La presentazione capitolina di Leibniz allo specchio mi ha messo a dura prova dal punto di vista emotivo, dato che ha compendiato in due ore il mio percorso formativo: gli anni cassinati, le collaborazioni con l’Istituto romano, le ricerche del dottorato. Le relazioni, intense e coinvolgenti, hanno tenuto viva l’attenzione dell’uditorio per circa due ore. Poi il resto l’ha fatto di certo il Salone Borromini, ambiente al contempo sontuoso ed austero, oltremodo affascinante. E le suggestioni sono alimentate da una considerazione storica: nella primavera 1689, nel corso del suo soggiorno romano, Leibniz probabilmente ebbe modo di vedere l’Oratorio dei Filippini (la sede attuale della Biblioteca Vallicelliana), poiché era solito frequentare il Palazzo della Cancelleria vaticana, non molto di stante da lì, che ospitava l’Accademia fisico-matematica di Giovanni Giustino Ciampini. Pur essendo dotato di una fervida fantasia, non avrei mai potuto prevedere un riscontro così incoraggiante.
La vita è esperienza, cioè improvvisazione, utilizzazione delle occasioni; la vita è tentativo in tutti i sensi. Donde il fatto, a un tempo imponente e assai spesso misconosciuto, delle mostruosità che la vita ammetteGeorges Canguilhem
domenica 24 marzo 2013
venerdì 8 marzo 2013
Non cogliermi rami fioriti, oggi.
Non s’adombri il profilo d’una donna
col giallo intenso d’un fiore.
Si perde nel vento e
solleva la polvere
dell’ineguaglianza sociale.
Celebrare con un solo colore
l’essenza della donna
è dimenticarsi delle
sfumature e cancellare
il riflesso di luce che
erra nel Pensiero.
Celebrare un solo fiore è
il canto incompreso d’Antigone,
non rigenera vita, ma calpesta l’onore.
adesso.
Inventami fiori, dèttami poesie,
domani.
Alle donne che affrontano impavide le difficoltà della
vita quotidiana, senza mai tirarsi indietro, senza mai abbassare la guardia.
Alle donne
che, con un vigore e un’energia sconosciute persino al sesso che si definisce
‘forte’, partoriscono figli che saranno il mondo di domani.
Alle donne
che denunciano soprusi e violenze, ergendosi come rocce sulla stupidità di
quelle bestie impotenti che alcuni osano chiamare ‘uomini’. Questo è per voi.
Alle donne
che sistemano all’orecchio la mimosa come una conquista da esibire in vecchie
bettole dimenticate, e celebrano l’otto di marzo sull’altare della volgarità e
della miseria concettuale: questo non è per voi.
Perché è
brindando col calice insulso dell’idiozia che acclamate al germe della
disparità.
martedì 5 marzo 2013
P a n t o m i m a p
r i m a v e r i l e
Scompare
l’essenza audace dei
versi
antichi tinti d’allegria.
Silenziosa
mi assale una fallace
idea
rivoluzionaria:
mescolare
profumi e sapori
di
un tempo ormai allontanato
per
obliare il senso oscuro
diffuso
oggi nel ventre della terra.
Fugace
desiderio imperlato di speranza,
di
miele e arbusti intrecciati di frutti maturi.
Trimalcione!
Sei
nascosto nel velo del desco romano,
non
arride la tua sorte alla tavola misera
del
contadino ormai venduto,
dell’operaio
ormai sfruttato.
Povertà
vera e seria
maneggia
oggi le redini
della
società sconquassata e stanca.
Povertà
triste e scortese
solleva
le masse contro i falsi custodi
del
bene comune
contro
i falsi garanti
dell’uguaglianza
sociale.
E
non c’è spazio nelle menti
per
il terzo precetto costituzionale,
per
il quarto principio fondamentale.
Il
mio grido silenzioso è solo per voi,
lavoratori
senza pane,
disoccupati
senza dignità sociale,
perché
il vostro domani non si rifletta
in
questa odierna pantomima di primavera:
muta
e malinconica non giova
del
vecchio cinguettio vitale
ma
pigra e timida soggiace ancora inerte
al
supplizio di un inverno epocale.
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