La vita è esperienza, cioè improvvisazione, utilizzazione delle occasioni; la vita è tentativo in tutti i sensi. Donde il fatto, a un tempo imponente e assai spesso misconosciuto, delle mostruosità che la vita ammette
Georges Canguilhem



venerdì 19 luglio 2013

FENOMENOLOGIA DEI GIORNI DELL’ABBANDONO

Rientrando a casa di notte sono stato sedotto, dieci giorni fa o giù di lì, dall’ultimo singolo di Gazzè. Avevo appena lasciato le note ricercate di RadioTre, perfette per un notturno di mezza estate, per distendermi con le trasmissioni più pop di una radio commerciale. Incuriosito, ho concentrato l’attenzione sul testo, ispiratissimo fino al virtuosismo poetico, facendo astrazione dall’eccellente arrangiamento, espressione di uno stile ormai inconfondibile e degno di apprezzamenti critici. 



I tuoi maledettissimi impegni è la sintomatologia del logoramento sentimentale. La lacerazione di un legame affettivo è sempre premessa da segni troppo evidenti per essere fraintesi, e quindi inequivocabili: il compagno o la compagna indossa una maschera, si allontana, moltiplica le occasioni per ritardare o annullare gli incontri; per non parlare dei «discorsi strani» dietro i quali si nasconde, frasi svagate e distratte, che marcano la profondità della distanza e gettano il cuore in un pozzo. Si tratta della liturgia, ipocrita ma elegante, dell’abbandono: se non ho il coraggio di dirti che per me qualcosa è cambiato, non calpestando il tuo sguardo avido di riscontri, allora provo a fartelo capire… L’amante non ha che una soluzione a disposizione, vale a dire la mortificazione suprema, l’annichilimento del risentimento dovuto alle provocazioni, il declassamento ad accessorio occasionale («e non c’è che una soluzione se non quella/di rimpicciolirmi a dismisura/fino al punto di traslocare nella/borsa tua con gran disinvoltura»), l’adesione cieca agli atteggiamenti dell’amato di un tempo («cambiando se tu cambi posizione»), al di là del gusto personale, dannando le inclinazioni per le quali era stato apprezzato. L’amante soccombe nella dialettica amorosa, si immola per una causa che ritiene superiore, inconsapevole di essere il guscio fragile ed effimero, l’«involucro di ogni funambolico pensiero che ti viene». Si pensi a una caramella: l’involucro è l’ultimo ostacolo frapposto al godimento, e pertanto va soppresso, stropicciato, gettato via. La cupio dissolvi si addice a personalità straordinarie, predisposte per vocazione all’amore puro e incapaci di temere di non essere ricambiate. L’amore disarmato che in una dimensione teologica costò a Fénelon accuse di eresie, diviene sul piano sentimentale la scena chiaroscura di un olocausto erotico, che è autentico proprio perché inutile (non conduce a nulla) e massimamente ingiusto (l’amato indifferente è indegno della mia mortificazione). La rinuncia all’autodafé di sé lascia rispondere all’indifferenza con l’indifferenza, nella sospensione del linguaggio e dei gesti, che favorisce automatismi silenziosi. Colti i segni ineluttabili dell’abbandono imminente, si gioca d’anticipo, cancellando un nome fra i tanti dalla rubrica, voltando le spalle ai rimorsi (morsus conscientiae), anonimo nella folla anodina della bella estate

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