La vita è esperienza, cioè improvvisazione, utilizzazione delle occasioni; la vita è tentativo in tutti i sensi. Donde il fatto, a un tempo imponente e assai spesso misconosciuto, delle mostruosità che la vita ammette
Georges Canguilhem



mercoledì 23 luglio 2014


Tempo fa, quasi per scherzo, decisi di partecipare al Concorso Internazionale di Poesia Inedita 'Il Federiciano', ideato e realizzato dall'Editore Giuseppe Aletti.  Stamattina, aprendo la posta elettronica, ho avuto un fremito di gioia quando ho letto ciò che mi è stato comunicato: la Aletti Editore, dopo aver preso visione delle preferenze espresse dalla giuria, ha deciso di pubblicare la mia poesia nel volume antologico edito e distribuito, nella omonima collana, dalla casa editrice suddetta. Il libro in cui sarà presente la mia poesia sarà pubblicato nel mese di agosto.  Tra l'altro, la stessa poesia concorre per essere riprodotta in una delle due stele poetiche che verranno adagiate sulle pareti del centro storico di Rocca Imperiale. Sono molto felice, sia perché i partecipanti di quest'anno sono stati oltre 2400 autori. E poi, anche perché la poesia scelta contiene un tributo a quel poetico incanto storico custodito in un vecchio museo del mio paese.

A voi l'opera scelta:
 
E gentile, l'anima
s'immerge in un
chiostro di memorie antiche
per riemergere
nell'incanto marmoreo
di una dea genitrice             
di amori universali.
Riflessa nel candore
estatico di questa
luna settembrina
mi lascio soggiogare
da una passione remota
che vibra le sue corde
nello zampillo d'eternità
di un'Afrodite venafrana.


mercoledì 11 giugno 2014


sabato 7 giugno 2014



       Esprimo pubblicamente i miei complimenti a Tonino Atella per la sua fortunatissima invenzione di un Caffè letterario nella Piccola Città che, a dire il vero, è priva addirittura di una libreria. Il suo coraggioso e generoso esperimento è pienamente riuscito, nell’interesse di tutti. 

venerdì 23 maggio 2014


venerdì 11 aprile 2014


L'incanto surreale di una chiesa dimenticata


venerdì 21 marzo 2014

FRANCESCO GIAMPIETRI
 Spirto inquieto, che subverte gli edifici di buone discipline”

 Seminario su Giordano Bruno


ISISS "Cuoco-Fascitelli"
Aula Magna
via Leopardi ISERNIA

25 marzo 2014
ore 11

domenica 16 marzo 2014

L'armata Brancaleone
di Andrea Fiamma


Tra due mesi circa avranno luogo le complesse elezioni europee, il cui significato epocale viene largamente sottovalutato nell'opinione pubblica italiana. Vizio non nuovo questo, tutto italico, che negli anni passati ci ha indotto a riempire le aule del parlamento europeo con politici spesso impreparati e uomini di partito che non riuscivano a piazzarsi nelle – seppur tantissime – opportunità di impiego nei consigli e commissioni provinciali, regionali o parlamentari. I candidati, quasi mai politicamente appartenenti alla circoscrizione di elezione erano in larga parte sconosciuti al territorio, che rispondeva con un costante astensionismo.

Ma stavolta la partita pare diversa, e non solo per alcune incidentali candidature illustri – come quella forse confermata di Silvio Berlusconi, impegnato più a trovare una scappatoia parlamentare ai problemi giudiziari che veramente cosciente del progetto storico-filosofico dell'UE; quello che emerge è che oggi, forse per la prima volta, il popolo scottato dalla crisi ha preso coscienza della centralità delle decisioni prese a Bruxelles e della prossimità inaspettata delle cancellerie europee sulla vita quotidiana del pescatore di Sicilia e dell'Adriatico, dell'imprenditore marchigiano o del commerciante del centro di Roma. Inoltre a soffiare forte sulla già incendiaria bagarre elettorale contribuiscono quei movimenti politici che in questi anni hanno dipinto l'Europa e la moneta unica come causa d'ogni oscurità sul pianeta – magari, come nel caso dei 5Stelle, condendola con del complottismo antisemita rispolverato direttamente dal peggio che la Germania ha prodotto negli ultimi secoli.

Tale nuova concentrazione di aspettative e improbabili opinioni politiche sul futuro dell'Europa non assicura però l'osservatore mediamente informato che in questa tornata elettorale le cose si faranno per bene; in altri termini, il fatto che le telecamere saranno certamente fisse sul voto non dice ancora nulla sulla qualità dei candidati del partiti, sulla loro coscienza del momento storico-politico e sui programmi di rilancio dell'Unione Europea. Ad oggi i partiti italiani si limitano ad aderire alle liste che si vanno man mano costruendo, non apportando quasi mai contributi rilevanti in termini di idee – se non la stanca ripetizione di quei due o tre slogans economici sullo sforamento del tetto del 3% e altre pretese di (sempre maggiore) spesa pubblica che i più ripetono senza comprendere fino in fondo: Il PD aderisce al PSE, Lista Civica aderisce all'ALDE, il Nuovo Centrodestra al PPE e così via.

Per cui a ben vedere anche stavolta, nonostante tutto il tran tran mediatico, i partiti italiani si scoprono impreparati a reggere il confronto con le dinamiche politiche d'oltralpe, con i progetti bi-nazionali, con l'Europa delle lingue (oggi chi vuole essere classe dirigente deve parlare fluentemente almeno 3 lingue straniere), dell'Erasmus e dell'integrazione tra culture – facile e triste previsione – probabilmente a maggio si farà di nuovo la figura degli “italioti”: manderemo a Bruxelles un'armata Brancaleone con scarsa competenza ma soprattutto scarsissima visione politica. Mal che vada , invece, invaderemo il parlamento con una truppa di pentastellati che hanno imparato l'inglese dai filmati teosofici della Casaleggio&Associati. D'altronde questo è solo l'ennesimo effetto del solito e oramai vecchio problema politico italiano: lo sganciamento tra le filosofie politiche e i partiti come forme di rappresentazione ideologica della popolazione. Cioè è lo svuotamento ideologico dei partiti – lo stesso che gli ha fatto perdere il ruolo di corpo intermedio tra la popolazione e il governo.

Ma nonostante tutto c'è da essere ottimisti: lo spirito di sopravvivenza convoglierà i partiti verso le "grandi famiglie" europee di ampio respiro e che ancora coltivano dei valori di riferimento (dalla tradizione popolare, al socialismo, al conservatorismo, il liberalismo o l'autonomismo contrattualista – peccato che la Lega abbia smesso di leggere il prof. Miglio); e, in secondo luogo, la promozione del bipolarismo avvenuta con la nuova legge elettorale disincentiverà la frammentazione dei piccoli leaders e costringerà i politici a costruire prospettive di maggior visione culturale, come accade ovunque in Occidente. Insomma: ancora una volta abbiamo bisogno degli Alleati che vengano a rimettere ordine nel nostro paese. Branca, Branca, Branca!!!

giovedì 20 febbraio 2014

La società europea e i suoi nemici



Uno spettro si aggira per l’Europa  Le elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo sono solitamente intese dagli analisti politici come un importante esame di valutazione dei governi nazionali, piuttosto che come la più compiuta espressione di linee di pensiero conservatrici o riformiste, all’interno dell’opinione pubblica, in merito ai grandi temi delle politiche sociali e dei diritti civili. La posta in palio sembra dunque essere il consenso governativo. A dire il vero, il prossimo appuntamento elettorale avrà di certo significati più profondi; si preannuncia infatti come il banco di prova della stabilità istituzionale della macchina europea. Nel Vecchio Continente si scorge con chiarezza, pur nella confusione nebulosa che appare ovunque imperante, una galassia chiaroscura di movimenti e partiti contestatari ed anti-sistema, rancorosi e corrosivi, che erodono il bacino elettorale delle forze responsabili di ispirazione popolare, socialista e liberaldemocratica e soprattutto assorbono il torpore astensionista. Pur essendo spesso distanti fra loro per formazione e vocazione, privilegiano i motivi condivisi nell’aspettativa di contare qualcosa, o meglio di condizionare qualcuno. Gli indignados spagnoli, gli indipendentisti inglesi dell’Ukip, i frontisti francesi di madame Le Pen, i patrioti fiamminghi del Vlaams Belang, gli scettici olandesi del Pvv e quelli austriaci del Team Stronach, i popolari danesi del Dvp, i neofascisti ungheresi di Jobbik, i veri finlandesi, gli alternativisti tedeschi, e per quel che riguarda l’Italia, i leghisti superstiti e i seguaci ortodossi di un guitto che non fa più ridere, vivono di slogan monocordi contro i flussi migratori, l’euro, la Comunità Europea (che assimilano al consiglio di amministrazione di una società occulta, composto da banchieri, faccendieri e squali della finanza). Se i nemici dell’Europa ricevessero il consenso loro accreditato dai sondaggi più attendibili e stringessero un’alleanza strumentale sui banchi parlamentari, indurrebbero il Pse e il Ppe a ricorrere a larghe intese piuttosto che a convergenze parallele, in nome della tenuta del sistema istituzionale. Ed è noto che barricadèri spregiudicati e declamatori furibondi di monologhi demagogichi spendono parole incendiarie contro le coalizioni emergenziali; eppure le desiderano ardentemente, perché sembrano avvalorare la tesi, a loro carissima, dell’equivalenza degli altri, l’assioma del qualunquismo.
Anatomia dell’odio  I nemici dell’Europa sono associati da un sostrato comune, vale a dire un’evidente matrice populista che li induce a replicare ad oltranza gli stessi gesti e a identificarsi in «adulatori di popolo» (così li chiamerebbe Aristotele) oltremodo carismatici e persuasivi. La storia insegna che il populismo è un effetto collaterale della crisi economica, o meglio il suo sintomo politico. Di qui la sua attualità, che feconda le aspettative dei nuovi estremisti. I populisti curano con particolare attenzione la comunicazione e semplificano i problemi, dato che mirano a  far presa – nel disorientamento complessivo – su cittadini spenti dalla cupezza epocale e quindi incapaci di sperare. La dilatazione della sfiducia nel mondo dà libero sfogo a sentimenti eversivi. E se il messaggio deve essere immediato e univoco, ne deriva una malcelata intolleranza nei confronti del dissenso interno e delle critiche esterne e uno svagato disprezzo per gli assetti costituiti. Inoltre si adeguano agli istinti predominanti, non trascurando l’emotività, e divulgano un lessico del disincanto e dell’irriverenza che marca distanze lontanissime dagli altri, gli untori del disagio sociale. Si può fare riferimento a un hate speech intessuto di rabbia e risentimento, talmente caustico da svalutare l’avversario sul piano della ridicolizzazione personale. Si lascia intendere dunque che non possono darsi davvero alternative degne di considerazione. I populisti ambiscono al bando di ciò che non è popolo, vale a dire le classi dirigenti (per quanto elette democraticamente) fraintese come una casta parassitaria e corruttrice, per di più asservita a un invisibile regime tecnocratico. Il non popolo è degno di distruzione, in quanto covo di cospirazioni permanenti, in uno scenario a tinte foschissime, quasi apocalittico. Talora i movimenti populisti nascono a sinistra per morire a destra; più in generale sanno toccare le corde della trasversalità, camuffandosi sotto vesti civiche, tutt’altro che pesanti e quindi adatte per tutte le stagioni. Il più delle volte sfuggono ad assunzioni di responsabilità: nella misura in cui evitano confronti o compromessi con gli altri consolidano il loro manicheismo di base, e soprattutto non sporcano le mani, lasciandole accuratamente in tasca. Del resto, come amava ripetere l’ambasciatore brandeburghese a Jena, nella seconda metà del Seicento: “chi non fa niente, non ha niente da temere”. Eppure quando nei territori conquistano un comune o un ente locale, ricorrono senza esitazioni al realismo machiavellico, non diversamente da amministratori di formazione cristianodemocratica o socialdemocratica.
Il sale sulle macerie  I populisti alla conquista del Parlamento di Strasburgo non credono nell’Europa, anzi la considerano la madre matrigna deprecabile in quanto responsabile, con i suoi precetti vincolanti all’insegna della più rigorosa austerity, della fame del popolo. Il loro ricettario minimale non può non favorire sentimenti nostalgici verso il tempo perduto, quando (forse) si stava bene: a loro interessa la restaurazione di una moralità, ovvero la riabilitazione di un determinato stile di vita vinto dalla storia. Di qui l’inesorabile sfascismo dovuto alla mancata accettazione, forse per un difetto di comprensione, della complessissima società postmoderna che non solo è aperta e plurale ma anche liquida (come ha insegnato Zygmunt Bauman). Ma la sfida dei nostri giorni è costruire su macerie, non spargervi sale, ovvero sperare senza essere disperati. Come appuntò Franz Kafka nei suoi diari, non v’è nulla di peggio del disordine, soprattutto quando si è al cospetto di competenze esigue. Una denuncia fine a se stessa, del tutto spoglia di slanci propositivi, non è altro che un guscio vuoto, il prezzo di un’illusione, un investimento a fondo perduto a favore di speculatori della tristezza.

mercoledì 12 febbraio 2014


    caro amico libertario,

Federico Aldrovandi è morto il 25 settembre 2005, a soli 18 anni. Quel giorno il corpo di Federico è rimasto sulla strada dalle 6 di mattina alle 11, quando la polizia avvisò i genitori. Federico era sfigurato dalle percosse e sui suoi vestiti si aprivano larghe macchie di sangue. I poliziotti, poi condannati in via definitiva per eccesso colposo in omicidio colposo tentarono di depistare, dicendo che Federico si era ferito da solo sbattendo la testa contro i pali della luce. Eppure adesso sono tornati in servizio, dopo aver provocato ben 54 lesioni sul corpo di Federico portandolo alla morte.
I medici hanno dichiarato che Federico aveva lo scroto schiacciato, una ferita lacero-contusa alla testa e numerosi segni di percosse in tutto il corpo.
Hanno ucciso a mani nude e con i manganelli un ragazzo di 18 anni. Hanno aspettato 6 ore per avvisare la famiglia. Hanno disinformato, omesso, mentito. A causa dei depistaggi hanno avuto una condanna per un omicidio che di colposo non ha niente. La sicurezza dei cittadini non può essere affidata a chi si è reso responsabile di questo orrore.


Non hanno mai chiesto scusa, non si sono mai mostrati addolorati per aver tolto la vita a Federico. Ora possono tornare, armati, a svolgere un servizio istituzionale delicato come quello della gestione dell’ordine pubblico. Ciò è ingiusto.
Dobbiamo continuare a pensare che un'altra polizia è possibile. Dobbiamo continuare a pensare che mai più un cittadino possa subire un controllo di polizia così brutale da esserne ucciso e possa entrare in contatto con apparati così reticenti e omertosi da depistare e insabbiare le indagini. Chiediamo di sapere quale sia stato l’esito del procedimento disciplinare a carico dei quattro poliziotti. E chiediamo che siano messi a svolgere un servizio che non preveda, né ora né mai, alcun contatto con il pubblico. Chiediamo che vengano disarmati e messi nelle condizioni di non nuocere più ad alcuno.

Firmiamo insieme la petizione lanciata da Luigi Manconi: https://www.change.org/it/petizioni/angelino-alfano-via-la-divisa-agli-assassini-di-federico-aldrovandi-vialadivisa#share