Paure indotte
Io, l’altro e il nemico
Perché d’un tratto questo smarrimento
ansioso? (I volti come si son fatti serî!)
Perché rapidamente e strade e piazze
si svuotano, e ritornano tutti a casa perplessi?
S’è
fatta notte, e i barbari non sono più venuti.
Taluni sono giunti dai confini,
han detto che di
barbari non ce ne sono più.
E adesso, senza barbari, che
sarà di noi?
Era una soluzione, quella gente
Costantino Kavafis
Aspettando
i barbari
Sin dall’antichità classica la diversità
culturale è stata negata, o meglio respinta sul piano della dis-umanità. Ogni
sistema di valori dà luogo a un microcosmo culturale, in virtù del quale i
sistemi alternativi sono fraintesi o trascurati. La maggior parte dei
cosiddetti popoli “primitivi” si designa infatti come “gli uomini”, relegando
gli “altri” nella natura. Essendo balbettante, il barbaro difetta di pensiero
e, pertanto, appare come l’Altro insopportabile, che deve dunque essere
respinto: ad esempio, per Aristotele non v’è differenza fra il barbaro e lo
schiavo. Più in generale, lo straniero (in latino hostis più che peregrinus)
ha in sé l’espressione dell’ostilità.
Recessioni economiche, crisi politiche e
mutamenti sociali provocano insicurezza nel sentimento dell’identità. La
condivisione della lingua, della confessione religiosa e di un passato comune
non soddisfa più l’esigenza identitaria, per la quale occorre riscoprire le
radici culturali. Eppure si trascura che, come ha avuto modo di osservare Enzo
Bianchi, si danno radici soltanto nel regno vegetale. In un’epoca segnata dalla
crisi dell’identità collettiva, occorre un nemico verso il quale rivolgere le
tensioni interne. Come ha sostenuto Umberto Eco, il nemico offre un ostacolo rispetto
al quale misurare la solidità del sistema valoriale. Diventa nemica una figura
estranea, non necessariamente proveniente da un altrove indefinito (si pensi
all’extracomunitario immigrato o al gay), che di per sé rappresenta tutt’altro
che una minaccia. Ma Spinoza ha insegnato che quando gli uomini non sono grado
di prendere una decisione e fluttuano miseramente fra la speranza e la paura
(che sono due passioni tristi, che inibiscono la potenza di agire), allora sono
disposti a credere a qualsiasi cosa. Anche al Telegiornale meno attendibile. In
accordo al principio classico della kalokagathia,
secondo il quale quel che è buono è necessariamente anche bello, il nemico non
può non risultare ripugnante (essendo privo di integritas) e maleodorante. L’invenzione del nemico si avvale dei
pregiudizi negativi. Ogni pregiudizio marca una distanza rispetto all’oggetto
della svalutazione e rafforza al contempo il soggetto prevenuto. È radicato e
profondo, perché deriva da cliché di maniera che potrebbero avere anche un
fondo di verità e che di certo àncorano a una cultura di base, favorendo
sentimenti di appartenenza. Prontamente confermati dagli organi di
informazione, i pregiudizi lasciano emergere dalla loro latenza subculturale
timori ancestrali e notturni. Il cittadino inquieto si reca alle urne ed è
pronto a sostenere il Reggente Forte.
Ho
visto anche degli zingari felici
Il nemico classico è l’ebreo. La
letteratura concernente l’odio antisemita e la Shoah è esaustiva e variegata, estendendosi dalla narrativa alla
cinematografia. V’è invece un’altra figura estranea,
storicamente discrimanata, che è avvolta dal silenzio: quella dello zingaro.
Nell’età moderna l’assassino di uno zingaro poteva farla franca a Venezia e in
altre città: nessun tribunale lo avrebbe infatti condannato. Nel XVII secolo i
nomadi venivano scacciati di villaggio in villaggio in Germania in quanto
ritenuti spie al servizio dei Turchi; nel secolo successivo Kant avrebbe
scritto che «l’uomo del non luogo è criminale in potenza». Del resto si sa per
tradizione che gli zingari sono sicuramente imbonitori furfanti e ladri di
bambini. Dato che il furto non rientra fra quanto essi ritengono mallipé (ovvero impuro), qualcuno ha voluto credere che si debba riconoscere una
predisposizione gitana alle ruberie. Si tratta di un argomento superficiale e intessuto
di stereotipi. Un rom non trufferebbe mai un rom. Derubando un gagé, riscatta invece una lunga storia
di negazioni. Agli zingari sono negate la privacy (di qui le recentissime
schedature di polizia in Svezia), la proprietà privata (di qui gli assalti e i
roghi dei campi nomadi), e finanche la memoria (di qui la rimozione del Porrajmos, la grande devastazione
nazista che ha comportato lo sterminio di circa cinquecentomila zingari nei
campi di concentramento). Essendo orale, conchiusa in sé, la cultura romanì non ha condiviso con il mondo la
sua oscura tragedia.
Un
paradosso educativo
La paura del barbaro rende barbari, come
prova l’esempio delle ronde di quartiere organizzate alcuni anni or sono da
militanti della Lega Nord e di altri movimenti xenofobi e razzisti o
neofascisti. Ma, come ha suggerito Claude Lévi-Strauss, è proprio del barbaro
respingere quanti esso stesso considera barbari. Pertanto i nuovi barbari sono
facilmente riconoscibili, e non possono più nascondersi dietro il velo
rassicurante delle loro presunte buone intenzioni. In conclusione, bisogna
essere riconoscenti nei confronti dello straniero
postmoderno, chiunque esso sia, poiché è soltanto con lui che si può
tentare di decifrare lo sviluppo precario e confuso dei modelli sociali di
un’epoca dominata dalle passioni tristi.
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