La vita è esperienza, cioè improvvisazione, utilizzazione delle occasioni; la vita è tentativo in tutti i sensi. Donde il fatto, a un tempo imponente e assai spesso misconosciuto, delle mostruosità che la vita ammette
Georges Canguilhem



domenica 28 febbraio 2010

Primo marzo, la rivolta gialla dei migranti

Indesiderati e indispensabili. La contraddizione, che da anni viene marchiata sulla pelle degli immigrati in Italia, domani verrà allo scoperto. Il primo marzo, infatti, si candida ad essere il primo giorno “senza”. Senza badanti ad assistere gli anziani, senza operai (regolari) a lavorare e a pagare i contributi per i pensionati, senza braccianti (irregolari) a raccogliere le arance. Ma anche senza madri immigrate a comprare quaderni e matite per i loro figli che vanno a scuola. Senza autisti di autobus, impiegati delle poste, medici. Una giornata con gli alimentari vuoti, i bar deserti, le linee telefoniche mute. L'idea è arrivata dalla Francia e gli organizzatori italiani la raccontano così: «Le nostre società vivono grazie al lavoro di migliaia di stranieri. L'Italia funziona ogni giorno grazie a loro ma se ne vergogna. Così cerca di ignorarli, chiuderli fuori, annegarli in mare come si fa con le cucciolate di gattini troppo numerose. Si vergognano di noi? Bene vediamo che succede se per un giorno noi non ci siamo». Ecco come è nato lo sciopero degli stranieri che vorrebbe bloccare l'Italia, oltre alla Francia, alla Spagna e alla Grecia, il primo marzo. Non saranno in tanti a potersi permettere di scioperare, perché i sindacati nazionali non hanno indetto lo sciopero, perché gli stranieri che hanno un impiego regolare se lo tengono stretto e perché in tanti lavorano in nero e quindi uno sciopero proprio non lo possono fare. Ma le città italiane saranno “gialle” comunque. Questo è il colore scelto per caratterizzare le proteste nelle oltre sessanta piazze che ospiteranno gli eventi. «A Varese verra' offerto un 'pranzo etnico' agli agenti della polizia penitenziaria - spiega Francesca Terzoni, portavoce nazionale del comitato Primo Marzo 2010 - a Trieste ci adopereremo per cancellare le scritte razziste dai muri, a Bologna ci sara' una mostra fotografica all'aperto con i volti dei 'nuovi italiani', a Milano verranno offerte delle lezioni di lingua straniera in piazza». E alle 18.30, in tutte le piazze italiane coinvolte verranno 'liberati' dei palloncini gialli. Nata in maniera spontanea, la protesta del Primo Marzo ha ricevuto l'adesione di una serie di organizzazioni, tra cui Emergency e Legambiente, partiti politici (Pd, Sel e Rifondazione Comunista) e delle rappresentanze di diversi sindacati di Cgil, Cisl e Uil, che pur dando il loro sostegno, non hanno proclamato lo sciopero generale a livello nazionale. Poche ore e si saprà se l'«onda gialla» arriverà a smentirli.

venerdì 26 febbraio 2010

La carriòla
La quiete dopo...


Passata è la tempesta:
odo pace nella testa, e la melodia
ritornata per la sua via,
che non ripete il suo verso. Ecco, il piemontese
non rompe più là dalla riviera di ponente, al popol d’Italia;
si scopre la mannaia,
e più chiaro all’orizzonte il futuro appare.
Ogni cor si rallegra, in ogni lato
risorge il colorito
torna l’abitudine usata.
Il fruttarolo a mirar l’umido cielo
col frutto in man ratto al lancio
si sporge in avanti; a prova
s’allontana il pupettino che rincorre
il tron mai cavalcato;
e il giocator rinnova
di tappeto in tappeto
la puntata giornaliera.
Ecco il sol che ritorna, ecco sorride!
per le città e le campagne. Apre i balconi,
apre terrazzi e logge la famiglia:
e, dalla via corrente, odi lontano
tintinnio di catene; quelle che stringon di forza
l’infausto propositor dell’imbarazzante
canto sanremese.

E si rallegra ogni core…
Ma sì dolce, sì gradita
com’era prima questa vita?
Quando con tanto clamore
l’uomo insensato non si faceva presente?
Or torna di nuovo? o cosa vuol intraprender?
Quando de’ mali suoi men si ricorda?
Figlio di padri snaturati
sovrani vani, che son frutto
del passato non tanto andato, onde si scosse
e paventò la morte
chi la vita non sacrificò alla corona;
onde in lungo tormento,
fredde, tacite, smorte,
sudar le genti e palpitar, venendo
lasciati al proprio destino, abbandonati
alle offese e al tosto nemico.

O principe scortese,
con questo ripaghi le offese,
questo il diletto
che tu porgi ai mortali. Uscir dai
gangheri non è diletto fra noi.
Ma se tu pene spargi a larga man;
il duolo spontaneo sorge: e di piacer
quel tanto che la musica ci lascia
goder, tu non profanar, chè è per te
gran guadagno, si sa. E quell’ominide strano
che t’è caro compagno di clamor beffardo,
torni nella sua culla del piccolo cantor ignoto;
ben fece l’orchestra se gli spartiti in aria lanciò;
e noi assai felici sarem se ritornar tra i prati d’oltralpe vorrai
così nessun altro dolor procurerai.
E beato sei te che d’ogni vuoto mental
l’effige sovrana ti sa risanar.

lunedì 22 febbraio 2010

Indietro Savoia! Ritratto di un idiota

Ha il quoziente intellettivo di un fagiano e nella sua canzoncina da operetta di quinta categoria cita la sua “cultura”. Proclama la sua letterina d’amore al Paese tre anni dopo aver chiesto allo Stato con l’illustre padre 260 milioni di risarcimento per i danni morali subiti in 54 anni d’esilio. È l’orgoglio dei monarchici italiani, quattro bestie fortunatamente destinate all’estinzione. L’anno scorso si è candidato alle Elezioni Europee con l’UDC di Casini e nel suo distretto è stato sconfitto da un altro idiota senza speranze, Magdi Cristiano Allam, che fulminato sulla via di Damasco è diventato un integralista cattolico, tipo più pericoloso del musulmando moderato ed emancipato, aperto all’Occidente. Inventato come mostro televisivo da Fabio Fazio ai tempi della sua gestione di Quelli che il calcio…, ha tentato di occupare disperatamente il teleschermo nel corso degli ultimi anni, offrendo quello che la TV generalista richiede per andare in onda: il nulla. Dopo aver ballato dalla Carlucci ha preteso di stonare come un ubriaco sul palco del Festival, infettandolo. Ha proposto con altri due idioti (un nano arrogante e un tenorino venduto) una delle canzoni più sciocche ed inascoltabili che siano mai state incise in Italia. Michele Serra l’ha definita giustamente la ridicolizzazione della destra italiana. Intrisa di un vuoto patriottismo da sezione di estema provincia del MSI anni Sessanta, giocata sul vincolo obsoleto ed analfabeta Patria-Dio, è un auntentico orrore, la cui affermazione telecomandata ha provocato la rivolta degli orchestrali e l’esplosione del pubblico. È probabile che Vittorio Emanuele abbia commissionato il voto per quel gioiello del figlio a diversi call-center. È probabile che con lo stesso sistema truffaldino l’Idiota sia riuscito ad affermarsi anche a Ballando con le stelle (per saperne di più, cfr. http://www.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/2010/02/23/news/inchiesta_televoto-2397745/). Il pubblico non è dalla sua parte. L’Italia che si è prostituita per Berlusconi non è così malconcia da graziare uno spaventapasseri vinto dalla storia, senza speranze, che andrebbe spedito su un gommone con biglietto di sola andata in Libia. Lo spettacolo che ha offerto col nano raccomandato e col tenorino sarebbe riuscito ancora meglio se avesse coinvolto anche Vittorio Emanuele, che durante l'esibizione avrebbe potuto magari giocare con i videopoker e palpare escort svizzere. Il Referendum del 1948 con i suoi brogli è stato la fortuna per il Paese. Come ha scritto Oliviero Beha: c’è da chiedersi se sia torpida furbizia cantare “Viva l’Italia” o quel che è da parte di un Savoia, dopo tutto quello che hanno combinato”. Indietro Savoia, famigliola di temerari guastafeste!

martedì 16 febbraio 2010

Afta

Se ci attenessimo alla consultazione di un buon dizionario medico, dovremmo riconoscere che l’afta è una lesione della mucosa orale consistente in una vescicola che presto si apre per dar luogo ad un’ulcerazione ovale di colore grigio-giallastro. È dolorosa (per via del bruciore che causa) e può comportare fastidi sia all’alimentazione sia alla fonazione. La guarigione avviene spontaneamente in 10-15 giorni, anche se le recidive sono molto frequenti. A volte le lesioni aftose tendono ad estendersi in superficie e in profondità, raggiungendo così dimensioni notevoli; in quei casi la gaurigione avviene più lentamente con esiti cicatrizzanti. Le cause del fenomeno sono sconosciute: esiste una predisposizione ereditaria e possono rivelarsi decisivi forti stimoli emozionali. L’afta è il segno della mia esistenza, prova tangibile della reciproche interferenze vigenti fra ciò che l’anima patisce e il modo in cui il corpo agisce, ribellandosi furiosamente. Sono nato per caso in un centro urbano che ha la configurazione paesaggistica e morale di una terrificante e velenosa afta estesa alla base di un dente cariato. Quando avevo ancora pochi mesi fui oppresso da spaventosi stati febbrili attestati sulla temperatura corporea di 40°. Un infante in fiamme che urla per un dolore sconosciuto, causato da un male invisibile. Il pediatra faticò non poco a pronunciare la condanna di un’esistenza: afta. Da allora il ciclo di un percorso esistenziale è scandito da ripetizioni cicliche (maledettamente puntuali) di violente stomatiti aftose. Sembra una maledizione celeste per farmi tacere o magari dimagrire. In realtà, si tratta più banalmente di uno sfogo che ha la connotazione di un dolore bruciante, fiammeggiante, acuto. Non è un caso, infatti, che ogni qual volta la mia bocca avviluppa quell’orrore biancastro c’è sempre a monte una ragione esistenziale. Il corpo è una macchina che non è regolata dal caos. Non basta uno spirito ribelle. C’è anche l’insurrezione degli umori corporei, rivolta dell’organico per vincere le frustazioni dello spirito. L’afta è un segno. Da una parte, induce a ricordare di non chinare mai il capo, dall’altra, invece, sta a significare che la vita è sperimentazione e che non tutti gli incontri giovano all’individuo. È compito della ragione distinguere gli incontri positivi (che danno gioia ed incrementano la potenza d’agire) da quelli tossici, che avvelenano la bocca, decomponendo l’anima come uno straccio steso ad asciugare al vento impetuoso della sera. Ad ogni modo, come tutti sanno, al di là del bene e del male, tradendo le vocazioni più genuine dell’inclinazione morale, la ragione può errare. Si può, in definitiva, idealizzare l’esistente e dare per scontato ciò che non è affatto scontato. Questa è la radice oscura dell’afta. Mi pare evidente che non possa essere menzionata dal dizionario medico. So sulla base degli urti subiti dall’organismo, che le cose stanno così. Di qui il bruciore infernale, che par anticipare il precipizio del cuore nelle valli crepuscolari del rimpianto.

domenica 14 febbraio 2010



La notte


Una cotonata a quadretti blu

copre il tavolo e sopra,

senza menzogne, sorridenti,

arditi stanno i nostri libri.

Sono un prigioniero, madre mia,

che ritorna al paese da una fortezza nemica.

È l'una di notte la lampada è ancora accesa.

Al mio fianco è coricata mia moglie

mia moglie incinta di cinque mesi.

Quando la mia carne tocca la sua

quando le poso la mano sul ventre

il bimbo si muove un poco.

Sul ramo la foglia

nell'acqua il pesce

nella matrice il piccolo dell'uomo.

Mio piccolo.

La camiciola di lana rosa

per il mio bambino

l'ha sferruzzata sua madre

è grande come la mia mano

con le maniche appena così.

Mio piccolo.

Se sarà femmina voglio

che sia sua madre dalla testa ai piedi,

s'è maschio, che sia della mia statura.

S'è femmina, che abbia gli occhi verde dorato

s'è maschio, azzurri. Mio piccolo.

Non voglio che a vent'anni t'ammazzino

se sei maschio, al fronte

se sei femmina, dentro qualche rifugio, di notte.

Mio piccolo.

Femmina o maschio a qualsiasi età

non voglio che tu conosca il carcere

per essere stato dalla parte del giusto

del bello, della pace.

Ma so bene figlia mia o figlio mio

che se il sole tarderà molto a sorgere

dalle acque dovrai combattere e anche...

Insomma oggi, da noi,

è un ben duro mestiere essere padre.

È l'una di notte.

La lampada non l'abbiamo ancora spenta.

Tra mezz'ora forse, forse verso il mattino

la mia casa conoscerà ancora un'altra irruzione della polizia

e mi porteranno via, prenderò con me qualche libro.

I questurini della politica

mi prenderanno in mezzo

e io mi volterò indietro a guardare:

mia moglie sarà sulla soglia

davanti alla porta

il vento del mattino gonfierà la sua gonna

e nel suo ventre pesante

il bambino si muoverà un poco.

(Nazim Hikmet)

venerdì 12 febbraio 2010

La carriòla

L'ideale perduto di un Paese ideale


Giovedì, 11 febbraio
Mi piacerebbe poter scendere dal treno in corsa della mia convinzione. Tirare il freno, guardare fuori dal finestrino e osservare un paesaggio nuovo, immerso nella vegetazione più viva e luminosa. Eppure il treno prosegue la sua corsa, o piuttosto, la sua rincorsa verso l’insostenibile, l’inquieto, l’indicibile. Non c’è più una vegetazione folta neanche nella mia più remota immaginazione e ciò che si rispecchia sul finestrino del treno è proprio il profilo angusto della realtà più nera.
Il Paese dei santi, dei poeti e dei navigatori si confonde con l’ombra di un altro paese, quello dei corrotti, dei corruttori, dei baciapile, dei truffatori, dei ladri e degli approfittatori.
Qualsiasi categoria ormai è infranta dalla vergogna dei propri rappresentanti. Mi sembra non ci sia più scampo. E come se questo paese sia completamente sottomesso ai fantasmi dell’inganno. Fateci caso, l’onesto cittadino è continuamente tratto in inganno, e non parlo solo ed esclusivamente dell’inganno scaturente dall’infausto operato politico: questa, ormai è una certezza talmente usurata che pare quasi comico sostenere il contrario. Mi riferisco all’inganno che si consuma senza tanto pudore anche in altri ambienti, come quello ospedaliero (di routine è il falso medico, il falso dentista e Dio non voglia!, il falso chirurgo), quello degli asili nido, ai quali una madre pensa di poter affidare la custodia del proprio piccolo per poi scoprire che forse sarebbe stato più sicuro tra le mura di casa dove non avrebbe potuto raggiungerlo la follia violenta di una falsa maestra d’asilo. La parola d’ordine è: inganno. Persino nella ricostruzione di una città terremotata si è fatto strada l’inganno. Questione d’appalti truccati, di esperti approfittatori dell’evento disastroso e di giudici indagati. Ecco, ho sempre provato un certo – passatemi il termine – schifo per una categoria in particolare, quando anch’essa ha inteso perdersi nell’inconfondibile pozzo della corruzione. I giudici corrotti sono il peggio che possa esistere, perché il garante dell’imparzialità, il garante della giustizia, chissà perché, l’ho sempre immaginato come un essere superiore che, elevandosi al di sopra delle parti, incutesse rispetto e timore. La fiducia s’è frantumata cadendo sulla lastra d’acciaio dell’ipocrisia. Anche quella nelle nuove generazioni, che nell’ispirarsi alla stupidità nascosta dietro il buco della serratura, ritiene interessante crearsi un piccolo fratello all’interno delle mura domestiche e si mette in posa (scegliendo spesso quella più volgare) davanti all’occhio indiscreto di una telecamerina casereccia nascosta tra le bambole e i giornaletti. È questa l’immagine desolante che si scorge nella sfera che scruta il futuro?
Mi piacerebbe poter scendere dal treno in corsa della mia convinzione, tirare il freno e…

Venerdì, 12 febbraio

Stamattina guardando fuori dalla finestra di casa mia ho potuto ammirare, con sommo stupore, un paesaggio innevato estremamente inconsueto, almeno per me che vivo in un paese vagamente restio alla possibilità meteorologica della silenziosa coltre bianca. Che strana sensazione di pace ovattata. Ho un paesaggio del tutto nuovo da osservare al di là del vetro. L’occasione buona per dimenticare, nascondendola sotto la neve soffice, la mia turbata convinzione che il poeta per eccellenza esprimeva con le parole nave senza nocchiere in gran tempesta non donna di province ma bordello.
Si scioglierà presto questo biancore candido che riflette tutto intorno. Ma per oggi posso immaginare che quei delicati batuffoli di cotone hanno fermato, anche per un solo giorno, la marcia pazza del mio treno in corsa.

sabato 6 febbraio 2010

Marilyn inedita

Fa sempre una certa impressione scorgere uno scatto inedito relativo ad un'immagine che si dà per scontato - considerata la sua dissoluzione - che sia fissata definitivamente nel ricettacolo dell'Immaginario. Gli occhiali da sole indossati in un ambiente interno accentuano la sensualità pornografica del soggetto fotografico, rendendo comunque chiara al contempo l'impossibilità del possesso del corpo, il Corpo in cui si è riconosciuta un'intera generazione di sognatori rivoluzionari. Carl Sandburg è l'intellettuale che può contemplare, ma non amare la Bellezza.

venerdì 5 febbraio 2010

La carriòla

Paradisi artificiali



L’ipocrisia infantile non smette mai di stupire, in diversi campi d’azione, oserei aggiungere. Stavolta è il turno della musica. Stiamo per essere travolti dall’onda anomala proveniente dal Mar Ligure; di solito si fa di tutto per evitare il naufragio (ogni anno è la solita solfa), e spesso ci si rende conto che pure una miserevole scialuppa di salvataggio non sia poi così adeguata all’impatto contro l’«evento» dell’anno. Insomma, occorre esser prudenti e starne alla larga, perché si sa, tutto gira intorno alle trovate pubblicitarie, ai disadattati di turno che cercano in un’intervista la loro celebrità o ai falsi successi televisivi del momento, ma sempre meno intorno alla musica che definirla di qualità, il più delle volte, appare ridicolo.
Insomma, vogliamo proprio occuparcene? L’ho detto, preferirei starne alla larga, perché ne va del mio equilibrio mentale; volentieri aderirei al partito dell’indifferenza e, perdonate il termine acre, allo snobismo più cruento. Ma tant’è. Mi butto nella bagarre, rischiando di perdere la mia integrità e tento di srotolare qualche pensiero sull’insolito caso Morgan v/s Sanremo.
Il cantante ha dichiarato di ricorrere alla cocaina quando deve lottare contro le sue crisi depressive. Morgan è un tipo fuori dal comune, un originale, un musicista interessante a parer mio e il modo con cui ritiene opportuno risolvere le sue angustie personali non mi riguardano né mi condizionano. Con questo non intendo affatto giustificare il rimedio con cui ha cercato d’alleviare le sue sofferenze, ma c’è da dire che chi adopera simili deterrenti è chiaramente immerso in uno stadio di profonda perdizione. Credo che il paradiso artificiale in cui ha trovato rifugio sia espressione di debolezza e di fragilità. Saper conquistare il proprio paradiso senza sostegni stupefacenti è la grandezza degli uomini forti. Chi, nelle angherie della vita, si basta per se stesso senza perdere l’equilibrio sul filo delle droghe è un valoroso.
Banale la sua esclusione dalla manifestazione canora. Hanno subito gridato allo scandalo - ipocriti! - quando è risaputo che nell’ambiente la droga non è poi così sconosciuta e demonizzata. Bisognerebbe allora iniziare anche ad escludere i calciatori dai campi di calcio, gli atleti dalle piste olimpiche, i ciclisti dai giri d’Italia, le modelle dalle sfilate di moda, i diversi professionisti dalle loro più svariate attività, i politicanti dalle aule parlamentari.
Curioso che abbiano preso tanto a cuore la faccenda proprio quegli sfaccendati della classe politica che si sono mostrati scandalizzati dall’infausta confessione del cantante milanese. Non sarà per caso che tale accanimento sia dovuto alla ben nota appartenenza del musicista a quell’ideologia politica che non s’incontra affatto con quella dei signori ministri intervenuti sulla questione? Mah, chi può dirlo. Mi pare, ad ogni modo, una ipocrisia sostenere che l’ammissione di far uso di droga possa influenzare le menti degli spettatori. Ciò potrebbe voler dire che chi legge i Paradisi artificiali di Baudelaire non è altro che un sicuro estimatore, nonché fumatore, di hashish, oppio ed eroina!
Ho letto Baudelaire. Anzi, devo dire di averlo apprezzato maggiormente proprio in quella che viene definita l’età critica: diciassette, diciotto anni. Si studiava il Decadentismo a scuola e il massimo esponente di questo periodo letterario è stato appunto il poeta francese. Mi entusiasmò tantissimo leggere le sue opere, eppure non mi sono mai persa nel labirinto delle sostanze stupefacenti. Inoltre, ci si ferma sempre al primo stadio. Voglio dire, Baudelaire oltre che essere un poeta maledetto è stato pure un acuto interprete di artisti quali Manet, Daumier e Delacroix. Le sue note critiche sull’arte contemporanea furono raccolte nel volume Curiosità estetiche. Gli sarà occorsa una certa sensibilità per poter scrivere d’arte. Non è stato, dunque, solo un povero diavolo alcolizzato!
Cosa temono questi valorosi prodi del falso perbenismo? Che i loro figli o i figli degl’italiani possano essere influenzati dalla ‘vita spericolata’ di Morgan? Non dovrebbero, invece, essere più attenti a controllare quali amici frequentano o i segreti nascosti in fondo allo zaino di scuola?
In realtà il musicista non ha fatto altro che dichiarare una verità, la sua verità. E’ stato sincero e la sincerità non ha fruttato nulla di buono. Quanti dovrebbero fare lo stesso e invece si nascondono dietro dichiarazioni bambinesche da riformatorio culturale?
Morgan è stato escluso dal concorso canoro, mentre magari veleggia all’orizzonte la prossima intervista televisiva del killer di turno o della pornostar all’ultimo grido. Le incongruenze della legge televisiva! Peccato, comunque. Escludendo Morgan magari ci hanno impedito l’ascolto di un buon brano musicale.

giovedì 4 febbraio 2010

Quel conformista maledetto
Negli ultimi giorni il vuoto delle trasmissioni televisive, anticamera di salotti starnazzanti, è riempito dalla vicenda che riguarda direttamente Morgan, da qualche tempo noto per essere un personaggio televisivo, piuttosto che un cantautore musicista che ha avuto l’occasione di collaborare anche con Battiato. Come ormai tutti sanno, ha sostenuto in un’intervista – in parte successivamente contestata – di assumere quotidianamente crack per scacciare i demoni della mente. Figuriamoci, persino Freud prescriveva dosi di cocaina come antidepressivi. Morgan infatti non è disposto a tirar su intonaco nel naso. Come tutti sanno, i vertici della RAI hanno deciso di bandire l’artista dalla partecipazione al prossimo Festival di Sanremo, per via della censura del devastante messaggio sociale che avrebbe raggiunto le orecchie suscettibili di tanti teenegers. Gli spauracchi della politica hanno colto al volo l’occasione per tornare ad occupare i riflettori dei telegiornali con i loro anatemi moralisti e bacchettoni. Penso a Carlo Giovanardi, che soltanto pochi mesi fa aveva sostenuto che le condizioni in cui si trovava la salma di Cucchi erano l’effetto dell’anoressia e dell’AIDS, piuttosto che delle torture che gli inflissero gli agenti penitenziari. Trovo la decisione di bandire Morgan dal Festival semplicemente ridicola. Sarebbe stata ragionevole soltanto nel caso in cui l’artista fosse stato invitato come ospite d’onore o giurato. Apologia dell’ipocrisia. Non è accettabile punire un individuo per comportamenti che riguardano esclusivamente la propria sfera privata. Se si intende moralizzare la TV, si chiudano programmi deliranti in cui svolazzano continuamente galline ed escort dell’ultimora, protette da parlamentari e dirigenti. Ad ogni modo, Morgan ha toccato il fondo con i suoi giochetti. Pretende di affermarsi come un intellettuale anticonformista, “maledetto”, senza poterselo minimamente permettere. Un maledetto non insegue avidamente l'attenzione pubblica, non compare quotidianamente in TV per mesi come giudice di un programma nazionalpopolare come X Factor, non si diverte a fare il provocatore. Non lascia esplodere inutili bombe (o bolle?) mediatiche soltanto per il gusto di far parlar di sé nei bar e nei saloni dei parrucchieri. Un artista maledetto non può partecipare al Festival di Sanremo, trionfo della canzonetta all’italiana da fischiettare nei caffè, palcoscenico dei balli tonti di quella zucca vuota di Emaluele Filiberto di Savoia. Per tutte queste ragioni – checchè se ne dica – Morgan è maledettamente conformista.

mercoledì 3 febbraio 2010



IDENTITA’ E SIGNIFICATO

di

Mehmedovic Mirza


Se gli argomenti che implicano il ricorso a intuizioni modali sull’identità sono da considerarsi trascendentali a tutti gli effetti, allora tali argomenti nella loro struttura a priori implicano a loro volta certi modi di relazionarsi delle idee tra loro e, in un certo senso, la medesimezza di almeno una di queste – l’identità intesa intuitivamente dell’essenza – ma non implicano la realtà dell’idea in questione, ovvero alcun oggetto possibile dell’esperienza. Ora, sebbene sia evidente il possesso di conoscenze di individui così e così, dei quali possiamo discorrere supponendo infinite possibilità (controfattuali) per essi senza smentirci sul ritenere valida la conservazione dell’idea degli oggetti in questione, non può essere affatto tale considerazione a spiegare il rapporto semantico, che è già presupposto in qualche modo prima ancora che una qualsivoglia conferma empirica riveli la realtà esterna dell’idea, ovvero l’oggetto del quale predico qualcosa. Così da questo punto di vista non è affatto problematico se Kripke sia Kripke o Platone sia Platone, giacché essi sono già supposti – meglio presupposti – tali entro la mera considerazione intesa intensive. Dell’altro aspetto della questione, che (cioè) a tali intuizioni modali debba corrispondere “de re “ un oggetto identico a sé, di modo da non poter mai divenire altro da sé senza “perder la faccia”, è presto detto essere un argomento che fonda ontologicamente il rapporto semantico secondo catene storico causali, sicché a parlar di Platone noi avremo sempre l’idea di un oggetto ed in più un valore aggiunto, ovvero l’idea che a parlar di Platone (per sentito dire) si parli di un oggetto, ovvero di una “res”. Ma sebbene sia discutibile la spinosa questione se vi sia qualcosa nel mondo d’essenziale per gli oggetti singoli (una res appunto), l’idea di un rapporto ontologicamente fondato, permanente (fuori) e indipendentemente dall’intelletto che lo concepisce sempre e comunque reale è chiaramente assurda, poiché è facile mostrare che viceversa l’idea stessa dell’identità - cioè della cosa – è fondata intensionalmente e rende intelligibili già a priori le mere possibilità (controfattuali) per una res concepita come tale e solo intuitivamente (e quindi niente affatto semplice o composta). È inoltre plausibile la considerazione che qualora – e dunque a posteriori – un “che” d’essenziale relativamente ad un individuo fosse trovato, tale relazione non sarebbe affatto un argomento atto a corroborare la relazione semantica supposta in senso storico causale che, come ho detto, è già presupposta e rende possibile quest’arbitrarietà del pensiero: ovvero di insistere sulla tesi che un nome proprio designi un “che” di materiale, che nel nome si mostra e che rende incontrovertibile l’intuizione logica dell’identità a posteriori necessaria: A=A→□(A=A). Da qui, poi, consegue un’asimmetria per cui mentre l’idea (A=A) che qualcosa persista come tale secondo la considerazione di certi attributi nello spazio-tempo sia un’idea empiricamente fondabile e solo in senso temporale, ovvero per quel che il fenomeno stesso legittima a considerare, rimane di necessità un che di arbitrario nel ritenere empiricamente fondata o fondabile l’ulteriore implicazione sulla necessità dell’identità, ovvero della “res intesa indipendentemente da ogni possibile conoscenza” (asserzione totalmente contraddittoria). Nemmeno Kripke insiste sull’idea che un mutamento essenziale sia possibile e, invero, esso è del tutto concepibile. Egli insiste piuttosto sull’idea che se qualcosa che aveva peso atomico 79 ora non l’ha più, tale cosa sia da considerarsi altro, ovvero non-oro. Il che mi induce nella riflessione (interrogativo) se questo pensiero mostri solo la concepibilità della possibilità che qualcosa come l’oro possa divenire altro, o mostri piuttosto che questa stessa intuizione modale implichi un’idea trascendentale dell’identità, un’idea che se considerata mette a tacere chiaramente l’altra, ovvero quella di un rapporto rigido tra il nome proprio ed una sostanza considerata immutabile (dunque necessariamente). Di fatto questa riflessione a priori mi sembra evidenzi una certa permanenza del rapporto semantico rispetto al concetto di un mutamento della res, di modo che anche se l’essenza muta, non muta affatto la costanza del rapporto semantico considerato intensive. Detta in altro modo: considerata l’idea di un oggetto e il suo designatore, relazione che già a priori s’impone a causa di relazioni già instauratesi tra “concetti”, al mutare dell’oggetto la nostra consapevolezza non muta affatto e viene ancora concepita secondo il medesimo designatore quell’idea della mente (relativa all’oggetto) per il quale abbiamo supposto un mutamento essenziale. E con maggior chiarezza dico che, al cambiare del concetto della cosa della quale posso avere una conoscenza specifica (determinata) o intuitiva, non muta il rapporto semantico, vale a dire la consapevolezza cha al pensiero di un controfattuale per il quale (o nel quale) l’essenza in questione muta tale mutamento sia da considerarsi sempre in connessione (contiguità) col concetto della res che precede il mutamento. Così se penserò al mutamento essenziale dell’oro, l’idea del mutamento e la conseguente idea di un’essenza differente sarà sempre considerata sotto la medesima relazione intensiva: “questo è oro”, “questo era oro”. Sebbene da un punto di vista epistemologico la verità del secondo enunciato sia contestabile in assenza di un criterio empirico (che pure v’è, come quando si considera che un pezzo di grafite era un diamante) – per cui non avremo ragione a voler sostenere che qualcosa che non è oro sia oro, e non è certamente questo lo scopo – dal punto di vista semantico tale rapporto sarà conservato e, quindi, indipendente da qualunque costrutto epistemologico che intenda la disgiunzione delle idee in modo esclusivo. La conclusione del ragionamento dovrebbe condurre per mano a propendere per l’idea che se v’è sufficiente consapevolezza da poter condurre una discussione intorno ad oggetti mai esperiti come tali, ciò può essere solo a causa di certi rapporti intesi intensive e mai per ragioni estrinseche, vale a dire per scienza infusa, o intuizione di possibili res ontologicamente indipendenti. Tali intuizioni, seppure presenti, andranno considerate alla stregua di un’aspettativa epistemologicamente plausibile, ovvero di modo da associarle ad esperienze analoghe, a cui tra l’altro tali intuizioni devono la loro forma (se non anche il contenuto).

lunedì 1 febbraio 2010

AIDS, scoperto l'enzima che può bloccare il virus
La lotta all’Aids segna una svolta attesa per 20 anni. I ricercatori dell’Imperial College di Londra e dell’Harvard University hanno comunicato su Nature una scoperta che potrebbe rivoluzionare le attuali terapie anti-HIV. Il team anglo-americano ha riprodotto in 3D la struttura dell’enzima integrasi: non una semplice proteina, ma la vera chiave della vita per il retrovirus dell’AIDS. È infatti in virtù dell’integrasi che l’HIV riesce a “incollare” il suo codice genetico nel DNA del paziente contagiato e a replicarsi colonizzando l’organismo. È come se fosse stata trovata la tessera mancante di un puzzle che si tentava di portare a termine da trent'anni. Prima di questo studio, finanziato dal Medical Research Council britannico e dai National Institutes of Health (Nih) americani, erano stati innumerevoli i tentativi falliti. Pur avendo consentito la commercializzazione di farmaci antiretrovirali capaci di bloccare l’integrasi, gli studiosi non ne comprendevano affatto il funzionamento. Ora la svolta ha la forma di un cristallo prodotto in laboratorio: al momento la copia più fedele dell’enzima integrasi, il punto di partenza per escogitare rimedi ancora più efficaci e tollerabili meglio. L’unico modo per determinare la struttura dell’enzima integrasi, quindi per capire come agiscono i farmaci che hanno questa proteina come “bersaglio” da colpire, era realizzarne una copia cristallina di alta qualità. Una vera e propria riproduzione in 3D, da sottoporre poi alla tecnica della diffrazione dei raggi X in modo da sezionarla in ogni parte, svelandone ogni segreto. In 4 anni di lavoro, gli scienziati londinesi e di Harvard hanno inanellato oltre 40 mila esperimenti ottenendo appena 7 tipologie di cristallo, di cui soltanto uno di qualità sufficiente a determinarne la precisa struttura tridimensionale. In particolare, gli studiosi sono riusciti a far crescere il cristallo di un enzima integrasi “chiesto in prestito” a un retrovirus poco noto, chiamato PFV (Prototype Foamy Virus). La corroborazione degli esperimenti è avvenuta con l'immersione dei cristalli in una soluzione di farmaci anti-HIV inibitori dell’integrasi (il Raltegravir e l’Elvitegravir): si è potuto osservare per la prima volta come la proteina-bersaglio viene agganciata e neutralizzata. L’effettiva struttura dell’enzima è apparsa abbastanza diversa rispetto a quella ipotizzata in passato. La scoperta può suggerire la via da seguire per migliorare le terapie anti-integrasi e scongiurare così eventuali resistenze.