La vita è esperienza, cioè improvvisazione, utilizzazione delle occasioni; la vita è tentativo in tutti i sensi. Donde il fatto, a un tempo imponente e assai spesso misconosciuto, delle mostruosità che la vita ammette
Georges Canguilhem



sabato 24 gennaio 2009

Diario concertato di un'adolescenza


Ieri sera ho partecipato, con una massa sterminata di persone, al concerto romano di Francesco Guccini, un cantautore che amo dal tempo del ginnasio. Me lo fece conoscere il ragazzo con cui ho condiviso il banco scolastico per cinque anni. Ho canticchiato i suoi motivi più celebri nelle ore più malinconiche, nei momenti chiaroscuri della mia adolescenza, nel corso delle cospirazioni tentate dalle sommosse d'animo. Quando viaggio in treno, mi torna spesso in mente la strofa finale di Incontro (1972):



E pensavo dondolato dal vagone



<<cara amica, il tempo prende, il tempo dà,



noi corriamo sempre in una direzione,



ma qual sia e che senso abbia chi lo sa>>.



Restano i sogni senza tempo



le impressioni di un momento



le luci nel buio



di case intraviste da un treno;



siamo qualcosa che non resta



frasi vuote nella testa



e il cuore di simboli pieno.



Non ho dubbi sul fatto che Incontro sia la canzone che, nel corso di un anno, ascolti più spesso. Si è infiltrata nei canali esistenziali della mia soggettività. La prima strofa della stessa canzone mi fa rivivere col pensiero certe esperienze mattutine, precedenti l’inizio delle lezioni universitarie delle 9. Storie, ormai, di diversi anni fa, incontri nella nebbia, scenario di una presenza insondabile:




E correndo mi incontrò lungo le scale



quasi nulla mi sembrò cambiato in lei;



la tristezza poi ci avvolse come miele



per il tempo scivolato su noi due.



Il sole che calava già



rosseggiava la città



già nostra e ora



straniera e incredibile e fredda;



come un istante déjà vu,



ombra della gioventù,



ci circondava la nebbia.








In realtà, il passo della canzone prefigura una cornice crepuscolare; il discorso emotivo resta, in ogni modo, lo stesso. E poi, i motivi narrativi dell'incontro con l'amica si intrecciano con vicende reali della mia adolescenza. Incontro è così l'inno del mio cuore senza costituzione e a sovranità limitata.




Un concerto di Francesco Guccini non è un semplice concerto. Il Maestro dialoga col pubblico, come se si trovasse nell’Osteria delle Dame, piuttosto che in un palasport. Graffia gli animi con le sue pungenti riflessioni sulla miseria dei nostri giorni, scatena risate collettive sfoderando il suo leggiadro umorismo da taverna. Condensa nei suoi testi elementi “alti”, accessibili esclusivamente ad un uditorio d’elite (penso alla seguente strofa di Bisanzio, incisa nel 1981:




Sentivo i canti osceni



degli avvinazzati



di gente dallo sguardo pitturato e vuoto



ippodromo, bordello e nordici soldati



Romani e Greci urlate dove siete andati.



Sentivo bestemmiare in alamanno e in goto





oppure alla struttura compositiva complessiva di Via Paolo Fabbri 43 del 1976) ed elementi “bassi”, per i quali l’erudizione raffinata del dotto si converte nell'espressione immediata e cruda dello stato d’animo (mi viene in mente, al riguardo, la strofa finale di Quattro stracci del 1996:




Per rifiutare sei stata un genio, sprecando il tempo



a rifiutare me



ma non c'è un alibi, non c'è un rimedio, se guardo bene no,



non c'è un perché;



nata di marzo, nata balzana,



casta che sogna d' esser puttana,



quando sei dentro vuoi esser fuori cercando sempre



i passati amori



ed hai annullato tutti fuori che te).




Il canzoniere di Guccini è l’enciclopedia della mia anima, il registro polisemantico e polifonico dei miei umori. Conosco a memoria tutte le sue canzoni e credo che per dare senso ad ogni possibile oscillazione del mio temperamento sia sufficiente mettere sul nastro una sua determinata canzone. Ci tenevo ad incontrarlo, a fare i conti con lui e con la storia personale dei miei ultimi dieci anni. Pur di partecipare all’evento di ieri sera, per il quale non avevo affatto biglietti a disposizione fino a due giorni fa, mi sono messo nella condizione di incontrare un ragazzo in piazza Bologna, un ventenne dall’aria trasognata, che mi ha ceduto a caro prezzo il diritto di accesso ad un viatico di emozioni, tuffo introspettivo senza paracadute.





L’emozione più forte è stata un’altra, però. Accanto a me, nel parterre, a pochi metri dal palco, c’era una giovanissima liceale. L’ho osservata in più di un’occasione. Ha cantato a memoria, con grida di rabbia, tutte le canzoni. Osservandola ho pensato che sapesse tutto su di me. L’ho vista orientarsi, con legale diritto di cittadinanza, nel mio mondo, presente come una passante sconosciuta, ma non clandestina. E' fantastico prendere coscienza visivamente della possibilità di condivisione dello schermo su cui proiettare pensieri, idee, progetti, isole non trovate. La ragazza, poi, ha sollevato con vigore il pugno, un antico gesto di speranze, mentre ribolliva La locomotiva nei nostri cuori. Pur non essendo un comunista, ho stretto anch’io le mie rabbie, la mia stanchezza, nel pugno innalzato al cielo nella notte piovosa romana. Era il nostro simbolo di riconoscimento, il segno della nostra aggregazione, della condivisione dello stesso tessuto di disillusioni e di attese da rinnovare. Questo è il valore del pugno chiuso, un gesto di amore e di rivendicazione di un riscatto da affermare disperatamente, costi quel che costi.


L’attualità è un’icona di miserie e di vergogne, rispetto alle quali non siamo neppure più tutelati da una barriera di pudore. Non proviamo più imbarazzo per la mostruosità che ci circonda e che penetra lentamente, giorno dopo giorno, nei nostri pensieri, nell’architettura delle nostre utopie, evaporate in un bicchiere di vino rosso sangue. Il disincanto è scalzato violentemente dall’incapsulamento mediatico, dall’assuefazione passiva.




Per tutte queste ragioni, ieri sera ho celebrato la mia festa di liberazione. Mi sono liberato della delusione per la deriva degli eventi del nostro bel paese, esorcizzandola in un coro comunitario di voci giovanili. Mi sono liberato del fardello della mia adolescenza complessa e barocca. Le canzoni e le emozioni sono le stesse, a variare è il modo di viverle sulla propria pelle. In definitiva, sono sempre fiero del mio sognare, di questo eterno mio incespicare e rido in faccia a quello che cerchi e che mai avrai.

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