Faccio sempre più fatica a comprendere le
più varie espressioni del costume del nostro tempo. È come se le mie lenti si
fossero offuscate al cospetto di un criptogramma insolubile. Spogliate di
valore dai circuiti alienanti dello scambio telematico (che si risolve nel vano
splendore di bacheche e vetrine anteposte al niente), le relazioni si sono quasi del tutto slegate dalla
dimensione dell’autentica socievolezza, riducendosi ad esercizi strumentali
(giammai disinteressati) di simulazione o seduzione. Un aneddoto è più chiaro
di un’elaborata argomentazione sociologica.
Durante una
passeggiata serale mi imbatto, nei pressi dei giardini pubblici, in tre ragazze
dall’età indecifrabile che si dirigono proprio verso di me.
«Ciao…, tu sei
Davide, verooo?»
«A dire il vero
sono Francesco… Mi spiace. Colgo un velo di delusione sul tuo volto…»
«Oh carinooo…»
Rispondo con un
sorriso perplesso, non scorgendo nel loro atteggiamento disinvolto ammiccamenti
prostitutivi o ilarità spavalda e beffarda.
«Vabbe’, ciao
amo’…».
Torno sui miei passi e mi immergo nell’umidità
del parco, ascoltando: