perché, appena si viene attaccati dalle opinioni degli altri, tac!, subito si risponde col contrattacco! E allora ti auguri di strozzare tutti quei poveri asini (massimo rispetto per la categoria, eh! Animale degnissimo che per un brutto scherzo del destino s’è visto appioppare quest’antipatico insulto senza motivo. L’asino è testardo. E allora?, è uno che ama le proprie opinioni!) che si son permessi di ‘scherzare’ sulle fantasie di un uomo soggetto al pentimento assolutorio. Scherzi della società moderna in cui tutto è possibile, tutto è gaio e giocoso. Anche i dittatori lo sanno. Ormai si invitano alle feste, gli si concede di portare con sé un centinaio di oche giulive bellocce e stordite alle quali viene regalato, terminato il party, un Corano con le seguenti incomprensibili parole d’accompagnamento: “Ricorda bella, il Corano è uno, i Vangeli sono quattro!”. ?!? Si sta perdendo il senso dell’orientamento?
Un padre consiglia al proprio figlio di espatriare, di lasciare l’Italia perché questa nazione non lo merita. Già. Mentre merita tutti gli altri milioni di deficienti che decidono di restare, nonostante tutto, magari in memoria di quell’altra storia, quella vera che si studia (o studiava?) a scuola, quella dei veri uomini, dei veri conquistatori della verità, dell’unità d’Italia, dei galantuomini, che non s’ingiuriavano solamente perché appartenenti a fazioni politiche diverse, ma che cercavano il dialogo e il confronto per il bene del Paese. Chi decide di restare decide di combattere il sistema dilagante dell’assurdo e dell’inetto. Anche se è poco, anche se il muro dell’ignoranza è alto.
Gentilezza ci vuole, gentilezza. Anche per mandare al diavolo i dissacratori della giusta Educazione.

martedì 1 dicembre 2009

SE COME ME ODIATE LA TV SPAZZATURA MADE IN ITALY

Vi propongo il seguente interrogativo: perchè qualcuno dovrebbe rispondere alle domande (livello idiota) proposte dai programmi quiz della rai e della mediaset? Pensate a quelle moltitudini (magari alcuni di quelli che leggono il post) che si precipitano a cercare su internet la risposta da inviare via sms, al meccanismo (previa dose di ignoranza letale) che li spinge a partecipare ad un gioco che non ha alcun senso, se non quello di rimanere nei parametri di un meccanismo psicofisico chiamato "gioco" da una parte e di un guadagno senza misura né proporzione dall'altro. Milioni di euro che entrano nelle tasche di chi premia la partecipazione con un millesimo del ricavato.
Chiunque voglia giocare, dovrebbe stare attento che il numero dei partecipanti al gioco non superi la dozzina, se non altro per evitare il rischio di fare il gioco di un altro, magari di chi il gioco lo somministra, come le palate di ignoranza che vediamo in tv ogni giorno.
VALORI COME DISVALORI


COSCIENZA COME STRUTTURA CHE RIGETTA IL PENSIERO COSCIENTE


Rimando alla puntata di "Uomini e donne" del 30/11/09 su youtube. Link:

http://www.youtube.com/watch?v=Wa0WR_5lu1U&feature=related