La vita è esperienza, cioè improvvisazione, utilizzazione delle occasioni; la vita è tentativo in tutti i sensi. Donde il fatto, a un tempo imponente e assai spesso misconosciuto, delle mostruosità che la vita ammette
Georges Canguilhem



domenica 24 marzo 2013


La presentazione capitolina di Leibniz allo specchio mi ha messo a dura prova dal punto di vista emotivo, dato che ha compendiato in due ore il mio percorso formativo: gli anni cassinati, le collaborazioni con l’Istituto romano, le ricerche del dottorato. Le relazioni, intense e coinvolgenti, hanno tenuto viva l’attenzione dell’uditorio per circa due ore. Poi il resto l’ha fatto di certo il Salone Borromini, ambiente al contempo sontuoso ed austero, oltremodo affascinante. E le suggestioni sono alimentate da una considerazione storica: nella primavera 1689, nel corso del suo soggiorno romano, Leibniz probabilmente ebbe modo di vedere l’Oratorio dei Filippini (la sede attuale della Biblioteca Vallicelliana), poiché era solito frequentare il Palazzo della Cancelleria vaticana, non molto di stante da lì, che ospitava l’Accademia fisico-matematica di Giovanni Giustino Ciampini. Pur essendo dotato di una fervida fantasia, non avrei mai potuto prevedere un riscontro così incoraggiante.

venerdì 8 marzo 2013

 
Non cogliermi rami fioriti, oggi.

 
Non s’adombri il profilo d’una donna

col giallo intenso d’un fiore.

Si perde nel vento e

solleva la polvere

dell’ineguaglianza sociale.

Celebrare con un solo colore

l’essenza della donna

è dimenticarsi delle

sfumature e cancellare 

il riflesso di luce che

erra nel Pensiero.

Celebrare un solo fiore è

il canto incompreso d’Antigone,

non rigenera vita, ma calpesta l’onore.

 
Non cogliermi quel ramo fiorito,

adesso.

Inventami fiori, dèttami poesie,

domani.


Alle donne che affrontano impavide le difficoltà della vita quotidiana, senza mai tirarsi indietro, senza mai abbassare la guardia.

Alle donne che, con un vigore e un’energia sconosciute persino al sesso che si definisce ‘forte’, partoriscono figli che saranno il mondo di domani.

Alle donne che denunciano soprusi e violenze, ergendosi come rocce sulla stupidità di quelle bestie impotenti che alcuni osano chiamare ‘uomini’.  Questo è per voi.

Alle donne che sistemano all’orecchio la mimosa come una conquista da esibire in vecchie bettole dimenticate, e celebrano l’otto di marzo sull’altare della volgarità e della miseria concettuale: questo non è per voi.
Perché è brindando col calice insulso dell’idiozia che acclamate al germe della disparità.

martedì 5 marzo 2013


P a n t o m i m a   p r i m a v e r i l e


 

Scompare l’essenza audace dei

versi antichi tinti d’allegria.

Silenziosa mi assale una fallace

idea rivoluzionaria:

mescolare profumi e sapori

di un tempo ormai allontanato

per obliare il senso oscuro

diffuso oggi nel ventre della terra.

Fugace desiderio imperlato di speranza,

di miele e arbusti intrecciati di frutti maturi.

 

Trimalcione!

Sei nascosto nel velo del desco romano,

non arride la tua sorte alla tavola misera

del contadino ormai venduto,

dell’operaio ormai sfruttato.

Povertà vera e seria

maneggia oggi le redini

della società sconquassata e stanca.

Povertà triste e scortese

solleva le masse contro i falsi custodi

del bene comune

contro i falsi garanti

dell’uguaglianza sociale.

E non c’è spazio nelle menti

per il terzo precetto costituzionale,

per il quarto principio fondamentale.

 

Il mio grido silenzioso è solo per voi,

lavoratori senza pane,

disoccupati senza dignità sociale,

perché il vostro domani non si rifletta

in questa odierna pantomima di primavera:

muta e malinconica non giova

del vecchio cinguettio vitale

ma pigra e timida soggiace ancora inerte

al supplizio di un inverno epocale.