Il venditore di tristezza
Qualche giorno fa ho partecipato al funerale della madre di una vecchia amica di famiglia. Benché la città fosse spopolata da più di una settimana per l’esodo vacanziero, la chiesa era gremita di corpi provati dalla calura, nell’ora della siesta. Non ho trovato posto. Sono rimasto così appoggiato a una delle prime colonne della navata centrale. Da lì ho seguito con attenzione ogni aspetto del rituale: la costernazione delle figlie orfane, la partecipazione di un gruppo considerevole di amici e conoscenti, le letture incerte e quasi balbettanti del diacono, i nastri canterini in sostituzione del coro sparpagliato sulle coste più vicine. Certamente, ho ascoltato con particolare interesse l’omelia consolatoria del parroco, che è piuttosto noto per la tempestività delle sue prove retoriche. Ero così pronto ad ascoltare le consuete nenie del martirio, ritornello conciliante dell’anestesia cristiana risolto in una manciata di minuti. Mi sbagliavo: la grande affluenza e il legame amichevole con i parenti dell’estinta l’hanno indotto a prolungare l’omelia oltre i limiti del buon senso: venti minuti di prolusione dottrinaria, che ha assunto in alcuni tratti i connotati propri del monologo di un evangelizzatore perdente, che vorrebbe essere sbranato dai lupi per essere ricordato da qualcuno. Nessuno fra voi crede realmente nella vita dopo la morte! Un missionario smarrito fra orde barbariche, pagane e idolatriche, il detentore dell’assolutezza della Verità in una comunità di finzioni e dissimulazioni: esercizi di pensiero per incrementare l’autostima, ovvero il senso di sé. Gli scienziati si stanno impegnando per risolvere la vita con una siringa! Tono da comizio, esaltazione del cuore nell’abisso di pensieri perdenti. Qual è il senso di una provocazione pronunciata da un sostenitore ardito delle ragioni della bioetica cattolica al cospetto di una bara, di occhi gonfi di sofferenza? La dilatazione della tristezza. La strumentalizzazione di una tomba in esposizione per fini di mero proselitismo, ovvero la riduzione di una vita a materia di catechismo è l’assurdità della violenza psicologica, che contraddistingue l’attività di numerosi sacerdoti. Il fervore pretesco non ha dedicato neppure una parolina alla defunta: non è stato offerto alle figlie, ai parenti, agli amici, a me – appoggiato con la fronte corrucciata all’ultima colonna – neppure un motivo per ricordare per sempre quella vita, non disperdendola con il passare dei mesi nella fretta delle pratiche della vita quotidiana. La pietà cristiana si è manifestata sotto altre vesti: nella commozione dei presenti, negli abbracci amorevoli degli amici, nell’estinzione dell’odio per la vita nel caldo incenso che ha reso opprimente l’ambiente, nel rintocco monocorde e straziante della campane che ricordava a una città intorpidita che un’altra sua figlia è sparita. Il cuore cristiano è compassionevole: la com-passione è la condivisione della sofferenza, vale a dire la cifra dell’autentica simpatia. Mi viene in mente, al riguardo, un passo tratto da Soi-même comme un autre (1990), uno dei volumi più coinvolgenti del compianto Paul Ricoeur: «La sofferenza non è definita unicamente dal dolore fisico, e neppure dal dolore mentale, ma dalla diminuzione, e anche dalla distruzione della capacità di agire, di poter fare […]. Qui, l’iniziativa, precisamente in termini di potere-di-fare, sembra spettare unicamente al sé, che dona la sua simpatia, la sua compassione […]. Nella vera simpatia, il sé […] si ritrova affetto da tutto ciò che l’altro sofferente gli offre di contro. Dall’altro sofferente, infatti, procede un dare che non è, precisamente attinto dalla potenza di agire e di esistere, ma dalla sua stessa debolezza. È forse là la prova suprema della sollecitudine, che la disuguaglianza di potenza venga ad essere compensata da un’autentica reciprocità nello scambio, la quale, nell’ora dell’agonia, si rifugia nel mormorio condiviso delle voci e nella debole stretta di mani che si serrano insieme». Nella chiesa affollata, nell’ora più calda del pomeriggio in una giornata agostana di desolazione e solitudine, tanti cuori cristiani hanno accolto la debolezza di una famiglia costernata dal lutto per offrire in cambio compassione e sollecitudine, mentre un venditore di tristezza ha tentato di distruggere del tutto la capacità di agire dei sofferenti per issare un vessillo nero.
Qualche giorno fa ho partecipato al funerale della madre di una vecchia amica di famiglia. Benché la città fosse spopolata da più di una settimana per l’esodo vacanziero, la chiesa era gremita di corpi provati dalla calura, nell’ora della siesta. Non ho trovato posto. Sono rimasto così appoggiato a una delle prime colonne della navata centrale. Da lì ho seguito con attenzione ogni aspetto del rituale: la costernazione delle figlie orfane, la partecipazione di un gruppo considerevole di amici e conoscenti, le letture incerte e quasi balbettanti del diacono, i nastri canterini in sostituzione del coro sparpagliato sulle coste più vicine. Certamente, ho ascoltato con particolare interesse l’omelia consolatoria del parroco, che è piuttosto noto per la tempestività delle sue prove retoriche. Ero così pronto ad ascoltare le consuete nenie del martirio, ritornello conciliante dell’anestesia cristiana risolto in una manciata di minuti. Mi sbagliavo: la grande affluenza e il legame amichevole con i parenti dell’estinta l’hanno indotto a prolungare l’omelia oltre i limiti del buon senso: venti minuti di prolusione dottrinaria, che ha assunto in alcuni tratti i connotati propri del monologo di un evangelizzatore perdente, che vorrebbe essere sbranato dai lupi per essere ricordato da qualcuno. Nessuno fra voi crede realmente nella vita dopo la morte! Un missionario smarrito fra orde barbariche, pagane e idolatriche, il detentore dell’assolutezza della Verità in una comunità di finzioni e dissimulazioni: esercizi di pensiero per incrementare l’autostima, ovvero il senso di sé. Gli scienziati si stanno impegnando per risolvere la vita con una siringa! Tono da comizio, esaltazione del cuore nell’abisso di pensieri perdenti. Qual è il senso di una provocazione pronunciata da un sostenitore ardito delle ragioni della bioetica cattolica al cospetto di una bara, di occhi gonfi di sofferenza? La dilatazione della tristezza. La strumentalizzazione di una tomba in esposizione per fini di mero proselitismo, ovvero la riduzione di una vita a materia di catechismo è l’assurdità della violenza psicologica, che contraddistingue l’attività di numerosi sacerdoti. Il fervore pretesco non ha dedicato neppure una parolina alla defunta: non è stato offerto alle figlie, ai parenti, agli amici, a me – appoggiato con la fronte corrucciata all’ultima colonna – neppure un motivo per ricordare per sempre quella vita, non disperdendola con il passare dei mesi nella fretta delle pratiche della vita quotidiana. La pietà cristiana si è manifestata sotto altre vesti: nella commozione dei presenti, negli abbracci amorevoli degli amici, nell’estinzione dell’odio per la vita nel caldo incenso che ha reso opprimente l’ambiente, nel rintocco monocorde e straziante della campane che ricordava a una città intorpidita che un’altra sua figlia è sparita. Il cuore cristiano è compassionevole: la com-passione è la condivisione della sofferenza, vale a dire la cifra dell’autentica simpatia. Mi viene in mente, al riguardo, un passo tratto da Soi-même comme un autre (1990), uno dei volumi più coinvolgenti del compianto Paul Ricoeur: «La sofferenza non è definita unicamente dal dolore fisico, e neppure dal dolore mentale, ma dalla diminuzione, e anche dalla distruzione della capacità di agire, di poter fare […]. Qui, l’iniziativa, precisamente in termini di potere-di-fare, sembra spettare unicamente al sé, che dona la sua simpatia, la sua compassione […]. Nella vera simpatia, il sé […] si ritrova affetto da tutto ciò che l’altro sofferente gli offre di contro. Dall’altro sofferente, infatti, procede un dare che non è, precisamente attinto dalla potenza di agire e di esistere, ma dalla sua stessa debolezza. È forse là la prova suprema della sollecitudine, che la disuguaglianza di potenza venga ad essere compensata da un’autentica reciprocità nello scambio, la quale, nell’ora dell’agonia, si rifugia nel mormorio condiviso delle voci e nella debole stretta di mani che si serrano insieme». Nella chiesa affollata, nell’ora più calda del pomeriggio in una giornata agostana di desolazione e solitudine, tanti cuori cristiani hanno accolto la debolezza di una famiglia costernata dal lutto per offrire in cambio compassione e sollecitudine, mentre un venditore di tristezza ha tentato di distruggere del tutto la capacità di agire dei sofferenti per issare un vessillo nero.
Nessun commento:
Posta un commento