La vita è esperienza, cioè improvvisazione, utilizzazione delle occasioni; la vita è tentativo in tutti i sensi. Donde il fatto, a un tempo imponente e assai spesso misconosciuto, delle mostruosità che la vita ammette
Georges Canguilhem



mercoledì 18 dicembre 2013

    
Faccio sempre più fatica a comprendere le più varie espressioni del costume del nostro tempo. È come se le mie lenti si fossero offuscate al cospetto di un criptogramma insolubile. Spogliate di valore dai circuiti alienanti dello scambio telematico (che si risolve nel vano splendore di bacheche e vetrine anteposte al niente), le relazioni si sono quasi del tutto slegate dalla dimensione dell’autentica socievolezza, riducendosi ad esercizi strumentali (giammai disinteressati) di simulazione o seduzione. Un aneddoto è più chiaro di un’elaborata argomentazione sociologica.
      Durante una passeggiata serale mi imbatto, nei pressi dei giardini pubblici, in tre ragazze dall’età indecifrabile che si dirigono proprio verso di me.
      «Ciao…, tu sei Davide, verooo?»
      «A dire il vero sono Francesco… Mi spiace. Colgo un velo di delusione sul tuo volto…»
      «Oh carinooo…»
      Rispondo con un sorriso perplesso, non scorgendo nel loro atteggiamento disinvolto ammiccamenti prostitutivi o ilarità spavalda e beffarda.
      «Vabbe’, ciao amo’…».

       Torno sui miei passi e mi immergo nell’umidità del parco, ascoltando: 








mercoledì 6 novembre 2013

Il video integrale dell'Agoràfestival

venerdì 1 novembre 2013



Struggente e lirica, la scena sublima – esaltandola – una condizione che di per sé sarebbe l’anticamera del ripiegamento depressivo. Girare a vuoto di sera in auto, senza intrusi, per trovare una chiave di volta, perché non è mai troppo tardi per decidersi a voltare pagina, facendo in modo che quel che è stato non influenzi il presente, sterilizzando o abortendo le sue potenzialità più effervescenti. Così anche una canzone solitaria può favorire la presa di coscienza della necessità di rifondare il proprio mondo. Isabella Ferrari fa il resto; impersona un caso singolarissimo di separazione della bellezza pornografica dalla volgarità o dalla sguaiataggine. La scena è irripetibile per la sua ricercatezza: in pochi hanno visto il film di De Maria, in pochi conoscono Bellamore di Sinigallia. È dunque vero che la poesia rifugge le masse, declinandosi in un passatempo elitario.

sabato 12 ottobre 2013

Non è mai troppo tardi per andare all'inferno.


Una delle new hit più interessanti del momento. Una fotografia di notevole pregio della società postmoderna, che è certamente liquida.  Che Carboni abbia letto Zygmunt Bauman?

martedì 8 ottobre 2013

         Ragazzini dal pugno chiuso
    Avevo forse quattordici anni, frequentavo il Liceo Classico della piccola città. Ricordo bene che una mattina, a margine di un intervallo, prima di rientrare in classe proclamai con la sicumera propria degli adolescenti, sbalordendo l’insegnante di greco: “Io sono marxista!”. Non era ancora spuntata la barba. Avevo tanta rabbia nelle tasche, ed ero ispirato dall’insofferenza per il provincialismo piccolo borghese di un mondo troppo piccolo e chiuso. Conquistai l’insegnante che, infatti, nel colloquio con i miei genitori al termine del quadrimestre ebbe modo di dire: “Sapete, il ragazzo mi ricorda com’ero quando avevo la sua età”. Da allora a casa i miei iniziarono giustamente a preoccuparsi.
    Stamattina, entrando in Facoltà, due studenti dall’espressione vaporosa resa più accattivante dalla Kefiah attorno al collo, interrompono il mio passo affrettato. “Senti, seguiresti un corso di marxismo? Un paio di lezioni settimanali…”. Resto perplesso, in attesa di un’illuminazione. Poi sorridendo, senza voltarmi per cogliere la loro reazione, sentenzio: “Scusate, ma non sono più un sedicenne…”

lunedì 30 settembre 2013

Il servizio di iTV sull'Agoràfestival


Agorà">http://vimeo.com/75698957">Agorà Festival 2013 - teatro Remigio Paone
from ITRItvhttp://vimeo.com/user8276793">ITRItv> on Vimeo.https://vimeo.com">Vimeo.>
Un frammento musicale dell’Agoràfestival
Federica D’Antonino con Feliciano Ricci

domenica 29 settembre 2013



Paure indotte
Io, l’altro e il nemico





                                                                Perché d’un tratto questo smarrimento
                                                                ansioso? (I volti come si son fatti serî!)
                                                             Perché rapidamente e strade e piazze
                                                                            si svuotano, e ritornano tutti a casa perplessi?

                                                                             S’è fatta notte, e i barbari non sono più venuti.
                                                  Taluni sono giunti dai confini,
                                                                        han detto che di barbari non ce ne sono più.

                                                               E adesso, senza barbari, che sarà di noi?
                                                                                    Era una soluzione, quella gente

                                                                                         Costantino Kavafis



Aspettando i barbari

   Sin dall’antichità classica la diversità culturale è stata negata, o meglio respinta sul piano della dis-umanità. Ogni sistema di valori dà luogo a un microcosmo culturale, in virtù del quale i sistemi alternativi sono fraintesi o trascurati. La maggior parte dei cosiddetti popoli “primitivi” si designa infatti come “gli uomini”, relegando gli “altri” nella natura. Essendo balbettante, il barbaro difetta di pensiero e, pertanto, appare come l’Altro insopportabile, che deve dunque essere respinto: ad esempio, per Aristotele non v’è differenza fra il barbaro e lo schiavo. Più in generale, lo straniero (in latino hostis più che peregrinus) ha in sé l’espressione dell’ostilità.
   Recessioni economiche, crisi politiche e mutamenti sociali provocano insicurezza nel sentimento dell’identità. La condivisione della lingua, della confessione religiosa e di un passato comune non soddisfa più l’esigenza identitaria, per la quale occorre riscoprire le radici culturali. Eppure si trascura che, come ha avuto modo di osservare Enzo Bianchi, si danno radici soltanto nel regno vegetale. In un’epoca segnata dalla crisi dell’identità collettiva, occorre un nemico verso il quale rivolgere le tensioni interne. Come ha sostenuto Umberto Eco, il nemico offre un ostacolo rispetto al quale misurare la solidità del sistema valoriale. Diventa nemica una figura estranea, non necessariamente proveniente da un altrove indefinito (si pensi all’extracomunitario immigrato o al gay), che di per sé rappresenta tutt’altro che una minaccia. Ma Spinoza ha insegnato che quando gli uomini non sono grado di prendere una decisione e fluttuano miseramente fra la speranza e la paura (che sono due passioni tristi, che inibiscono la potenza di agire), allora sono disposti a credere a qualsiasi cosa. Anche al Telegiornale meno attendibile. In accordo al principio classico della kalokagathia, secondo il quale quel che è buono è necessariamente anche bello, il nemico non può non risultare ripugnante (essendo privo di integritas) e maleodorante. L’invenzione del nemico si avvale dei pregiudizi negativi. Ogni pregiudizio marca una distanza rispetto all’oggetto della svalutazione e rafforza al contempo il soggetto prevenuto. È radicato e profondo, perché deriva da cliché di maniera che potrebbero avere anche un fondo di verità e che di certo àncorano a una cultura di base, favorendo sentimenti di appartenenza. Prontamente confermati dagli organi di informazione, i pregiudizi lasciano emergere dalla loro latenza subculturale timori ancestrali e notturni. Il cittadino inquieto si reca alle urne ed è pronto a sostenere il Reggente Forte.


Ho visto anche degli zingari felici





    Il nemico classico è l’ebreo. La letteratura concernente l’odio antisemita e la Shoah è esaustiva e variegata, estendendosi dalla narrativa alla cinematografia. V’è invece un’altra figura estranea, storicamente discrimanata, che è avvolta dal silenzio: quella dello zingaro. Nell’età moderna l’assassino di uno zingaro poteva farla franca a Venezia e in altre città: nessun tribunale lo avrebbe infatti condannato. Nel XVII secolo i nomadi venivano scacciati di villaggio in villaggio in Germania in quanto ritenuti spie al servizio dei Turchi; nel secolo successivo Kant avrebbe scritto che «l’uomo del non luogo è criminale in potenza». Del resto si sa per tradizione che gli zingari sono sicuramente imbonitori furfanti e ladri di bambini. Dato che il furto non rientra fra quanto essi ritengono mallipé (ovvero impuro), qualcuno ha voluto credere che si debba riconoscere una predisposizione gitana alle ruberie. Si tratta di un argomento superficiale e intessuto di stereotipi. Un rom non trufferebbe mai un rom. Derubando un gagé, riscatta invece una lunga storia di negazioni. Agli zingari sono negate la privacy (di qui le recentissime schedature di polizia in Svezia), la proprietà privata (di qui gli assalti e i roghi dei campi nomadi), e finanche la memoria (di qui la rimozione del Porrajmos, la grande devastazione nazista che ha comportato lo sterminio di circa cinquecentomila zingari nei campi di concentramento). Essendo orale, conchiusa in sé, la cultura romanì non ha condiviso con il mondo la sua oscura tragedia.

Un paradosso educativo


   La paura del barbaro rende barbari, come prova l’esempio delle ronde di quartiere organizzate alcuni anni or sono da militanti della Lega Nord e di altri movimenti xenofobi e razzisti o neofascisti. Ma, come ha suggerito Claude Lévi-Strauss, è proprio del barbaro respingere quanti esso stesso considera barbari. Pertanto i nuovi barbari sono facilmente riconoscibili, e non possono più nascondersi dietro il velo rassicurante delle loro presunte buone intenzioni. In conclusione, bisogna essere riconoscenti nei confronti dello straniero postmoderno, chiunque esso sia, poiché è soltanto con lui che si può tentare di decifrare lo sviluppo precario e confuso dei modelli sociali di un’epoca dominata dalle passioni tristi. 

sabato 14 settembre 2013

mercoledì 11 settembre 2013




Ideato da Francesco Giampietri, Mirza Mehmedović, Martina Purificato e Vincenzo Brusello, patrocinato dal Comune di Formia ed organizzato dall’Associazione culturale Idest, agoràfestival idee in movimento è un progetto culturale sperimentale volto alla promozione di un inedito piano di intersezione di più registri tematici (l’arte, il pensiero e la musica) intorno a un tòpos univoco: Identità/differenze, argomento problematico e di stringente attualità che si presta a molteplici declinazioni, di natura estetica, antropologica, filosofica. L’idea di fondo che ha ispirato i promotori dell’iniziativa si lega all’esigenza di tornare a fare cultura nell’agorà, il centro democratico della città che viene sempre più svilito a vantaggio soprattutto delle piazze virtuali; ben rappresentata dal Teatro “Remigio Paone”, l’agorà, di per sé accessibile a tutti, viene pienamente ristabilita come il luogo proprio della manifestazione delle arti e del libero scambio dei saperi, il polo di convergenza di artisti, musicisti e filosofi. Al cospetto del disarmante individualismo, del superficiale edonismo e della complessiva sfiducia nel mondo, che sono fra i tratti distintivi della società postmoderna, appare opportuno scommettere sulla valorizzazione dei talenti individuali, soprattutto dei giovani, in un contesto pubblico.

   Il programma dell’agoràfestival idee in movimento prevede una mostra di opere, riconducibili a vari stili, di giovani artisti, un seminario filosofico che stabilisce un confronto fra diversi studiosi ed animatori culturali premesso a una discussione aperta al pubblico, nonché le esibizioni di due band musicali e di una promettente cantante lirica. Nell’agorà dunque le idee tornano ad essere in movimento, per la costruzione del bene comune, il benessere della polis.

martedì 6 agosto 2013

A Francesco, per il suo dottorato...

                                                                                                         "...e io alla novità non sono
                                                                                                           mai stato e non sarò mai
                                                                                                          insensibile, perché la novità
                                                                                                          è intrinsecamente avventurosa".
                                                                                                                           (De Marchi - Il talento)

Non tramonti mai la tua passione
per la conoscenza e lo studio
ma possa, anzi, inebriarsi sempre
mediante il gusto della novità,
riuscendo a carpire ispirazioni massime
anche attraverso quei dettagli quotidiani
che molti lasciano scivolare via
e pochi sanno custodire rendendoli
preziose gemme di letteratura erudita.

sabato 3 agosto 2013

Johnny Freak, quando la poesia diventa musica..... quando la musica è poesia!!!


Un doveroso omaggio ad una band della provincia di Frosinone.
Ci sarebbe molto da dire, tuttavia basta ascoltare i loro pezzi per entrare in uno spazio di confine
meravigliosamente persi dentro quella vasta, quanto sottilissima, terra dove vivono le divinità della musica schiacciate tra prosa e poesia.
Dal vivo non tradiscono, trascinanti e comunicativi. Ferite profonde causate da taglienti colpi di rock.





 Johnny Freak nascono nel Novembre del 2005 dall’unione di diversi musicisti della provincia di Frosinone, i quali, dopo diverse esperienze artistiche e live nei migliori locali italiani, trovano la giusta alchimia e dimensione nell’unire il feeling del grunge dei primi anni novanta al rock made in Italy degli ultimi tempi, traendo il loro nome dal più famoso e, al momento secondo gli appassionati, migliore albo di Dylan Dog mai pubblicato: “Johnny Freak”.
Nell’Agosto de 2007 i Johnny Freak autoproducono il loro primo lavoro dal suggestivo titolo  Sognigrafie”, dal quale è stato tratto anche un videoclip del singolo “Martin”avvalendosi della collaborazione con i ragazzi della YOU.DE.ZA Filmmaker.
Il successo di “Sognigrafie” viene sancito, oltre che dalle critiche positive, anche dalla ristampa quasi immediata dell’album, vendendo in poco tempo oltre mille copie.
Nei loro concerti i Johnny Freak narrano di disincanto, di sogni trasfigurati dalla realtà e di intima fragilità, ricercando la giusta fisicità del suono: il tutto  è sorretto da un tappeto sonoro che si fa diluito e compatto a un tempo, non evitando chitarre abrasive e tensioni elettriche anche nelle ballad.
Ciò ha consentito ai Johnny Freak di conquistare una posizione di tutto rispetto: numerose sono le esibizioni in alcuni dei migliori locali, radio e festival italiani.
Nel contempo entrano in contatto con Mauro Marcheselli, caporedattore di Dylan Dog, che manifesta un apprezzamento tale a “Sognigrafie” da dedicare alla band la rubrica Horror Club all’interno dell’albo n° 256 “Il Feroce Takurr”.
Nel Natale 2008 l’ Elevator Records pubblica i singoli  “Martin” e “Ansia&Caffè” sui cataloghi digitali di MondadoriTV Sorrisi & CanzoniI-TunesMessaggerie Musicali.
Nell’Estate del 2011 parte un mini tour di venti date nel quale girano il territorio nazionale, provando e testando nuovi brani. Si ricorda l’esibizione al “Lazio Wave”, festival rock di notevole rilevanza (De Gregori, Verdena), esibendosi come opening act di Morgan, e quella agli “Archi Village”, dove sono la support band di Raf, riuscendo così a suonare davanti a 24.000 persone.
Tra il Settembre e il Dicembre del 2011 i Johnny Freak per il loro secondo album entrano nello storico studio di registrazione del RED HOUSE RECORDINGS di Senigallia (AN), dove si avvalgono della collaborazione artistica di David Lenci e Andreas Venetis (Charlotte Hatherley, Linea77, Uzeda, One Dimensional Man ecc.), registrando un disco contenente undici tracce di rock emozionale e di forte impatto sonoro.
Nel Gennaio del 2012 il nuovo disco viene masterizzato da Giovanni Versari a “La Maestà studio” di Tredozio (FC).
Nello stesso anno è quasi immediato l’interesse dell’etichetta tedesca Antstreet Records, che nota la band e non tarda a metterla sotto contratto.  A Novembre esce finalmente, dopo cinque anni di attesa, il nuovo album dal titolo “Tra il Silenzio e il Sole”, dove vengono a galla le grandi potenzialità compositive della band, capace di coniugare la tradizione rock italiana degli ultimi 15 anni con il suono più autentico del grande rock internazionale.

venerdì 26 luglio 2013


Appendo da un autorevole organo di informazione (http://napoli.repubblica.it/cronaca/2013/07/26/news/cosentino_lascia_il_carcere_ai_domiciliari_a_venafro-63756826/?ref=HREC1-5) che al (dis)onorevole Nicola Cosentino è stato riconosciuto il beneficio della detenzione domiciliare proprio nella piccola città. Mi viene da vomitare.
La notizia è mortificante, profondamente deprimente. Mi tingo il volto di vergogna. 

domenica 21 luglio 2013




 MEMORIA DOMENICALE DEGLI SMITHS
   The Smiths, «il gruppo più snob della scena musicale anglosassone», si distinguevano anche per un certo radicalismo (reso emblematico dal titolo del quarto album), tutt’altro che scontato se associato allo svagato disimpegno dei Duran Duran e di altre celebri bands coeve.  Erano intransigenti da un punto di vista letterario, e così sedussero Tondelli e altri profondi conoscitori dei costumi e delle mode del postmoderno. La scrittura di Morrissey era ricercata, talora ispirata fino all’iperbole sentimentale (si pensi al seguente passo:

And if a double-decker bus
Crashes in to us
To die by your side
Is such a heavenly way to die
And if a ten ton truck
Kills the both of us
To die by your side
Well the pleasure, the privilege is mine


tratto da There is a light that never goes out). «Un modo celestiale per farla finita…» esprime bene l’edonismo sprezzante, disincantato, inconsapevolmente decadente degli anni ’80, così lontani, ma rievocati nelle parvenze e nelle maniere attuali (come il taglio dei capelli e la montatura pesante degli occhiali). E la voce di Morrisey, «sensuale, strascicata e maledetta: l’unica un po’ perversa che questi primi anni ottanta – obsoleti, invece, di falsetti e mezzeseghe – ci abbiano dato». E infine le contaminazioni eleganti fra generi distanti (di qui il cosiddetto indie pop), espressione mirabile del gusto postmoderno, di per sé irripetibile, e pertanto dannatamente (in)attuale, al di là dello scadimento dell’edonismo in pornografia, vicenda piuttosto recente.

PS: Le citazioni sono tratte da P. V. TONDELLI, Un weekend postmoderno. Cronache dagli anni Ottanta, Bompiani, Milano 2009 (1990), p. 300.

venerdì 19 luglio 2013

FENOMENOLOGIA DEI GIORNI DELL’ABBANDONO

Rientrando a casa di notte sono stato sedotto, dieci giorni fa o giù di lì, dall’ultimo singolo di Gazzè. Avevo appena lasciato le note ricercate di RadioTre, perfette per un notturno di mezza estate, per distendermi con le trasmissioni più pop di una radio commerciale. Incuriosito, ho concentrato l’attenzione sul testo, ispiratissimo fino al virtuosismo poetico, facendo astrazione dall’eccellente arrangiamento, espressione di uno stile ormai inconfondibile e degno di apprezzamenti critici. 



I tuoi maledettissimi impegni è la sintomatologia del logoramento sentimentale. La lacerazione di un legame affettivo è sempre premessa da segni troppo evidenti per essere fraintesi, e quindi inequivocabili: il compagno o la compagna indossa una maschera, si allontana, moltiplica le occasioni per ritardare o annullare gli incontri; per non parlare dei «discorsi strani» dietro i quali si nasconde, frasi svagate e distratte, che marcano la profondità della distanza e gettano il cuore in un pozzo. Si tratta della liturgia, ipocrita ma elegante, dell’abbandono: se non ho il coraggio di dirti che per me qualcosa è cambiato, non calpestando il tuo sguardo avido di riscontri, allora provo a fartelo capire… L’amante non ha che una soluzione a disposizione, vale a dire la mortificazione suprema, l’annichilimento del risentimento dovuto alle provocazioni, il declassamento ad accessorio occasionale («e non c’è che una soluzione se non quella/di rimpicciolirmi a dismisura/fino al punto di traslocare nella/borsa tua con gran disinvoltura»), l’adesione cieca agli atteggiamenti dell’amato di un tempo («cambiando se tu cambi posizione»), al di là del gusto personale, dannando le inclinazioni per le quali era stato apprezzato. L’amante soccombe nella dialettica amorosa, si immola per una causa che ritiene superiore, inconsapevole di essere il guscio fragile ed effimero, l’«involucro di ogni funambolico pensiero che ti viene». Si pensi a una caramella: l’involucro è l’ultimo ostacolo frapposto al godimento, e pertanto va soppresso, stropicciato, gettato via. La cupio dissolvi si addice a personalità straordinarie, predisposte per vocazione all’amore puro e incapaci di temere di non essere ricambiate. L’amore disarmato che in una dimensione teologica costò a Fénelon accuse di eresie, diviene sul piano sentimentale la scena chiaroscura di un olocausto erotico, che è autentico proprio perché inutile (non conduce a nulla) e massimamente ingiusto (l’amato indifferente è indegno della mia mortificazione). La rinuncia all’autodafé di sé lascia rispondere all’indifferenza con l’indifferenza, nella sospensione del linguaggio e dei gesti, che favorisce automatismi silenziosi. Colti i segni ineluttabili dell’abbandono imminente, si gioca d’anticipo, cancellando un nome fra i tanti dalla rubrica, voltando le spalle ai rimorsi (morsus conscientiae), anonimo nella folla anodina della bella estate

giovedì 11 luglio 2013




ADDIO COMPAGNI (S)PREGIUDICATI!  Nella piccola città mi trovo in una condizione di ineluttabile isolamento politico, la conseguenza inevitabile delle elezioni amministrative di maggio. Non subisco la relegazione alla marginalità con rassegnazione, come un colpevole che, dopo aver preso coscienza dei suoi sbagli, accetta col capo chinato il peso dell’espiazione. Io stesso mi pongo fuori dal campo, all’opposizione della maggioranza e dell’opposizione. I conoscenti di sinistra, vagamente radical-chic, disinvolti e liberissimi da legami partitici, hanno conquistato per un pugno di voti la Casa comunale. Ma a quale prezzo? Alleandosi con fascisti, arrivisti senza né arte né parte, affaristi di professione, vale a dire con gli avanzi della peggiore destra locale. L’alchimista che vende l’anima al diavolo pur di conseguire un obiettivo irrinunciabile vive nella fantastica illusione di aver dato un senso ai suoi giorni, e si bea della sua vanagloria, non sapendo che è destinato a dissolversi nell’athanor. Una svolta monca non dà espressione a una rinascita rivoluzionaria ed è soltanto il preambolo di un fallimento necessario. L’ottusità egocentrica e paranoica di un Savonarola di provincia ha precluso l’affermazione di valide soluzioni alternative, all’insegna del buon senso e della decenza amministrativa. I suoi compagni, accecati dalla lealtà settaria, lo hanno sostenuto e incoraggiato fino al sacrificio supremo, convinti sul serio di poter cambiare il mondo. Per ora hanno perso la faccia. Avranno tutto il tempo di perdere tutto il resto.

 *  *  *

 L’INNOCENZA DELL’OBLIO  Mia nonna paterna crede che ci troviamo nella tarda primavera del 1999. Non c’è verso di convincerla dell’evidenza delle sue disfunzioni mnemoniche. “2013? Vuoi prendermi in giro?”. Vorrei tanto che avesse ragione, che gli ingranaggi della sua memoria opponessero qualche blanda resistenza alla deriva alienante, e che le mie poche certezze fossero un prodotto generoso della mia fertile immaginazione.

*  *

 LA CITTÀ CIALTRONESCA  Seconda edizione nella piccola città di “Anima paesana” sul corso centrale, la via dei grandi bar. Le pseudo-associazioni giovanili, prive di una sede sociale (e pertanto non presentabili come meritori centri aggregativi), incoraggiate dai mercanti della movida locale, si sono auto-riproposte come società organizzatrici dell’evento, il revival campagnolo delle tavolate prosaiche e dei balli salentini. Secondo i promotori, l’affare privato di qualche barista spudorato può essere scambiato per un tentativo di promozione culturale del territorio. Assurdo no? Beh, non tanto, se si tenesse conto del solito coro di cicale eccitate dal niente, o meglio da un segno deludente della mediocrità imperante.  

martedì 7 maggio 2013

Il mondo salvato dai liceali

    Mi fa piacere segnalarvi due mie scritti che sono usciti nelle ultime settimane, l’uno Il fondo umbratile dell’individualità. Leibniz e il principio di individuazione (sull’ultimo numero del «Bollettino della Società Filosofica Italiana», n. 206), l’altro Conscientia mutabilis. I significati della coscienza nei lessici filosofici del Seicento, incluso in un bel volume curato da Roberto Palaia (Coscienza nella filosofia della prima modernità, Olschki, Firenze).

   
   Bellissima mattina al Liceo Scientifico “Ettore Majorana” di Isernia, dove mi sono liberamente confrontato, nel contesto di un seminario filosofico, con un gruppo interessantissimo di ragazzi intelligenti, spigliati, attenti: esperienza gratificante e incoraggiante, che di certo mi ha arricchito più di quanto io possa aver arricchito loro

domenica 24 marzo 2013


La presentazione capitolina di Leibniz allo specchio mi ha messo a dura prova dal punto di vista emotivo, dato che ha compendiato in due ore il mio percorso formativo: gli anni cassinati, le collaborazioni con l’Istituto romano, le ricerche del dottorato. Le relazioni, intense e coinvolgenti, hanno tenuto viva l’attenzione dell’uditorio per circa due ore. Poi il resto l’ha fatto di certo il Salone Borromini, ambiente al contempo sontuoso ed austero, oltremodo affascinante. E le suggestioni sono alimentate da una considerazione storica: nella primavera 1689, nel corso del suo soggiorno romano, Leibniz probabilmente ebbe modo di vedere l’Oratorio dei Filippini (la sede attuale della Biblioteca Vallicelliana), poiché era solito frequentare il Palazzo della Cancelleria vaticana, non molto di stante da lì, che ospitava l’Accademia fisico-matematica di Giovanni Giustino Ciampini. Pur essendo dotato di una fervida fantasia, non avrei mai potuto prevedere un riscontro così incoraggiante.

venerdì 8 marzo 2013

 
Non cogliermi rami fioriti, oggi.

 
Non s’adombri il profilo d’una donna

col giallo intenso d’un fiore.

Si perde nel vento e

solleva la polvere

dell’ineguaglianza sociale.

Celebrare con un solo colore

l’essenza della donna

è dimenticarsi delle

sfumature e cancellare 

il riflesso di luce che

erra nel Pensiero.

Celebrare un solo fiore è

il canto incompreso d’Antigone,

non rigenera vita, ma calpesta l’onore.

 
Non cogliermi quel ramo fiorito,

adesso.

Inventami fiori, dèttami poesie,

domani.


Alle donne che affrontano impavide le difficoltà della vita quotidiana, senza mai tirarsi indietro, senza mai abbassare la guardia.

Alle donne che, con un vigore e un’energia sconosciute persino al sesso che si definisce ‘forte’, partoriscono figli che saranno il mondo di domani.

Alle donne che denunciano soprusi e violenze, ergendosi come rocce sulla stupidità di quelle bestie impotenti che alcuni osano chiamare ‘uomini’.  Questo è per voi.

Alle donne che sistemano all’orecchio la mimosa come una conquista da esibire in vecchie bettole dimenticate, e celebrano l’otto di marzo sull’altare della volgarità e della miseria concettuale: questo non è per voi.
Perché è brindando col calice insulso dell’idiozia che acclamate al germe della disparità.

martedì 5 marzo 2013


P a n t o m i m a   p r i m a v e r i l e


 

Scompare l’essenza audace dei

versi antichi tinti d’allegria.

Silenziosa mi assale una fallace

idea rivoluzionaria:

mescolare profumi e sapori

di un tempo ormai allontanato

per obliare il senso oscuro

diffuso oggi nel ventre della terra.

Fugace desiderio imperlato di speranza,

di miele e arbusti intrecciati di frutti maturi.

 

Trimalcione!

Sei nascosto nel velo del desco romano,

non arride la tua sorte alla tavola misera

del contadino ormai venduto,

dell’operaio ormai sfruttato.

Povertà vera e seria

maneggia oggi le redini

della società sconquassata e stanca.

Povertà triste e scortese

solleva le masse contro i falsi custodi

del bene comune

contro i falsi garanti

dell’uguaglianza sociale.

E non c’è spazio nelle menti

per il terzo precetto costituzionale,

per il quarto principio fondamentale.

 

Il mio grido silenzioso è solo per voi,

lavoratori senza pane,

disoccupati senza dignità sociale,

perché il vostro domani non si rifletta

in questa odierna pantomima di primavera:

muta e malinconica non giova

del vecchio cinguettio vitale

ma pigra e timida soggiace ancora inerte

al supplizio di un inverno epocale.