La vita è esperienza, cioè improvvisazione, utilizzazione delle occasioni; la vita è tentativo in tutti i sensi. Donde il fatto, a un tempo imponente e assai spesso misconosciuto, delle mostruosità che la vita ammette
Georges Canguilhem



giovedì 15 settembre 2011

La mansarda sessantottina e il tuffatore



Cari amici libertari, vi scrivo da una bellissima mansarda sessantottina che si affaccia sulle vie deserte, silenziose, placide, sospese, del centro di Modena, la «piccola città, bastardo posto» di Guccini. Ho raggiunto l’Emilia per partecipare al festivalfilosofia 2011 sulla natura, in qualità di ospite degli organizzatori. Non potevo declinare un invito tanto inatteso e gratificante. Resterò qui, fra «cento finestre, un cortile, le voci» fino a domenica, raggiungendo comunque anche Carpi e Sassuolo; e poi lunedì mi concederò una passeggiata nel cuore di Bologna, prima di rientrare nelle mie lande consuete.





Benché continui a far vistosamente caldo, vorrei salutare l’estate. Lo faccio magari per propiziare l’arrivo dei primi temporali, perché vorrei vedere ovunque cimiteri di foglie. Fra le funzioni che dovrebbero legittimare l’esistenza di un blog rientra la promozione di idee alternative ai dettami dell’opinione pubblica cara al regime democratico e alle potenti consorterie faziose che vorrebbero condizionarli, ma anche di «chicche» artistiche note a pochissimi cultori, gioielli abbandonati in nicchie dimenticate. Così, mi è tornata in mente una ballata struggente, capace di distillare malinconia nella sospensione del tempo, qual è Il tuffatore (1982), il capolavoro di Flavio Giurato, fratello del più noto Luca, carnevalesco personaggio della TV generalista, che ha riconosciuto nello stupro linguistico il copione del suo successo ventennale. Flavio ha creato poesia per pochissimi estimatori, mentre Luca ha fatto giornalismo di quinta fascia per le masse incolte. Ovviamente Flavio è sconosciuto ai più. Se Flavio non avesse subito il fardello della popolarità di un fratello tanto ingombrante e sgrammaticato, sarebbe (forse) diventato un interessantissimo artefice della canzone italiana d’autore di più alto spessore. Saluto l’estate 2011, sognando di essere un tuffatore…

lunedì 12 settembre 2011

La carriòla


L'Agro Pontino, la luna e i filò



Non è che volessi proprio starlo a sentire. Ma mi osservava, mi scrutava. Lui a me! Mostrando indifferenza continuavo a cercare tra gli scaffali e mentre frugavo tra mille titoli mi pareva dicesse: “Sì, sì. Cerca, cerca. Ti dico che non troverai nulla e dovrai riabbassare lo sguardo verso di me. T’ho vista che mi guardavi!”. E bè, sì. Lo guardavo, ma chissà perché, m’ero messa in testa che non dovessi interessarmene. Ho cambiato scaffale e sebbene non riuscissi più a vederlo, era come se ci fosse un’energia strana che mi attirava verso di lui. Avete presente l’energia della calamita? Comunque, continuavo a inventariare titoli senza trovarne uno che mi andasse a genio e mentre spulciavo tra le varie copertine chi va a pararmisi davanti ? pensavo d’averlo debellato e invece m’è capitato davanti il fantasma di Simone Simonini e allora ho svicolato alla chetichella senza farmi vedere! Viaaa! Chi è Simone Simonini? Oh, bè. Sarebbe una storia troppo lunga da raccontare ed io non voglio proprio raccontarvela. Sappiate soltanto che se dovessero capitarvi tra le mani i diari dell’abate Dalla Piccola e i contro diari di Simone Simonini bruciateli senza temere di incappare in una maledizione! Ho il dovere – da lettrice – di mettervi in guardia a proposito de Il cimitero di Praga di Eco. Anatema sul professore! Accidenti, che il diavolo se lo porti. Che megalomane, è riuscito comunque a far parlare di sé. E io che volevo raccontarvi un’altra storia.
Ma torniamo al mio incontro. Dunque, continuavo a spulciare tra titoli copertine e scaffali quando proprio non ho più resistito. Gli sono andata incontro e ho cominciato a sfogliare le prime pagine. Ecco, ti pareva. Che dice? “Bello o brutto che sia, questo è il libro per cui sono venuto al mondo”… sì, vabbè. Mi vuoi convincere a stare ad ascoltarti. Decido di comprarlo. Intanto, mentre tergiversavo tra altri libri, mi giravo e rigiravo quello tra le mani. È che proprio… Non è che il titolo mi ispirasse molto… Canale Mussolini… Mus…soli…ni…, no-no-no. L’ho risistemato al suo posto, nello scaffale. Però continuavo a ripensare a quello che avevo letto dopo la prefazioncina della prima pagina (di solito prima di acquistare un libro dò un’occhiatina veloce all’incipit del libro - ossia, alle prime righe del primo capitolo - così, giusto per farmi un’idea. Ma un’occhiatina piccola piccola!). Sono tornata indietro e mi sono detta: “ Mah, dopo il cimitero di Praga posso leggere qualunque cosa!”. “Per la fame. Siamo venuti giù per la fame. E perché se no?”. E’ così che ho iniziato ad ascoltare la storia della famiglia Peruzzi, di zio Pericle, zio Adelchi e dei nonni.




Che eccellente narratore! Non ho staccato un attimo l’orecchio dal suo racconto e perciò il libro l’ho divorato in tre giorni. Romanzo godibilissimo, strutturato secondo un caleidoscopio di memorie, scrittura scorrevolissima (sebbene s’incontrino spesso espressioni in dialetto veneto, peraltro comprensibilissime), quattrocentocinquantacinque pagine senza un attimo di noia (argomento, questo, assolutamente presente nel racconto di Simone Simonini!, ancora lui, maladéto tì e i Zorzi Vila!). Istigatore dell’animo umano quando mi racconta la preparazione dei cappelletti della nonna: sì, ho ritrovato in ogni rigo le sensazioni, gli odori e i colori dell’ infanzia trascorsa coi miei nonni. Addirittura poeta, per il piacere che esalta nel descrivere l’orgoglio della gente quando ricorda i campanili del proprio paese: “Era un ristoro quando in campagna - sotto il sole, a zappare le bietole - sentivi il tocco delle ore e tutti rialzavano la schiena, e asciugandosi la fronte mandavano lo sguardo al campanile. Non serviva solo come punto d’orientamento - che pure è già importante, in mezzo al piano sterminato della Valpadana - ma era il punto d’ancoraggio a cui attaccare l’anima, perché era grazie a lui che tu sapevi di non essere solo in mezzo a questo piano e che in caso di necessità avrebbe suonato le sue campane e tutti sarebbero accorsi per darti e darsi aiuto”. Non è poesia? Personalmente ritengo di sì, e checché ne dica Maurizio Cucchi!
Mi è piaciuto il pensiero sul viaggio espresso così: “In ogni viaggio c’è sempre - prima - la bramosia del nuovo, la fretta d’arrivare, lo svagarsi del trambusto. Ma poi si fa strada l’ansia di ciò che t’aspetta, il timore di quel che non t’aspetti e l’indolenzimento delle ossa sulle panche di legno dei sedili, la nostalgia di ciò che hai lasciato, la gente che non vedrai mai più, la voglia di continuare a dormire senza più svegliarti - dormire nonostante i raggi di sole che dal finestrino ormai ti infastidiscono gli occhi - e vorresti che il viaggio non finisse più. Invece no: “Strìììììì…”. Giù dalle carrozze!”. Molto pirandelliano, devo dire. E non solo questo. Ho trovato una forma pirandelliana anche nello stile della narrazione, ossia, quel raccontare la storia al lettore ponendoselo di fronte e dandogli del lei.




Comunque, il filò è giunto poi al termine. Volete sapere cos’è il filò,nevvero? Avete ragione e vi accontento subito. Il filò appartiene alla tradizione veneta e consisteva (uso l’imperfetto perché credo che oggi sia stato surclassato da un’altra tradizione, quella televisiva con le sue banalità) nel “riunirsi tutti a sera, dopo cena, ora in un podere ora in un altro a raccontarsi storie, fòle, favole e roba del genere, al lume di candela o di petrolio”. Il filò è dunque terminato davvero, ma c’è ancora qualcosa che mi svolazza intorno alla testa come fosse il ronzìo d’un ape. Ad un certo punto della storia, zio Pennacchi mi racconta che zia Santapace volendo quasi assecondare un desiderio della nonna, decide di mandare in seminario i suoi due figli: Manrico e Accio. Accio Benassi. Ma caro il mio zio Pennacchi, questo Accio Benassi non è per caso il protagonista di un’altra tua storia? E certo! Che furbata! Ora, vedi, non posso proprio fare a meno di chiederti di riunirci ancora per un altro filò, quello del Fasciocomunista Accio Benassi! E allora devo correre di nuovo in libreria (col rischio di scontrarmi di nuovo con Simone Simoni...! Ma stavolta gli tiro in testa il Canale Mussolini di Antonio Pennacchi che ha pure vinto il sul bel Premio Strega l'anno scorso). Eccola l'ape che mi ronzava intorno. Però, zio Pennacchi, che fiòl d’un can!!