La vita è esperienza, cioè improvvisazione, utilizzazione delle occasioni; la vita è tentativo in tutti i sensi. Donde il fatto, a un tempo imponente e assai spesso misconosciuto, delle mostruosità che la vita ammette
Georges Canguilhem



martedì 30 novembre 2010


Pochi signori possono fregiarsi del titolo di ‘maestro’ e Monicelli è stato, senza dubbio, il vero asso di un genere, quello della commedia, che ha contribuito, negli anni del boom, a rendere celebre la cinematografia italiana.
Sempre preciso, diretto, lucido, il regista ha saputo cogliere tutti gli aspetti, tragici e comici, dell’uomo medio italiano. Osservatore attento, ha saputo sottolineare, con cura e ricercatezza, le manie e le stranezze, il cinismo ma anche la bontà della società italiana dei suoi tempi.
Chissà, con quale sguardo indagatore avrebbe saputo scrutare dietro la macchina da presa le vicende e il ridicolo delle vicende che in questi ultimi anni ci hanno invaso gli occhi e le orecchie?
Architetto prezioso dell’animo umano e gigante nel proporre la presa di coscienza di una donna che negli anni ’60, in piena contestazione, lascia la Sicilia per volare a Londra (covo di hippy e culla della nuova tendenza ispirata all’amore libero) e realizzare finalmente il suo ‘delitto d’onore’ contro l’uomo che l’ha sedotta e abbandonata. Cambierà presto le sue direttive, alla faccia delle tradizioni sicule e di quella famosa espressione caldeggiata da bocche omertose che riecheggia tra le strade afose della sua Sicilia: “Svergognata!!!”.
Monica Vitti, che per la prima volta assume un ruolo comico, al ragazzo inglese che la ospita in casa sua (obbrobrio per le donne benpensanti del suo paesello che le avrebbero urlato l’epiteto di cui sopra, o peggio!), stupita (e forse anche amareggiata!) sbotta una battuta fenomenale in un siciliano ‘inglesizzato’: “Ma como? Ju mani, aj wiman, ju luk tv?!?”.
Maestro, mi mancheranno le tue interviste, la tua severità scavata nelle rughe del tuo volto mentre giudicavi il modo col quale è governato questo Paese, il tuo e il mio. Volando via, così come hai fatto, hai voluto porre un colpo di scena nel copione della tua vita.

Un film meraviglioso, anche perché hai saputo affiancare due immensi attori che io amo a priori, Totò e Anna Magnani, aveva come titolo Risate di gioia. Ed io, oggi, voglio immaginarti così, attraverso una risata di gioia, quella che deve rubare la scena ad un volto malinconico e triste per il tuo addio alla vita.

lunedì 1 novembre 2010

Point of view Risulta del tutto evidente che, nella maggioranza dei casi, la condotta sessuale di un soggetto è assimilabile per definizione a una sfera intangibile, un dominio sottratto allo sguardo indagatore del vicino e all’ingerenza inquisitoria del moralista. Nessuno è tenuto a rendicontare su preferenze o inclinazioni afferenti all’alcova dell’eros. Il giudizio di valore su una persona dovrebbe essere slegato dalla considerazione delle sue frequentazioni serali o notturne. Questa considerazione vale come regola generale del buon senso e del rispetto del principio di (auto)determinazione del soggetto responsabile. Tuttavia, ogni principio generale comporta, includendolo, uno spiraglio di eccezionalità. Per quel che concerne la sessualità, ogni elemento di tutela della sacralità delle condotte sessuali viene meno nel caso in cui compaiano, sulla scena della narrazione, i minori, i diversamente abili o corpi incapaci di intendere o volere ovvero i referenti elementari dell’abuso. L’adescamento o la corruzione di un minore è un crimine contro l’umanità. La scappatoia dell’ignoranza dell’età dell’oggetto sessuale non può funzionare come paracadute giuridico, dal momento che chi ha ingabbiato nella propria trappola una ragazzina o un ragazzino l’ha fatto per obbedire a una precisa perversione sessuale, che vale come movente del riscatto dell’impotenza.
Si consideri il seguente caso. Un settantaquattrenne di nome S. è stato abbandonato dalla seconda moglie, perché lo ha ritenuto, per via della continua frequentazione di minorenni, un vecchio degno di essere curato. S. ha finanziato la crescita di una ragazzina diciassettenne di nome N., promettendole un futuro da starletta con il consenso entusiasta dei suoi genitori. Poi si viene a sapere che S. si è intrattenuto anche con altre minori, come ad esempio una nordafricana diciassettenne (R.), cui ha consegnato 5.000 euro per il disturbo del contatto con un vecchio. Come verrebbe definito S.? Non ci sono dubbi: maniaco, pervertito, depravato, pederasta o magari pedofilo. Si ponga, a questo punto, l’ipotesi estrema (ma non controfattuale) che S. sia il premier di un Paese democratico e che abbia fatto pressioni su una questura affinché si trovasse la soluzione più conveniente per la sua piccola R., bypassando quanto previsto da un Tribunale dei Minori. Si pensi anche che, per risultare convincente, S. abbia detto al questore, mentendo spudoratamente, che la piccola R., marocchina, sia la nipote del presidente egiziano Hosni Mubarak. Suvvia, come verrebbe definito S.? O meglio, dove andrebbe spedito?

martedì 26 ottobre 2010

Nuove inquietudini La presentazione del saggio nell’aula magna del Liceo scientifico è stata in parte soddisfacente, in parte deludente. Il senso della metà (e pertanto dell’incompiutezza) la qualifica bene, nel senso che soltanto la metà degli studenti che sono stati coinvolti – fra le classi quarte e quinte dei licei classico e scientifico – ha partecipato civilmente al seminario, restando in silenzio, ascoltando gli interventi, magari fingendo interesse. La condotta barbarica della seconda metà, appollaiata nelle retrovie, è l’effetto dell’atteggiamento autolesionista messo in campo da certi docenti che hanno sabotato l’opportunità di declinare la didattica lungo direttrici originali. In definitiva, ho tentato di portare un po’ d’aria fresca in una camera a gas. In parte ci sono riuscito, ingerendo comunque tossine che avevo dimenticato. Era il prezzo piuttosto salato da pagare.
L’appuntamento era aperto al pubblico. In realtà, forse per l’orario oltremodo impopolare, la partecipazione extraliceale è stata infinitesimale: ho riconosciuto visi di cui posso fidarmi. Si sono tenuti a debita distanza gli esponenti locali della sinistra sinistrata, ammuffiti dalla coltivazione del rancore per aver perso tutto ciò che c’era da perdere. Potrei concedergli il brevetto del fallimento. Gli riconosco l’ostinazione del mulo indomabile.
Una rete TV locale ha mandato in onda un servizio nel corso del TG in cui l’inviato confeziona il suo servizio sulla presentazione del volume non citando mai il nome dell’autore (sic!). Invito qualcuno a segnalarlo alla redazione del TG1, che ha bisogno di gente del genere. Il coraggio di deformare non solo le notizie di informazione politica, ma anche i servizi culturali lo rende degno di un patronus di più alto spessore. La damnatio memoriae è dovuta a diverse ragioni. Il proprietario di quella rete è un Berlusconi miniaturizzato, ovvero un personaggio dal curriculum inquietante, che ha affidato il suo Milan di campagna al fratello, per gestire giornali, destini e morti. I suoi valvassori non accettano che io non possa essere assoldato come vassallo. Nel 2004 una voce anonima mi propose al telefono di collaborare con quella rete, in qualità di redattore. Rifiutai senza mezzi termini. Ero un ragazzino senza un centesimo in tasca. Quella determinazione si rivelò convincente, fin troppo. Salvai la mia anima dall'inferno.

giovedì 21 ottobre 2010



Il cielo sceso a corte
Attualità di Leibniz: il pensiero etico e politico





Sabato 23 ottobre 2010

AULA MAGNA DEL LICEO SCIENTIFICO

Via Maiella, n. 41 - Venafro (IS)




9.00 Apertura dei lavori




Franco CAPONE (Dirigente ISISS "A. Giordano" Venafro)


Chiara CAPOBIANCO (Assessore alla Cultura - Comune di Venafro)


Giacomo GARGANO (Direttore Biblioteca civica "De Bellis-Pilla Venafro)



9.15 Relazioni



Donata CAGGIANO (Docente Liceo Classico "A. Giordano" Venafro)


Egidio CAPPELLO (Docente emerito Liceo Classico "A. Giordano" Venafro)


Fausto PELLECCHIA (Presidente del Corso di laurea in Filosofia dell'Università degli Studi di Cassino)



10.30 Discussione con Francesco GIAMPIETRI




Ingresso libero



Per saperne di più: http://www.futuromolise.net/eventi/eventi-culturali-in-molise/2227-sabato-23-ottobre-a-venafro-il-convegno-il-cielo-sceso-a-corte-attualita-di-leibniz-il-pensiero-etico-e-politico.html (FuturoMolise) http://www.altromolise.it/notizia.php?argomento=appuntamenti&articolo=45041 (AltroMolise)

venerdì 10 settembre 2010

Il cielo sceso a corte. Diritto e politica nel pensiero di Leibniz

Giampietri Francesco
Il cielo sceso a corte
ISBN: 9788848811224
Pagine: 168
€ 14,00


per saperne di più: http://www.lampidistampa.it/index.php?p=catalogo&id=1477 o http://www.ibs.it/code/9788848811224/giampietri-francesco/cielo-sceso-a-corte.html oppure http://opac.sbn.it/opacsbn/opaclib?db=iccu&select_db=iccu&nentries=1&from=1&searchForm=opac/iccu/error.jsp&resultForward=opac/iccu/full.jsp&do=search_show_cmd&rpnlabel=+Titolo+%3D+il+cielo+sceso+a+corte+%28parole+in+AND%29+&rpnquery=%40attrset+bib-1++%40attr+1%3D4+%40attr+4%3D2+%22cielo+sceso+corte%22&totalResult=1&fname=none&brief=brief

Uno ‘studio’ (nell’accezione pittorico-architettonica del termine) che si presenta come un intenso e promettente tentativo di risposta a una delle questioni che sotterraneamente mobilitano ogni ricerca sul pensiero giuridico-politico di Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716). Ai ripetuti progetti di riordino del corpus del diritto, ai minuziosi piani di organizzazione amministrativa ed economica della realtà politica del tempo o all’instancabile impegno per l’istituzione di Società scientifiche al fine di favorire scoperte e innovazioni tecnologiche in tutti i campi, fa riscontro una malcelata negligenza di Leibniz nella costruzione teorica di un esplicito paradigma di definizione politica dello Stato. Tuttavia questa considerazione non deve lasciar pensare a un limite del sistema leibniziano. In questa prospettiva, il volume, che ha la struttura di un manuale, pur essendo un testo ermeneutico, rappresenta un nuovo contributo critico, non tanto e non solo per chi intenda mettere a fuoco una delle aree problematiche più significative e meno note attraversate dal filosofo di Hannover, ma anche e soprattutto per chi voglia risalire i motivi e le istanze genetiche del suo formidabile progetto metafisico.

Prefazione di Fausto Pellecchia (Università di Cassino) Postfazione di Roberto Palaia (ILIESI-CNR Roma)
Con la prima traduzione di una recensione anonima di Leibniz in appendice.


***
Ringrazio Federica per le bellissime parole che ha voluto donarmi e per essere tornata qui, a casa, dopo aver vissuto i mesi più emozionanti della sua vita con la piccola Martina. Con un po' di timidezza, ho il piacere di presentarvi la mia prima pubblicazione. Si tratta di un volume che raccoglie il senso degli ultimi due anni della mia vita. Per certi versi, potrebbe essere inteso come un'autobiografia in filigrana, piuttosto che come un omaggio alla cultura del Seicento. Ci sono io dentro e, per questa ragione, coltivo l'auspicio che almeno i miei conoscenti lo leggano. Ho la necessità di confrontarmi con un interlocutore che condivida con me la comprensione dei valori che quel volume racchiude. Sono felice, perché resterà un indizio materiale delle illusioni che mi hanno alimentato.

Che curiosa impressione riprendere in mano la penna e rituffarsi tra le mura diroccate ma solide delle mie care vecchie pieghe. Son trascorsi diversi mesi e anche un paio di nuove grafiche dalla mia ultima ‘creazione’ libertaria ed è una curiosa impressione quella che s’inerpica su per l’anima ora che mi trovo a dover trovare le espressioni più adeguate e il ringraziamento più sentito per la lettera che tre mesi fa hai indirizzato alla personcina che ha irradiato la mia esistenza monotona e grama. So che quando sarà in grado di leggere e capire apprezzerà con autentico entusiasmo le cose che le hai scritto e dedicato.
Ma oggi in altro modo voglio ripresentarmi tra le pieghe distese di un progetto libertario. Oggi voglio congratularmi e dirti quanto io sia orgogliosa e fiera ma anche commossa e colma di gioia per quella che è la tua opera prima in campo letterario. C’è un barlume di speranza in fondo al tunnel della precarietà e della raccomandazione facile per chi corrompe e lascia corrompersi.
Francesco, che il tuo libro sia il primo di una lunghissima serie. Che la passione per la conoscenza possa invaderti l’anima senza incontrare ostacoli e compromessi.
Con affetto inaudito.

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P o e t i c a r e

In quest’ora di luce il tuo pensiero gentile
conquista la mia patria di fiorite primavere.

Il tuo proferire solenne come l’arenile maestoso
riveste la mia natura di brina e arbusti variopinti.
La tua parola, fratello mio,
è un popolo di vittorie che mordente e vivo
si diletta ad esplorare le valenti prose
di un quaderno universale.

Il mio spirito ebbro di gioia
spalanca le sue braccia
al naviglio festoso che
rincorre la tua ombra.

Non è un piano, non è un velo
è la tua verità, è il tuo essere
di puro e semplice tesoro,
è la tua freschezza di oceano imbiancato,
è la tua sete di mistero svelato,
è la tua mano che frena il movimento di paesi incantati,
è il tuo germoglio di trionfante sole e di tenera luna.
Sei il calice traboccante di suoni,
sei il volo superbo del raggio di luce.
Sei mio fratello.

16 gennaio 2004

giovedì 5 agosto 2010

Il blog può tornare a vivere

Tutto cambia, nel volgere di pochi mesi. L’evoluzione dell’esistente è irrefrenabile. Un governo in bilico, le vuvuzelas funerarie per Lippi, l’afa e le piogge… Per resistere al cambiamento, non smarrendo l’equilibrio, la coscienza deve appellarsi ad un punto fermo: la staticità delle relazioni affettive, un porto sicuro per una scialuppa ondivaga. Mi spiace che il blog sia rimasto fermo così a lungo alla data del 18 giugno. Eppure le notizie da commentare non sono di certo mancate. Purtoppo, non ho avuto altre scelte. Ho dovuto concentrare l’espressione della mia scrittura in maniera totalizzante su un altro progetto, che era in attesa di essere portato a termine da tempo. Ho dovuto sacrificare un mese e mezzo, metà giugno e luglio. Non potevo scrivere altro. Qualsiasi deviazione della mia attenzione aveva il valore di un attentato al mio lavoro. Ora ci sono quasi. Magari fra qualche settimana potrò svelare il sipario. Ad ogni modo, da oggi il blog può tornare a vivere.

venerdì 11 giugno 2010



cara Martina


ti stavo aspettando da tempo. Ieri sera, hai potuto finalmente dare la prima sbirciatina al mondo e lasciare i dolci flutti uterini, in cui saresti rimasta senza dubbio a riposare ancora a lungo. Mentre quegli strani individui dal camice bianco si stavano preparando per tirarti fuori dalla culla nera in cui ci attendevi, mi affrettavo a lasciare piazza Bologna per prendere il primo treno regionale del Lazio per Frosinone. Un viaggio da incubo: i finestrini erano sigillati, non funzionava il sistema dell’aria condizionata ed io ero ammassato agli altri pendolari come una bestia da portare al macello. Non importa, perché sarei venuto anche a piedi. Per te, ovviamente. Sai, il filosofo di cui mi occupo sostiene che questo mondo in cui sei appena giunta sia il migliore dei mondi possibili. Non lasciarti ingannare dalle facili professioni d’entusiasmo, perché l’ottimismo è il rovescio della disperazione: questo mondo non è un granché. Ma non devi preoccuparti, sai. Hai due genitori davvero in gamba, che sapranno offrirti nel corso degli anni, non solo l’affetto di cui ogni creatura razionale ha bisogno per sopravvivere, ma anche tutte le indicazioni per schivare le trappole, le insidie che, purtroppo si moltiplicano con la corsa futurista del tempo. Sai, il senso delle cose è ormai del tutto capovolto. Le apparenze hanno più valore della sostanza delle cose, dell’essenzialità del vivere onestamente. La logica del profitto, del lucro incondizionato prevale su ogni ragione di ordine umanitario. La diffidenza ha bandito i vincoli dell’amicizia e i princìpi della lealtà. I banditi sono al potere. La mediocrità è l’unico metro di valutazione per ogni considerazione. Non voglio spaventarti, ma è giusto che tu sappia come stanno le cose. Non si crede più in niente, né in Dio (che si è nascosto in qualche galassia parallela) né nei partiti (che fra l’altro non esistono più).


Cara Martina, un gesto ha più valore del chiacchiericcio infinito. Sono le opere a contare, non le parvenze o le imitazioni di gesti rimandati. Per questa ragione, sollecitato dal tuo arrivo, ho voluto stravolgere la grafica del blog, rendendola più accogliente. Io mi sono sempre attenuto ad una morale molto semplice, per la quale – come ti dicevo – contano i gesti, che dovrebbero essere esemplari, in relazione al loro significato. Tua madre, l’adorabile Federica, non l’aveva capito, sai. Diversi mesi fa mi disse che ero distante, disinteressato, preso solo dalle mie (‘inutili’, aggiungerei io) faccende. Ovviamente si sbagliava. Ti seguo da mesi, seguo tua madre da 26 anni lasciandola respirare. Più in generale, ho sempre partecipato con pieno coinvolgimento emotivo ai momenti decisivi della vita delle persone che mi sono care. Come ti ho detto, sarei venuto anche a piedi da Roma, per te. Spero che tua madre ieri abbia capito il senso dell’apologia della mia morale. Se non l’avesse capito, ovviamente non cambierebbe nulla. Ricorda Martina: le apparenze sono portate via dal vento, perché non contano nulla. Sono i gesti a restare, ad incidere nella nostra storia, scolpendo valori morali nel tabernacolo del nostro cuore. Ovviamente ti lascio il video che ho girato mentre piangevi a scuarciagola.


Ci tenevo a dirti queste cose. Non saprei davvero dirti dove sarò, quando potrai leggerle o capirle, ma questo ovviamente non conta.


Un bacione mia cara.


Francesco

giovedì 3 giugno 2010


Stasera ho l'umore a terra. Non è un gioco da niente impegnarsi tutti i giorni per evitare che la superficialità annulli anni di studio febbrile, ovvero una giovinezza dannata. Da qualche settimana sto trascurano il blog, fumo più di quanto non dovrei, perché sono preso da più incombenze, impegnato attualmente su più fronti, posti in campi diversi. Non posso non augurarmi che almeno ne valga la pena. Ad ogni modo, nei prossimi anni non potrò rimproverarmi carenze di coraggio. L'intraprendenza logora il cuore. Non importa. Una canzone vale mille parole. Mi fa piacere riascoltare una vecchia canzone del'97. Mi torna in mente un ragazzino di quattordici anni che, nel corso di un'estate balneare, l'estate decisiva, capì più di quello che avrebbe dovuto ed iniziò ad invecchiare.


venerdì 21 maggio 2010

Frammenti fotografici del sabato poetico


Stasera Linus mi ha consegnato la cartella delle foto che ha scattato sabato sera. Lo ringrazio, perché ha rubato alle corrosioni dell'oblio il senso di un appuntamento, che ho ideato per gettare una piccola pietra nella noia di periferia. In una piccola città di provincia l'unica ragione per andare avanti coincide con l'investimento del tempo e delle energie su se stessi. Eppure detesto l'individualismo perché fa danni piuttosto gravi. Talvolta bisogna fermarsi, ritrovarsi con persone che sono animate da interessi attigui ai propri, ragionare, discutere, produrre occasioni di valorizzazione culturale. Sono convinto che sarebbe opportuno farlo più spesso. Vedremo.
Ringrazio la bravissima Bruna Marcelli e il carissimo professor Fausto Pellecchia per aver reso possibile l'allestimento di un sabato alternativo, un omaggio al pensiero. Ringrazio Linus e Vincenzo Brusello per la preziosa collaborazione che mi hanno assicurato. Sono grato a quanti hanno voluto raggiungerci nel cuore del Centro Storico, vincendo l'opposizione di un temporale gotico, che avrebbe potuto compromettere la riuscita dell'appuntamento, poiché la sala dell'AUSER è distante dalle vie ordinarie del traffico e della vita sociale della città.

giovedì 20 maggio 2010


Moralmente parlando, i modelli hanno un che di impersonale. Sintetizzano l'esistenza dell'altro fornendo un quadro che di tutto sa men che di vero. Sono da considerare modelli tutte quelle conoscenze di cui disponi sulla vita di chi è distante; coloro di cui puoi dire di compatire o invidiare o ammirare qualcosa. Anche l'odio talvolta si riduce ad uno schema di pensieri ed azioni. Questi sentimenti hanno raramente per te un valore, da che il detto: ciò che non è nostro non ha valore. La vita degli altri e forse la tua si riducono in fondo a riassunti, alcuni davvero poco apprezzabili, tanto da essere dimenticati o quasi nei magazzini della memoria, come un quadro appeso in un corridoio o sul muro delle scale, qualcosa che vedi raramente e solo di sfuggita... un errore grammaticale su un assegno che foraggia chi sa apprezzare la tua superficialità. E da questa considerazione segue un pensiero, ovvero che se la tua vita si riduce ad un riassunto quasi del tutto impersonale, quasi che non ti appartenesse, come potresti mai preoccuparti dell'altro tu che a te stesso sei estraneo? Allora è vero o no, che solo chi ama se stesso può amare anche l'altro, o almeno imparare a farlo?

lunedì 17 maggio 2010

La rivolta della Signora della Danza
Il video è emblematico, intriso di significati decisivi per comprendere compiutamente la deriva della vita politico-culturale del Paese. La storia di Gianni Alemanno è nota a tutti: si tratta del frutto maturo di un’intera fazione politica, piuttosto improvvisata, di fascisti imborghesiti che, pur di raggiungere i piani più elevati del potere, hanno fatto il possibile per smarcarsi dal loro passato imbarazzante, diluendolo nelle tinte grigie della moderazione clericale. Da pugliese, è riuscito a vincere quasi per caso le elezioni comunali della Capitale. Il centrosinistra riuscì nell’impresa di designare come candidato di coalizione l’unico personaggio che poteva avere qualche chances di sconfitta. Un minestrone riscaldato indigesto per tutti. E già: Roma non è una città emiliana o umbra e le direttive di partito non vengono recepite pertanto dall’elettorato progressita o legato alle amministrazioni uscenti come una conditio sine qua non. Gli ex missini sono davvero distanti dalle valorizzazioni delle potenzialità culturali delle realtà sociali in cui operano, poiché continuano ad associare l’esperienza intellettiva ad un passatempo da intellettuali radical-chic, gente che vota per i partiti di sinistra e che storce il naso anche dinanzi allo Scudo Crociato. Per questa ragione, il loro slogan ideale è: meno concerti e conferenze, ma strade senza buche o più illuminate, o cose del genere. Il pragmatismo di Alemanno è incompatibile con la promozione pubblica delle arti. Roma si sta lentamente spegnendo. Un concerto di un cantante machista in Piazza Navona vale mille conferenze o mostre. La rivolta di Carla Fracci, la Signora della Danza, denuncia questo scarto. Alemanno l’ha cacciata dalla direzione del corpo di ballo del Teatro dell’Opera, senza preoccuparsi neppure di comunicarglielo de visu. L’ha fatto per far largo ai giovani, non annunciando che in realtà il sostituto prescelto è un sessantaseienne di fiducia. La Signora della Danza si scompone, rinuncia all’eleganza scenica del proprio passo per urlare una denuncia sociale.

martedì 11 maggio 2010

Che ne sarà dei poeti e delle cose
addormentate che più nessuno ricorda?

Un omaggio al genio di García Lorca

Presentazione de “El amor brujo” di Bruna Marcelli


Sabato 15 maggio 2010 ore 18.30
Sede AUSER, via Plebiscito Venafro


Intervengono:


Francesco GIAMPIETRI
Scuola Superiore di Filosofia
Università di Roma “Tor Vergata”
Elide DI DUCA
Edizioni Edimond
Città di Castello

Fausto PELLECCHIA
Università di Cassino
Bruna MARCELLI
Autrice de ‘El amor brujo

lunedì 10 maggio 2010

JORGE LUIS BORGES

E se al mondo esistessi soltanto io?


«Le enciclopedie sono state la lettura principale della mia vita. Sono sempre stato interessato alle enciclopedie. A Buenos Aires andavo alla Biblioteca Nacional e, siccome ero timido, non osavo chiedere un libro o avvicinare un bibliotecario, e così cercavo sugli scaffali l’Enciclopedia Britannica. Ovviamente poi mi portavo il libro a casa. Sceglievo un volume a caso e lo leggevo. Una notte fui ben ricompensato perché lessi tutto sui Drusi, su Dryde \ e sui Druidi, tutti nello stesso volume, ovviamente, il “DR”. «Poi mi venne l’idea di un’enciclopedia di un mondo vero e poi di una, ovviamente molto rigorosa, di un mondo immaginario, dove tutto sarebbe stato collegato. Dove, per esempio, ci sarebbe stato un linguaggio, poi la letteratura, poi la storia, e così via. Poi ho pensato di scrivere una storia dell’enciclopedia fantastica. Naturalmente per scriverla ci sarebbero volute molte persone diverse che discutessero molte cose - matematici, filosofi, uomini di lettere, architetti, ingegneri, e anche narratori o storici. Poi, siccome mi serviva un mondo assolutamente diverso dal nostro, - non bastava inventare nomi stravaganti - mi dissi, perché non un mondo basato sulle idee di Berkeley?». Un mondo in cui è Berkeley a rappresentare il senso comune e non Cartesio? «Sì, proprio così. Quel giorno scrissi Tlön Uqbar, Orbis Tertius. Ovviamente l’intera storia si basava sulla teoria dell’idealismo, l’idea che non ci sono cose ma solo eventi, che non ci sono nomi ma solo verbi, che non ci sono cose ma solo percezioni...». Tlön è un buon esempio di racconto dove, comunque finisca la storia, il lettore è incoraggiato a continuare ad applicare le sue idee. «Bene, lo spero. Mi chiedo però se siano le mie idee. Perché, davvero, io non sono un pensatore. Ho usato le idee dei filosofi per i miei scopi letterari, ma non credo proprio di essere un pensatore. Penso che il mio pensiero sia stato fatto per me da Berkeley, Hume, Schopenhauer, forse Mauthner». Lei dice di non essere un pensatore... «Ciò che intendo dire è che non ho un sistema filosofico mio. E non ho mai cercato di crearmelo. Sono solo un uomo di lettere. Nello stesso modo - beh, forse non dovrei scegliere questo esempio - nello stesso modo in cui Dante usava la teologia per gli scopi della sua poesia, o Milton la teologia per la sua poesia, perché io non dovrei usare la filosofia, soprattutto l’idealismo - la filosofia che mi attira - per scrivere un racconto, una storia? Penso che sia lecito, no?». Lei condivide di sicuro una cosa con i filosofi: la fascinazione per la perplessità, il paradosso. «Sì, ovviamente - presumo che la filosofia sgorghi dalla nostra perplessità. Se avete letto quelli che potrei essere autorizzato a chiamare “i miei lavori”, avrete visto che lì dentro c’è in continuazione un evidente simbolo della perplessità: il labirinto. Labirinto e stupore vanno insieme, no? Un simbolo di stupore potrebbe essere il labirinto». Ma i filosofi non sembrano contenti di essere semplicemente messi di fronte alla perplessità, vogliono risposte. «Hanno ragione». Hanno ragione? «Beh, forse nessun sistema è completamente raggiungibile, ma la ricerca di un sistema è molto interessante». Lei definirebbe il suo lavoro la ricerca di un sistema? «No, non sarei così ambizioso. Lo definirei non fantascienza ma racconto filosofico, o racconto onirico. Sono anche molto interessato al solipsismo, che è poi una forma estrema di idealismo. È strano come tutti quelli che scrivono di solipsismo lo facciano per confutarlo. Non ho visto un solo libro a favore del solipsismo. So quello che vorreste dirmi: dato che c’è un solo sognatore, perché scrivo un libro? Ma se c’è un solo sognatore, perché non potrei sognare di scrivere un libro?». Che cosa pensa del solipsismo? «Che in senso logico è inevitabile: non ammette confutazione e non produce convinzione». In conclusione, lei ritiene che una storia possa rappresentare una posizione filosofica più efficacemente delle argomentazioni di un filosofo? «Non ci ho mai pensato, ma presumo di sì. Penso a qualcosa in termini di Gesù Cristo. Se ben ricordo, non ha mai usato argomentazioni, usava lo stile, usava certe metafore. Usava frasi che facevano colpo. Non diceva: non sono venuto a portare la pace ma la guerra, bensì: non sono venuto a portare la pace ma la spada. Cristo pensava per parabole. Blake diceva che un uomo, se è un cristiano, non dovrebbe essere solo intelligente, dovrebbe essere anche un artista, perché Cristo ha insegnato l’arte attraverso il suo modo di predicare, perché ognuna delle frasi di Cristo, se non ogni singola parola, ha valore letterario e la si può prendere come metafora o come parabola». Ma allora, che cosa distingue l’attitudine filosofica da quello lettaria, se condividono così tante cose? «Il filosofo ha un modo molto rigoroso di pensare, mentre lo scrittore è interessato anche alla narrazione, racconta delle storie, usa le metafore». Lei ritiene che un racconto, soprattutto un racconto breve, possa essere rigoroso in senso filosofico? «Direi di sì. Ovviamente in quel caso sarebbe una parabola. Ricordo una frase letta nella biografia di Oscar Wilde di Hesketh Pearson, a proposito della predestinazione e del libero arbitrio. Pearson chiese a Wilde dove mettesse il libero arbitrio, e quello rispose con una storia di aghi e chiodi che vivevano nei pressi di un magnete e dicevano: dovremmo andarlo a trovare, senza rendersi conto che si stavano slanciando sul magnete, il quale sorrideva perché sapeva che stavano andando a trovarlo. In questo modo Wilde dava la sua opinione: noi pensiamo di essere attori liberi, ma ovviamente non lo siamo... Vorrei però chiarire che, se si devono trovare idee in ciò che scrivo, quelle idee arrivano dopo la scrittura. Intendo dire che io comincio a scrivere, comincio con la storia, con il sogno. E poi, forse, entra qualche idea. Non comincio con la morale, per poi scriverci su un racconto che la dimostri».



(1976, intervista di LAWRENCE I. BERKOV e DENIS DUTTON, MICHAEL PALENCIA-ROTH).


giovedì 6 maggio 2010

Roma e Lazio: il bue che dà del cornuto all’asino

Negli ultimi giorni si è esteso (non solo nei bar e nelle osterie) un vuoto ronzìo di lamentele volte a dannare la Lazio per l’atteggiamento arrendevole che avrebbe impostato conto l’Inter, nella partita-chiave per la soluzione del Campionato. La squadra romana avrebbe lasciato sfilare la Capolista su un velluto di rose, pur di scongiure la possibilità di favorire l’odiata Roma nella corsa verso lo scudetto. Non credo che l’Inter (la squadra epica che ha bandito il Barça dalla finale di Champions Leaugue, in una sfida d’altri tempi combattuta nel covo del nemico e, per giunta, subendo un arbitraggio sfavorevole) avesse la necessità di favori dalla Lazio, che ha rischiato a lungo, nel corso della stagione, di inabissarsi sul fondo oscuro della classifica. Vorrei che qualcuno mi spiegasse come possa essersi sentito il tifoso laziale nel vedere il personaggio televisivo Totti ‘osare’ rovesciare i pollici, per comunicare: ‘Noi vinciamo lo Scudetto e voi marcirete in B’.
L’autentica contraffazione calcistica è andata in onda stasera davanti a milioni di persone. La Roma avrebbe avuto l’occasione di vendicare lo spirito sportivo del calcio battendo l’Inter ed aggiudicandosi il primo titolo della stagione. L’inferiorità della Roma è stata oggettiva: l’Inter sta alla Roma come la Nazionale brasiliana sta a quella del Singapore. Veniamo al nodo della sportività. Sono sportivi o meno i tifosi romanisti che hanno consumato la notte davanti all’hotel dove pernottavano i giocatori dell’Inter a schiamazzare, urlare, bivaccare, per non far chiudere occhio alla squadra? E poi, in campo, i giocatori della Lupa hanno compensato la loro insubordinazione picchiando come squadristi fascisti, provocando, gettando benzina sugli spalti. Un branco di miserabili. Questo è il senso della sportività che anima coloro che si sono permessi (strumentalmente) di porsi come i custodi della vocazione olimpica del calcio. È sportivo colui che sa accettare la sconfitta non reagendo in nessun modo né arrampicandosi sugli specchi in cerca di presunte giustificazioni di copertura. Un video vale mille possibili riferiementi o richiami: Totti, il cialtrone che si arricchisce con gli spot che mette in scena con la sua velina valorizzando la sua inconsistenza esistenziale, ha calciato un uomo al posto di un pallone. E pensare che negli ultimi anni, indirizzato da buoni consigli (sempre) interessati, era riuscito abilmente a camuffare la propria identità di villano di borgata col velo del simpaticone che sa essere sornione ed autoironico nonché capace di devolvere in beneficenza gli introiti di una raccolta di barzellette centrate sulla sua ignoranza o gaffaggine. Una trovata geniale, non c’è che dire. Calciare un uomo per non accettare l’inferiorità tecnico-tattica della propria squadra: ecco il senso dello sportività dei romanisti. Per non parlare delle violenze gratuite e salvagge di gente come Perrotta, Taddei, Burdisso. Lo stesso Totti ha picchiato duro già prima di calciare Balotelli al posto del pallone. Se la partita fosse stata arbitrata con rigore, la Roma avrebbe dovuto terminare la partita in sette contro undici. Questa squadra non merita di vincere alcunché. Meriterebbe di apprendere il senso della sportività sui campetti che si trovano alle spalle delle chiese della periferia capitolina, da bambini senza storia e sporchi di sudore e rabbia.

martedì 4 maggio 2010

DEMOCRAZIA E TIRANNIDE

Un tempo, nell’antica Grecia, quando la democrazia era ai suoi albori, i filosofi amavano discutere sull’ “eunomia”, letteralmente sul “buon governo”. Riflettevano sulle diverse forme di governo, per individuare il “nomos” ideale che avrebbe condotto alla realizzazione della felicità, o quantomeno di un equilibrio sociale. Anche se la democrazia è la forma di governo storicamente affermatasi, a quei tempi non era la più quotata. Aristotele ad esempio, ma anche eccellenti narratori quali Tucidide, preferivano di gran lunga l’ “aristocrazia” alla democrazia. Noi moderni abbiamo irrimediabilmente perso il senso della parola “aristocrazia”, poiché per noi essa è circondata da un alone di negatività, retaggio di secoli di battaglie fatte in nome della libertà. Eppure l’aristocrazia per i greci era semplicemente il “governo dei migliori”, i più adatti a governare per virtù. Ovviamente in una società come quella greca del V sec. a.C., i migliori erano anche i più ricchi, ma la ricchezza era garanzia di onestà poiché essi avrebbero esercitato la politica solo per amore della città. Ed erano cittadini solo i combattenti, quelli cioè che potevano pagarsi almeno l’armatura essenziale. L’altra parte della popolazione era fatta di donne, schiavi, stranieri e poveri sostanzialmente assenti dalla vita politica. Ma una delle grandi acquisizioni della democrazia ateniese, per merito di Clistene, fu l’equiparazione tra città e campagna. Tutti erano cittadini, sia l’uomo che viveva in città, sia l’abitante del demo più sperduto dell’Attica e tutti avevano il diritto/dovere di partecipazione alla vita politica.
Tuttavia i pensatori più illustri ritenevano che la democrazia, in quanto “governo del popolo”, fosse una forma di governo molto pericolosa e instabile poiché in essa era insito il pericolo della “tirannide”. Il “tyrannos” era una figura abituale della storia greca, cui i greci erano avvezzi. Ma spesso i tiranni erano dei capipopolo, capaci di influenzare le masse, di smuovere la loro “hybris” attraverso altra “hybris” (la tracotanza, il desiderio smodato, l’insoddisfazione, la rabbia, la paura, il risentimento, ecc). Il vero terrore per i greci era infatti la mancanza di equilibrio, il prevalere della “hybris” sulla virtù politica e sul bene comune. E come le tragedie greche insegnavano, la “hybris” era causa di profondi mali. Così Aristotele vedeva nella democrazia post-periclea una degenerazione della democrazia come imperialismo sfrenato e lo stesso amaro giudizio espresse Tucidide in quel capolavoro storico che sono le sue Storie. Così ben presto si diffuse la fobia della tirannide, spesso anche a scopo macchinoso attraverso la manipolazione della pratica dell’ostracismo. Per cacciare dalla città un uomo politico diventato pericoloso o fastidioso, bastava attirare su di lui l’accusa di tiranno e il suo destino era segnato.
Democrazia e tirannide sono una diade inseparabile, fin dalla loro origine.

Ah, quante risposte sul nostro tempo potremmo trovare lì, agli albori della democrazia! Chi sono i leghisti se non capipolo che incitano alla “hybris” attraverso la “hybris” come programma politico, producendo spettacoli raccapriccianti come quelli che abbiamo visto nella puntata di Annozero del 22 aprile? E perché il corpo del Duce non potrà mai essere sepolto veramente, ma sempre e continuamente esorcizzato? Democrazia e tirannide.

lunedì 3 maggio 2010

CONTRAFFAZIONI CALCISTICHE
Ha ragione lui. Non avrei mai immaginato di poterlo blaterare, ma sì, ha proprio ragione lui a dire che il calcio italiano è un vero schifo. Non so quanti di voi abbiano guardato la messa in scena costruita ieri sera sul prato verde dell'Olimpico e a quanti di voi possa interessare quello che sto per esternare, ma non riesco proprio farne a meno e perciò abbiate pazienza e lasciate che trovi consolazione scrivendo un breve post sul blog.
Una curiosa atmosfera aleggiava sul campo già al momento del calcio d'inizio: una calma olimpica (è il caso di dirlo) sovrastava indisturbata su quella che si solito chiamano curva nord ma che di curva non aveva un bel niente a parte la struttura architettonica dello stadio. Quasi un silenzio da cattedrale si librava sull'erbetta per nulla intimorita dal calpestìo (niente affatto violento) dei tacchetti degli undici calciatori. Sì undici, in quanto l'Inter giocava indisturbata contro una squadra fantasma di cui il solo portiere (evidentemente l'unico a non essere messo al corrente della tattica inesistente da dover espletare) continuava a conservare sembianze umane.
Dire che sembrava di osservare una partitella tra la prima squadra del campionato e l'ultima squadra della categoria eccellenza è dire poco. Passaggi lenti, quasi a rallentatore tra un calciatore ed un altro; aggressività da cagnolino sotto effetto di valium; abbracci festosi (al limite del bacio del perdono) tra un fallo ed un altro; calci d'angolo lanciati come se i piedi fossero stati affetti da alluce valgo o da calli e duroni incancreniti; finte corse per recuperare il pallone e, dulcis in fundo, acclamazione esultante laziale (con tanto di striscioni inneggianti alla grandezza dell'Inter e del suo allenatore!) alle reti vittoriose degli avversari interisti!
Complimenti all'Inter che ha vinto con fatica contro una vera squadra combattente e complimenti alla Lazio che non ha saputo davvero porsi al di sopra della vergogna cancellando così il vero volto della professionalità e della serietà agonistica.

sabato 24 aprile 2010

Profilo di una maschera sciolta

Detesto lo snobismo, perché sottende nella gran parte dei casi carenza di qualità intellettuali, nonché il deserto del cuore. Può essere inteso come un rifugio per chi è vinto dal mondo e, non potendolo confessare per via della fierezza autoreferenziale, odia il mondo, odia la diversità, odia il talento, odia la spontaneità. Si desidera che si noti un accessorio dell’arredamento delle apparenze, perché non si può consentire a nessuno di scavare nel fondo di ciò che conta: il nulla spaventa e fa fuggire anche l’idiota. Detesto l’egocentrismo più ancora dell’egoismo. L’individuo egocentrico è un solipsista morale: crede sul serio che tutto ciò che si produce davanti al suo sguardo sia un dono del mondo per lui. È il perno centrale di una giostra che ruota perpetuamente, senza motore, volta ad una direzione casuale, aleatoria piuttosto che meccanica.

La carriòla

Una sera come tante

Nella sua casa, una casa qualunque, una sera come tante, dopo aver svolto le solite attività, il poeta riflette su di sé, sui suoi proponimenti disattesi, sulla sua stanchezza e sulla sua abulia: si pone quindi varie domande sul futuro, anche se sa bene che esse rimarranno senza risposta e, alla fine, si rassegna ad accettare il suo ruolo di membro di una società di persone “senza storia”, di “utenti di servizi” che hanno ormai perso l’esatta coscienza del bene e del male, appagandosi di una acquiescenza che è una viltà, nata dalla paura e nascosta sotto la maschera di una falsa bontà e di uno stucchevole perbenismo.



Una sera come tante, e nuovamente
noi qui, chissà per quanto ancora, al nostro
settimo piano, dopo i soliti urli
i bambini si sono addormentati,
e dorme anche il cucciolo i cui escrementi
un’altra volta nello studio abbiamo trovati.
Lo batti col giornale, i suoi guaiti commenti

Una sera come tante, e i miei proponimenti
intatti, in apparenza, come anni
or sono, anzi più chiari, più concreti:
scrivere versi cristiani in cui si mostri
che mi distrusse ragazzo l’educazione dei preti;
due ore almeno ogni giorno per me;
basta con la bontà, qualche volta mentire.

Una sera come tante (quante ne resta a morire
di sere come questa?) e non tentato da nulla,
dico dal sonno, dalla voglia di bere,
o dall’angoscia futile che mi prendeva alle spalle,
né dalle mie impiegatizie frustrazioni:
mi ridomando, vorrei sapere,
se un giorno sarò meno stanco, se illusioni

siano le antiche speranze della salvezza;
o se nel mio corpo vile io soffra naturalmente
la sorte di ogni altro, non volgare
letteratura ma vita che si piega al suo vertice,
senza né più virtù né giovinezza.
Potremo avere domani una vita più semplice?
Ha un fine il nostro subire il presente?

Ma che si viva o si muoia è indifferente
se private persone senza storia
siamo, lettori di giornali, spettatori
televisivi, utenti di servizi:
dovremmo essere in molti, sbagliare in molti,
in compagnia di molti sommare i nostri vizi,
non questa grigia innocenza che inermi ci tiene

qui, dove il male è facile e inarrivabile il bene.
E’ nostalgia di futuro che mi estenua,
ma poi d’un sorriso si appaga o di un come-se-fosse!
Da quanti anni non vedo un fiume in piena?
Da quanto in questa viltà ci assicura
La nostra disciplina senza percosse?
Da quanto ha nome bontà la paura?

Una sera come tante, ed è la mia vecchia impostura
che dice: domani, domani… pur sapendo
che il nostro domani era già ieri da sempre.
La verità chiedeva assai più semplici tempre.
Ride il tranquillo despota che lo sa:
mi calcola fra i suoi lungo la strada che scendo.
C’è più onore in tradire che in esser fedeli a metà.

(Giovanni Giudici, da La vita in versi, 1965)


Ma in una giornata come tante il filantropo dalla cravatta rosa s’è finalmente infervorato di livore contro il sovrano onnipotente. Come il fantasma d’Amleto, dev’essergli apparso lo spettro di Almirante e come il calciatore che stufo della situazione decide di gettare al vento la maglia della sua squadra, il presidente della camera ha sbottato lasciando tutti nello sconcerto generale.
Vi ricordate di Petronio? Lo scrittore latino che fece parte della corte di Nerone con l’appellativo di arbiter elegantiae, cioè arbitro del buon gusto, così che l’imperatore lo predilesse come consigliere in fatto di gusto letterario e di manifestazioni mondane? Ebbene, la storia racconta che questa predilezione di Nerone per Petronio suscitò l’invidia di Tigellino, comandante delle guardie del corpo dell’imperatore; egli lo accusò di far parte della congiura contro Nerone, insinuando che Petronio era amico di un congiurato (tale Scevino) che era stato già condannato a morte. Petronio, non volendo attendere la sentenza di morte, si uccise incidendosi le vene e nel testamento rinfacciò a Nerone gli scandali di alcuni suoi cortigiani e cortigiane e le sue infamie e dissolutezze.
Ora, non sembra che F. sia stato accusato da qualche bondiano di turno d’ aver congiurato contro il sommo imperatore, fatto sta che il ribelle s’è proposto volontariamente all’ira dell’onnipotente e dei suoi servi imperituri. E non sembra neanche che si sia suicidato dopo aver dato lettura della sua epistola biliosa agli astanti suoi compagni. No, no. Ha affrontato il giudizio dell’immenso stando faccia a faccia con lui (che impertinente!) e l’ha redarguito senza remore. La storia ci svelerà senz’altro se l’arbiter elegantiae dell’adirato imperatore non avrà fatto altro che sottoscrivere la sua condanna a morte o se invece sarà riuscito a smuovere quel po’ di fango che s’annida nelle fogne della politica senza scrupoli.
F. s’è forse ispirato ai versi del poeta ligure?: “C’è più onore in tradire che in esser fedeli a metà”…
Se si potrà dare valore a questa rivoluzione finiana lo sapremo solo col tempo, che è galantuomo e svela sempre tutte le verità.
Continua…

Post scriptum
Scriveva Petronio nella sua epistola a Nerone:

[…] “Non credere, te ne prego, ch’io sia offeso per aver tu ucciso tua madre, tua moglie e tuo fratello; per aver incendiato Roma e mandato all’Erebo tutti gli uomini onesti che vivevano nei tuoi domini. No, pronipote di Chronos. La morte è retaggio dell’uomo, da te non c’era da aspettarsi altro. Ma assassinare per anni interi le orecchie della gente con le tue poesie, vedere il tuo ventre di Domizio su cotesti steli di gambe, roteato a mulinello in una danza pirrichia, udire la tua musica, la tua declamazione, i tuoi versi canini, miserabile poetastro da suburbio, è cosa che oltrepassa le mie forze, e ha detestato in me il desiderio di morire. Roma si tappa le orecchie quando t’ode, il mondo ti schernisce. Non posso né desidero più fare il viso rosso per te. I latrati di Cerbero, quantunque somiglino alla tua musica, mi faranno meno male, perché non sono stato mai amico di Cerbero, e non ho bisogno di vergognarmi del suo abbaiare. Addio, ma smetti di cantare, commetti omicidi, ma non scrivere più versi, avvelena la gente, ma non ballar più, sii incendiario, ma non suonare la cetra. Questo è l’augurio e l’ultimo amichevole consiglio che ti manda l’Arbiter elegantiae.”
[Tratto dal romanzo Quo vadis? dello scrittore polacco Henryk Sienkiewicz]

lunedì 19 aprile 2010

È un periodo intenso, dominato da incombenze di diversa natura. Le giornate traboccano di traduzioni, letture, scritture, impegni vari ed eventuali, deduzioni, induzioni. Inoltre, anche Federica ha davvero buone ragioni per mettere in po’ in garage la sua carriola. Bisogna aggiungere che diventa snervante dedicare l’attenzione alle liti dei maggiorenti, alla lottizzazione del Paese, alle follie della TV, a Berlusconi che sfrutta anche un funerale per filmare un superspot, a servizi morbosi e ricostruzioni maniacali di delitti di trent’anni fa. E poi, il blog non è stato plasmato per diventare un contenitore di noie o capricci personali. La logica del GF non può corrompere anche una delle poche riserve indiane di resistenza al Pensiero Unico. Il centrosinistra è deprimente. D’Alema fa venire l’orticaria. La mediocrità si diffonde in giro come una chiazza d’olio versata da un foro morto. Sarà il libro della sera, il custode della notte, a dare un senso alle nebbie della primavera? La notizia è la seguente: nonostante le ragioni contrapposte fossero preminenti, il blog resta in vita.

venerdì 9 aprile 2010

La carriòla
Distrazione

Nero tra il baglior polverulento d'un sole d'agosto che non dava respiro, un carro funebre di terza classe si fermò davanti al portone accostato d'una casa nuova d'una delle tante vie nuove di Roma, nel quartiere dei Prati di Castello.
Potevano esser le tre del pomeriggio.
Tutte quelle case nuove, per la maggior parte non ancora abitate, pareva guardassero coi vani delle finestre sguarnite quel carro nero.
Fatte da così poco apposta per accogliere la vita, invece della vita - ecco qua - la morte vedevano, che veniva a far preda giusto lì.
Prima della vita, la morte.
E se n'era venuto lentamente, a passo, quel carro. Il cocchiere, che cascava a pezzi dal sonno, con la tuba spelacchiata, buttata a sghembo sul naso, e un piede sul parafango davanti, al primo portone che gli era parso accostato in segno di lutto, aveva dato una stratta alle briglie, l'arresto al manubrio della martinicca, e s'era sdraiato a dormire piú comodamente su la cassetta.
Dalla porta dell'unica bottega della via s'affacciò, scostando la tenda di traliccio, unta e sgualcita, un omaccio spettorato, sudato, sanguigno, con le maniche della camicia rimboccate su le braccia pelose.
- Ps! – chiamò, rivolto al cocchiere. Ahò! Piú là...
Il cocchiere reclinò il capo per guardar di sotto la falda della tuba posata sul naso; allentò il freno; scosse le briglie sul dorso dei cavalli e passò avanti alla drogheria, senza dir nulla.
Qua o là, per lui, era lo stesso.
E davanti al portone, anch'esso accostato della casa piú in là, si fermò e riprese a dormire.
- Somaro! - borbottò il droghiere, scrollando le spalle. - Non s'accorge che tutti i portoni a quest'ora sono accostati. Deve esser nuovo del mestiere.
Così era veramente. E non gli piaceva per nientissimo affatto, quel mestiere, a Scalabrino. Ma aveva fatto il portinajo, e aveva litigato prima con tutti gl'inquilini e poi col padron di casa; il sagrestano a San Rocco, e aveva litigato col parroco; s'era messo per vetturino di piazza e aveva litigato con tutti i padroni di rimessa, fino a tre giorni fa. Ora, non trovando di meglio in quella stagionaccia morta, s'era allogato in una Impresa di pompe funebri. Avrebbe litigato pure con questa - lo sapeva sicuro - perché le cose storte, lui, non le poteva soffrire. E poi era disgraziato, ecco. Bastava vederlo. Le spalle in capo; gli occhi a sportello; la faccia gialla, come di cera, e il naso rosso. Perché rosso, il naso? Perché tutti lo prendessero per ubriacone; quando lui neppure lo sapeva che sapore avesse il vino.
- Puh!
Ne aveva fino alla gola, di quella vitaccia porca. E un giorno o l'altro, l'ultima litigata per bene l'avrebbe fatta con l'acqua del fiume, e buona notte.
Per ora là, mangiato dalle mosche e dalla noia, sotto la vampa cocente del sole, ad aspettar quel primo carico. Il morto.
O non gli sbucò, dopo una buona mezz'ora, da un altro portone in fondo, dall'altro lato della via?
- Te possino... (al morto) - esclamò tra i denti, accorrendo col carro, mentre i becchini, ansimanti sotto il peso d'una misera bara vestita di mussolo nero, filettata agli orli di fettuccia bianca, sacravano e protestavano:
- Te possino... (a lui) – Te pij n'accidenteO ch'er nummero der portone non te l'aveveno dato?
Scalabrino fece la voltata senza fiatare: aspettò che quelli aprissero lo sportello e introducessero il carico nel carro.
- Tira via!
E si mosse, lentamente, a passo, com'era venuto: ancora col piede alzato sul parafango davanti e la tuba sul naso.
Il carro, nudo. Non un nastro, non un fiore.
Dietro, una sola accompagnatrice.
Andava costei con un velo nero trapunto, da messa, calato sul volto; indossava una veste scura, di mussolo rasato, a fiorellini gialli, e un ombrellino chiaro aveva, sgargiante sotto il sole, aperto e appoggiato su la spalla.
Accompagnava il morto, ma si riparava dal sole con l'ombrellino. E teneva il capo basso, quasi piú per vergogna che per afflizione.
- Buon passeggio, ah Rosi'! - le gridò dietro il droghiere scamiciato, che s'era fatto di nuovo alla porta della bottega. E accompagnò il saluto con un riso sguaiato, scrollando il capo.
L'accompagnatrice si voltò a guardarlo attraverso il telo; alzò la mano col mezzo guanto di filo per fargli un cenno di saluto, poi l'abbassò per riprendersi di dietro la veste, e mostrò le scarpe scalcagnate. Aveva però i mezzi guanti di filo e l'ombrellino, lei.
- Povero sor Bernardo, come un cane, - disse forte qualcuno dalla finestra d'una casa.
Il droghiere guardò in su, seguitando a scrollare il capo. - Un professore, con la sola servaccia dietro... - gridò un'altra voce, di vecchia, da un'altra finestra.
Nel sole, quelle voci dall'alto sonavano nel silenzio della strada deserta, strane.
Prima di svoltare, Scalabrino pensò di proporre all'accompagnatrice di pigliare a nolo una vettura per far piú presto, già che nessun cane era venuto a far coda a quel mortorio.
- Con questo sole... a quest'ora...
Rosina scosse il capo sotto il velo. Aveva fatto giuramento, lei, che avrebbe accompagnato a piedi il padrone fino all'imboccatura di via San Lorenzo.
- Ma che ti vede il padrone? Niente! Giuramento. La vettura, se mai, l'avrebbe presa, lassú, fino a Campoverano. - E se te la pago io? - insistette Scalabrino.
Niente. Giuramento.
Scalabrino masticò sotto la tuba un'altra imprecazione e seguitò a passo, prima per il ponte Cavour, poi per Via Tomacelli e per Via Condotti e per Piazza di Spagna e Via Due Macelli e Capo le Case e Via Sistina.
Fin qui, tanto o quanto, si tenne su, sveglio, per scansare le altre vetture, i tram elettrici e le automobili considerando che a quel mortorio lì nessuno avrebbe fatto largo e portato rispetto.
Ma quando, attraversata sempre a passo Piazza Barberini, imboccò l'erta via di San Niccolò da Tolentino, rialzò il piede sul parafango, si calò di nuovo la tuba sul naso e si riaccomodò a dormire.
I cavalli, tanto, sapevano la via.
I rari passanti si fermavano e si voltavano a mirare, tra stupiti e indignati. Il sonno del cocchiere su la cassetta e il sonno del morto dentro il carro: freddo e nel buio, quello del morto; caldo e nel sole, quello del cocchiere; e poi quell'unica accompagnatrice con l'ombrellino chiaro e il velo abbassato sul volto: tutto l'insieme di quel mortorio, insomma, così zitto zitto e solo solo, a quell'ora bruciata, faceva proprio cader le braccia.
Non era il modo, quello, d'andarsene all'altro mondo! Scelti male il giorno, l'ora, la stagione. Pareva che quel morto lì avesse sdegnato di dare alla morte una conveniente serietà. Irritava. Quasi quasi aveva ragione il cocchiere che se la dormiva.
E così avesse seguitato a dormire Scalabrino fino al principio di Via San Lorenzo! Ma i cavalli, appena superata l'erta svoltando per Via Volturno, pensarono bene d'avanzare un po' il passo: e Scalabrino si destò.
Ora, destarsi, veder fermo sul marciapiedi a sinistra un signore allampanato, barbuto, con grossi occhiali neri, stremenzito in un abito grigio sorcigno, e sentirsi arrivare in faccia, su la tuba, un grosso involto, fu tutt'uno!
Prima che Scalabrino avesse tempo di riaversi, quel signore s'era buttato innanzi ai cavalli, li aveva fermati e, avventando gesti minacciosi, quasi volesse scagliar le mani, non avendo piú altro da scagliare, urlava, sbraitava:
- A me? a me? mascalzone! canaglia! manigoldo! a un padre di famiglia? a un padre di otto figliuoli? manigoldo! farabutto!
Tutta la gente che si trovava a passare per via e tutti i bottegai e gli avventori s'affollarono di corsa attorno al carro e tutti gl'inquilini delle case vicine s'affacciarono alle finestre, e altri curiosi accorsero, al clamore, dalle prossime vie, i quali, non riuscendo a sapere che cosa fosse accaduto, smaniavano, accostandosi a questo o a quello, e si drizzavano su la punta dei piedi.
- Ma che è stato?
- Uhm... pare che... dice che... non so!
- Ma c'è il morto?
- Dove?
- Nel carro, c'è?
- Uhm!... Chi è morto?
- Gli pigliano la contravvenzione!
- Al morto?
- Al cocchiere...
- E perché?
- Mah!... pare che... dice che...
Il signore grigio allampanato seguitava intanto a sbraitare presso la vetrata d'un caffè, dove lo avevano trascinato; reclamava l'involto scagliato contro il cocchiere; ma non s'arrivava ancora a comprendere perché glielo avesse scagliato. Sul carro, il cocchiere cadaverico, con gli occhi miopi strizzati, si rimetteva in sesto la tuba e rispondeva alla guardia di città che, tra la calca e lo schiamazzo, prendeva appunti su un taccuino.
Alla fine il carro si mosse tra la folla che gli fece largo vociando; ma, come apparve di nuovo, sotto l'ombrellino chiaro, col velo nero abbassato sul volto, quell'unica accompagnatrice - silenzio. Solo qualche monellaccio fischiò.
Che era insomma accaduto?
Niente. Una piccola distrazione. Vetturino di piazza fino a tre giorni fa, Scalabrino, stordito dal sole, svegliato di soprassalto, si era scordato di trovarsi su un carro funebre: gli era parso d'essere ancora su la cassetta d'una botticella e, avvezzo com'era ormai da tanti anni a invitar la gente per via a servirsi del suo legno, vedendosi guardato da quel signore sorcigno fermo lì sul marciapiedi, gli aveva fatto segno col dito, se voleva montare.
E quel signore, per un piccolo segno, tutto quel baccano...


[Dalla raccolta di novelle 'La vita nuda' di Luigi Pirandello]


* * * * *
Cara patria, quanto laida e comica sembri, così sballottata per le vie più perigliose di un futuro misurato sul nulla. Che infausto cocchiere ti traghetta su per l’erta via del centro, ostentando la sua fiera aria da vespillone con l’eterno vizio di distrarsi dalle necessità latenti del momento per accorgersi tardivamente della realtà misera che circonda il paese. Ora spinge il carrozzone verso la salita del Colle, e s’inerpica, e s’arrabatta per non cadere dal posto a cassetta e conquistare l’ambito premio per poi andare in pensione? No, niente. Giuramento. O patto mefistofelico? Fino alla fine dei tempi il vespillone resterà saldo e ci condurrà tutti all’inferno. Prosit.

martedì 6 aprile 2010

Un anno dopo. Il dovere di non dimenticare
NESSUNO


lunedì 5 aprile 2010

Mostri del Signore per l'Olocausto bianco

Piegare un corpo o una coscienza è un atto di brutalità. Ma forzare un corpicino ancora immaturo per la soddisfazione di certe pulsioni animalesche è uno crimini più oscuri che si possa concepire. Si tratta di un'azione carica di violenza dis-umana, capace di sgretolare la coscienza sull'impressione di un livido che resta per sempre, un gesto degno di abominio che è al di là del bene e del male, né immorale né amorale, quanto piuttosto premorale, ovvero riconducibile ad una dimensione disopraffazioni bestiali, impero della carne e deserto del cuore. Il pedofilo violenta la ragione della civiltà agendo nel registro della sospensione degli imperativi morali: è il servo ottuso delle proprie inconfessabili perversioni. Si tratta di una figura imperdonabile, da bandire dalla civitas. La comunità deve abortirlo e rimuoverlo, rovesciandolo nel fondo oscuro di una cella, finché - per la grazia del mondo - non avrà tolto il disturbo. Non ha alcun senso prestar fede alla logica che promuove strategie di recupero o di riabilitazione sociale, poiché il pedofilo è per principio recidivo. Dopo anni di piaceri solitari (volti a soffocare in masturbazioni innocue, ma non innocenti, i fantasmi che attraversano i suoi visceri), può improvvisamente riconquistare la prima pagina dell'opinione pubblica.

Il reato di pedofilia commesso da un individuo che ha avuto la vocazione di farsi consacrare ministro di Dio è forse la massima espressione dell'orrore. C'è più barbarie nella mano allungata di un sacerdote su un corpo innocente piuttosto che nelle condotte di un sergente della Wehrmacht. Agendo in una dimensione premorale, si macchia di uno crimini più oscuri proprio chi si impone a livello sociale come il custode e il divulgatore dell'unica morale possibile. La violenza brutale si allea con la dissimulazione in una messinscena pretesca, che è odio per la spontaneità e per la gioia di vivere. Magari quel sacerdote si rifiuta di offrire l'ostia ad una donna divorziata (costretta a fuggire dal picchiatore della sera), organizza fiaccolate contro chi, come Beppino Englaro, si è battuto per la dignità di una persona, o scaccia giovani gay dal proprio centro sociale, per poi sciogliersi in facciate mielose ed unte di ipocrisia.

giovedì 1 aprile 2010

Professor chi?
Centinaia di docenti a contratto resteranno senza un corso o saranno "costretti" a insegnare gratis. Alcuni del resto già lo fanno. Sono i precari della cattedra, quelli che da anni vengono spremuti dalle università italiane, tenuti a far lezione anche a cento o duecento allievi per volta, quelli che fanno ricevimento studenti, seguono le tesi, assistono agli esami, danno i voti. Docenti a tutti gli effetti eppure invisibili, "non strutturati": i loro nomi non si trovano né fra i ricercatori, né fra gli associati, né fra gli ordinari. Non hanno alcuna rappresentanza nelle facoltà, né negli organi di governo delle università. Sono esterni, cattedre low cost, in genere freschi di studio, aggiornati e qualificati. Molti hanno già avuto assegni di ricerca e borse di studio e vengono "parcheggiati" nella docenza più precaria che esista perché in questo modo le accademie possono continuare ad assicurare corsi a costo zero o a compensi irrisori. Dal loro canto, alcuni accettano lo stesso questi contratti capestro per proseguire il lavoro nel mondo accademico e sperando che prima o poi le università riaprano il reclutamento. Il fatto è che sono tanti, anzi tantissimi se in questa categoria di precari si includono anche assegnisti e contrattisti "costretti" pure loro a insegnare gratis. L'ultima rilevazione statistica del ministero è del 2008 e ne contava circa 38mila. Per anni gli atenei hanno pescato da questo serbatoio per creare nuovi corsi e ampliare l'offerta formativa. Di recente è entrata in vigore una norma che impone che i corsi di laurea debbano essere tenuti almeno per il 50% da docenti strutturati (cioè ordinari, associati o ricercatori). Con la stretta finanziaria del governo sulle risorse alle università, i docenti a contratto sono i primi "esuberi" ad essere tagliati. Siccome però gli insegnamenti che coprono sono numerosi, gli atenei trovano una via di fuga offrendo la docenza gratuita oppure offrendo compensi risicati e diversi da ateneo ad ateneo, o da facoltà a facoltà: da zero a mille o duemila euro l'anno. "Per uno che rifiuta c'è la fila comunque fuori dalla porta" racconta un professore dell'università la Sapienza. E' così che con la crisi finanziaria, avanza questa figura atipica, questa specie di "volontariato" della cattedra. "Anche in passato c'erano università che ci proponevano corsi a stipendio zero", spiega un ricercatore dell'università di Firenze. Il fenomeno è in ulteriore crescita. A Pisa è partita la campagna "Gratis io non lavoro" che è un invito a rifiutare di tenere insegnamenti senza ricevere in cambio alcun compenso. Ma corsi non retribuiti si incontrano in diverse università: Napoli, Palermo, Siena, Cassino, Pisa, Firenze, Roma. "Siamo noi il vero tesoretto degli atenei - spiega Ilaria Agostini, del Coordinamento nazionale ricercatori precari della Cgil - negli ultimi sei anni io ho firmato 15 contratti con le università di Perugia, Ginevra e Firenze. Quest'anno ho detto basta, non ci sto: Firenze mi ha chiesto di salire in cattedra gratuitamente, prima mi pagavano tre euro lorde l'ora adesso zero, non è nemmeno un contratto di lavoro è una carta dove ci sono soltanto doveri e un unico diritto, quello di avere una casella di posta elettronica targata unifi".

mercoledì 31 marzo 2010

Perché ha vinto la destra

Bisogna avere il coraggio di essere onesti in primo luogo con se stessi, poi anche con il mondo. Il centrodestra ha vinto le elezioni regionali. Le sfide decisive (relative alla conquista della carica di governatore del Lazio e del Piemonte) si sono risolte nell'offerta di un'insperata boccata d'ossigeno per la maggioranza. Se il centrosinistra avesse vinto in Piemonte, avremmo fatto riferimento ad un pareggio (probabilmente il risultato più giusto). L'affermazione del centrodestra non riconosce un tributo popolare in omaggio alle presunte (e davvero discutibili) ragioni del Governo. Se fosse stato così, il PDL non avrebbe perso più di due milioni di voti rispetto alle elezioni europee della scorsa estate. La vittoria non ha un valore essenziale, poiché è legata piuttosto a fattori contingenti. E' un dato di fatto innegabile che il leghista Cota abbia sconfitto la governatrice uscente del Piemonte Bresso soltanto in virtù dell'eccellente affermazione del movimento populista di Grillo, che ha estorto i voti al popolo no TAV prosciugando le riserve provinciali dei partiti di centrosinistra. Grillo ha consegnato il Piemonte alla destra. Può essere presentato come il miglior alleato di Berlusconi, sicuramente preferibile anche a leghisti e postmissini, poiché mette in pratica i propri compiti senza chiedere in cambio parcelle, poltrone o altro. Fu proprio lui, il barbone ricco da Genova, incantatore di internauti assopiti, ad anticipare il collasso dell'ultima legislatura di centrosinistra. E' un dato di fatto che se il centrosinistra avesse avuto il coraggio di candidare Chiamparino, il sindaco di Torino, decisamente più carismatico e popolare della Bresso, non staremmo qui a piangere sui cocci. Più complesso è invece il discorso del Lazio, dal momento che impone il riconoscimento di macchinazioni sotterranee ai danni della Bonino, abortista mangiapreti. E' una storia oscura in cui si intrecciano emissioni velenose di incenso e la prostituzione delle lande provinciali per il padrone berluscomico di turno.

sabato 27 marzo 2010

Scrutando nella cavità dell’urna
Ha perfettamente ragione la cara Federica, che trascina la carriòla del pensiero fino al limite supremo delle contaminazioni del non senso nelle pieghe dell’esistente, nel momento in cui sostiene con passione esistenziale che si vedono e vendono in giro sciamani ed apprendisti stregoni. Ha ancor più ragione, sacrosanta ragione, nel momento in cui (facendo un passo in più) sottolinea con coraggio ed onestà intellettuale la strumentalità della caccia alle streghe che impegna con zelo le gerarchie di certi apparati di potere (cfr. F. Passarelli, “Il secolo dal lume sfocato", in La carriòla, 19 marzo 2010). Questa premessa è oltremodo necessaria, per legittimare il passatempo che ho inventato per la prima parte di un anonimo sabato sera di inizio primavera. Vorrei provare a fare un pronostico sull’esito delle consultazioni elettorali di domani e lunedì mattina, passando in rassegna Regione per Regione. Ci tengo a sottolineare che non ho facoltà divinatorie e che ho sempre considerato quanti si vantano di essere esperti di futuri contingenti cialtroni da prendere a randellate. Rievocando un’argomentazione tratta dal De interpretatione di Aristotele, non posso sostenere: “domani ci sarà una battaglia navale” o “domani non ci sarà una battaglia navale”, ma soltanto “domani ci sarà o non ci sarà una battaglia navale”. Ciò nonostante, vorrei concedermi un giochino sociologico, un esperimento per capire fino a che punto sia possibile fare un’analisi seria delle variabili in campo. Ad ogni modo, si tratta di un gioco e pertanto, tralasciando metodi più o meno sperimentali, sono pronto a farmi condizionare anche dalla sfera dei miei privati desiderata. Non mi occupo specificamente dell’astensionismo, perché è anch’esso un voto, una denuncia sociale. I nomi delle Regioni tinti di rosso denotano una previsione favorevole per il centrosinistra, mentre quelli macchiati di blu stanno per affermazioni filogovernative.


PIEMONTE

Credo che sia oltremodo probabile la riconferma della governatrice uscente Bresso, favorito dal sostegno concessole dall’UDC in chiave antileghista.


LIGURIA

Vale lo stesso discorso del Piemonte. L’apparentamento del centrosinistra con l’UDC pare una ragion sufficiente per ipotizzare anche la riconferma di Burlando.


LOMBARDIA

Non ha senso spendere tante parole. È scontata la vittoria di Formigoni.


VENETO

Idem. Vittoria scontata di Zaia.


EMILIA ROMAGNA

Non c’è partita: netta riaffermazione del presidente Errani.


TOSCANA

Tutto lascia intedendere che la Regione continui ad essere un fortino progressista: vittoria di Rossi e nel suo cognome c’è già un perché.


UMBRIA

Senza mezzi termini, la spunterà la Marini.


MARCHE

Nonostante le forze di sinistra conducano un’inutile battaglia solitaria, è da prevedere la riconferma del presidente Spacca.


LAZIO

È senza dubbio la sfida-chiave. Se non ci fosse stato il pasticcio della lista del PDL con l’appendice dello scandalo-salvalista, avrei puntato sulla sindacalista frequentatrice di salotti altolocati. Dal momento che le avventure trasgressive di Marrazzo sono state ormai metabolizzate anche dall’elettore più moralista, credo che la Bonino abbia tutto per centrare una vittoria storica.


CAMPANIA

I fallimenti delle Giunte di Bassolino sono troppo palesi per poter credere che il carisma del sindaco storico di Salerno (amatissimo dai suoi concittadini), possa valere come panacea per il centrosinistra. È da stimare oltremodo probabile, pertanto, una vittoria per l’anonimo e pseudosocialista Caldoro.


PUGLIA

Non ho dubbi: Nichi Vendola, più forte degli scandali della Sanità e delle puttane di Tarantini, aiutato dalla candidatura centrista ed antiberlusconiana della Poli Bortone (molto forte nel Salento) veleggia verso la riconferma.


BASILICATA

Il centrosinistra è troppo radicato: riconferma di Di Filippo.


CALABRIA

La giunta Loiero verrà spazzata via dalla vittoria del popolare e populista sindaco Scopelliti, agevolato anche dall’outsider Callipo sostenuto da dipietristi e radicali.

Giochino terminato. Lunedì sera faremo i conti.

venerdì 26 marzo 2010

La carriòla


Ma il cielo è sempre più blu...uh-uh...



Ammettiamolo pure. Un po’ di delusione c’è. Ma come?, sembrava fosse stato raggiunto uno dei traguardi più ambiti e desiderati, quel traguardo che più di tutti aveva fatto scervellare numerosi presidenti della storia americana e che solo grazie ad Obama è riuscito a vedere la luce e ad essere osannato come la più grande riforma mai realizzata. Mi riferisco alla riforma sanitaria, quella che promette assistenza al novantacinque per cento degli americani e che finalmente è riuscita ad avere la sua brava attuazione ottenendo, fra l’altro, anche l’appoggio degli antiabortisti. Meraviglia del governo Obama, acclamato, a ragione, dal suo entourage e non solo. Eppure che ti va a capitare? Un vero e proprio inghippo alla maniera nostrana che scombina i piani facendo svaporare tutto l’entusiasmo per il risultato storico raggiunto. Insomma, per un vizio di forma nell’approvazione della legge sulla sanità, andato a ripescare chissà come e dove dagli oppositori repubblicani, occorrerà votare di nuovo. Sembra quasi il siparietto che si staglia di tanto in tanto nelle nostre perfette imperfezioni burocratiche. Ma tant’è.
Dalle nostre parti, invece, qualcuno s’è prodigato al fine di risolvere per sempre quei problemucci legati all’incomprensione di leggi e leggine proponendo una vera e propria risoluzione definitiva.
Rimandando di qualche giorno il tradizionale falò di San Giuseppe (dovete sapere che dalle nostre parti, quelle che vengono definite dei ‘terroni’ e non degli italiani, c’è ancora l’usanza, superata anch’essa, per carità, rispetto alle modernità più in voga nel resto della Penisola, c’è ancora l’usanza, dicevo, di allestire nella giornata del Santo più dimenticato e snobbato dell’universo celeste, un falò in ogni piazza o quartiere del paese, a cui di solito s’accompagna una piccola sagra mangereccia e a cui si partecipa andandosene in giro - senza l’automobile! - fin quando non si è troppo stanchi e bisognosi del riposo notturno), dunque, rimandando di qualche giorno il tradizionale falò di San Giuseppe, il ministro per la Semplificazione Normativa, quello che ha la cravatta color dell’invidia stretta al collo per intenderci, o quello, se volete, a cui Caronte avrebbe volentieri ceduto il posto di capo traghettatore, quello lì insomma, ebbene, questo losco figuro, saturo oltremisura dell’ambientino niente male del suo acheronte mentale, ha pensato bene di trasformarsi in un draghetto lanciafiamme per poter polverizzare all’istante trecentosettantacinquemila atti normativi definiti ‘inutili’. Misericordia!, e come avrà fatto a decidere quali buttare e quali conservare? Col giochino della margherita, forse?: “questa si brucia, questa no!”. Una vera forza della natura. Certo, ognuno poi ha i suoi bravi impegni da rispettare, e così mentre Calderoli gioca al piccolo piromane il suo compagno di divertimenti s’inventa un comizio in un’altra piazza (ben diversa da quelle in cui noialtri facciamo bruciare i nostri falò), ossia quella del Mercato di Brescia, ‘infiammando’ il suo popolo con la presentazione di Renzo (non quello manzoniano, è certo), suo figlio, leghista in erba, che si butta nel calderone della campagna elettorale. Potenza della politica! Anche se suo padre sostiene che lui manda avanti soltanto chi lavora. Ma non si tratta dello stesso giovane che era stato bocciato a scuola, o mi sbaglio? Be’, che dire, ne ha fatta di strada; spesso sono proprio questi i luminari che s’attaccano alla politica piuttosto che darsi all’agricoltura (e a proposito di campagna, io l’avrei inquadrato bene in un paesaggio agreste, piuttosto che in quello elettorale). Ma attenzione, non fraintendetemi. Provo il massimo rispetto per la categoria dei lavoratori agricoli, dato che anche per questo lavoro realmente faticoso occorre un buon cervello. Si vede che Renzo ha dovuto scegliere la strada meno impegnativa. Fenomeni da baraccone o meglio, da carroccione piuttosto, e abbiate la gentilezza di passarmi il neologismo su licenza poetica!
E mentre c’è chi pensa all’avvenire dei propri figli, qualcun altro pensa ai figli degli immigrati. Il presidente della Camera propone direttamente a…chi, alla Lega? la questione della cittadinanza per gli immigrati. Egli sostiene, infatti, che per i bambini, figli di immigrati, sia se nati in Italia, sia se nati all’estero ma trasferiti in tenera età nel nostro Paese, è necessario pensare ad un percorso breve per la cittadinanza. Ma dico! È fuori di testa? Come gli viene in mente di proporre un’idea simile alla Lega? Forse non lo sa che il Carroccio intende richiedere un test d’italiano per coloro - immigrati - che vogliono aprire un bar o un ristorante in Lombardia? Il consigliere regionale della Lega Nord (certo Cecchetti) ha sostenuto che la conoscenza dell’italiano è indispensabile per chi deve gestire un’attività di somministrazione di bevande o alimenti, in primo luogo per la sicurezza e la salute del consumatore (?). Pertanto, figuriamoci se si potrà mai riconoscere ai figli d’immigrati (che non parlano italiano, o milanese?) il diritto ad ottenere velocemente la cittadinanza italiana. Io, dal mio cantuccio, sostengo che la conoscenza dell’italiano sia indispensabile anche per poter svolgere attività politica o amministrativa e non solo. Congiuntivi e virtù grammaticali sono una rarità tra questi personaggi in cerca di gloria.
L’idea del presidente della Camera sarebbe comunque da assecondare, se non altro per evitare che s’allarghino all’intera Penisola quelle iniziative povere d’umanità che si sono affermate (guarda caso) in un paese della provincia di Vicenza: niente pranzetto per otto bambini delle elementari e della materna, ma panino (non si sa se vuoto) e bottiglietta d’acqua, perché i genitori dei piccoli non avevano pagato la retta della mensa.
Ora, dico io, non è che l’incresciosa iniziativa s’è delineata perché di questi otto bambini sei erano stranieri? Il sindaco leghista ha sostenuto che le regole sono regole per tutti e perciò vanno rispettate; il mondo non può essere dei furbi. No. Ma magari una parte di mondo è anche occupata da indigenti e così la Caritas di Vicenza s’è dimostrata pronta a coprire le spese di quelle otto famiglie, in quanto, sostiene la stessa, nessun bambino deve essere umiliato nella sua dignità, ancor prima che nei suoi bisogni primari. Ad ogni modo pare che dopo la magra figura fatta attraverso i titoli dei quotidiani e i servizi dei telegiornali, nel paesino della provincia di Vicenza gli otto bambini insolventi hanno potuto gustare un pasto completo.
Bene, dopo la lussuriosa panoramica sul décolleté flaccido di questa spossata Patria, riserviamoci un po’ di meritato riposo: non dimenticate che torna l’ora legale e che pertanto saremo costretti a dormire un’oretta in meno! L’estate sta avvicinandosi e qualcuno già s’industria ad innalzare gazebo in giardino. Fascino irresistibile della tanto ricercata abbronzatura presidenziale!

giovedì 25 marzo 2010

Alternativa democratica o barbarie
Le recenti elezioni regionali francesi dimostrano senza dubbio che non è affatto sufficiente far sapere in giro, magari ad arte, che la gran libertina è pronta a saltare ufficialmente su un altro letto, per scaldare i cuori delle casalinghe e magari limitare i danni causati dalla presa di coscienza dei limiti di un esecutivo pubblicitario, distante dai problemi quotidiani della gente.

In Italia il discorso non è poi così diverso. Sarà interessante comprendere fino a che punto si possa sostenere che l'opinione pubblica inizi ad affrancarsi dall'assuefazione mediatica al berlusconismo. Quel nano schizofrenico merita una lezione democratica. Abbandonarsi al sonno mentre i Barbari saccheggiano la Città, devastando i templi e violentando il corpo giuridico, nume tutelare in un secolo di tenebre, oppure bandire i sofisti dell'ultimora, i lucripetae, architetti della speculazione, al di fuori delle mura: ecco l'unico senso dell'appuntamento democratico di domenica prossima.