La vita è esperienza, cioè improvvisazione, utilizzazione delle occasioni; la vita è tentativo in tutti i sensi. Donde il fatto, a un tempo imponente e assai spesso misconosciuto, delle mostruosità che la vita ammette
Georges Canguilhem



venerdì 12 agosto 2011



«Sai dove comincia la grazia o il tedio a morte del vivere in provincia…»




Internet ha contribuito in maniera definitiva a livellare le differenze fra il centro e le periferie, nel senso che un computer connesso alla Rete da un paesotto arroccato su un monte dimenticato diventa il centro del mondo. La connessione telematica annulla, così, il senso del ritardo (nell’apprendere notizie, nell’adeguarsi alle mode, etc…), che tradizionalmente ha reso problematico il vivere in provincia: un ragazzo residente in corso Buenos Aires a Milano e un suo coetaneo che consuma vuote giornate in un quartiere popolare di un paesino sconosciuto ai più si vestono nello stesso modo, ascoltano la stessa musica, coltivano le stesse fantasticherie, parlano lo stesso «linguaggio» (inflessioni dialettali, a parte). La specificità della vita provinciale è l’inevitabile condivisione degli spazi urbani con la solita gente di sempre. Grazia o tedio a morte? Direi, gran seccatura, che richiede una logica della sopportazione… Bisogna schivare gli sguardi indiscreti e le civetterie di circostanza, tollerare i comportamenti autoreferenziali e soprattutto una molteplicità di considerazioni arbitrarie fondate su una radicata (ma ingiustificata) autostima oppure su clamorosi errori di valutazione reiterati negli anni. Come si sa, poi, i piccoli centri hanno in comune con i vecchi una tendenza al conservatorismo. Come sopravvivere, dunque, nella provincia della provincia, in cui «moriamo ogni giorno dei medesimi mali», «siamo tutti uguali, siamo cattivi e buoni e abbiamo gli stessi mali, siamo vigliacchi o fieri, saggi, falsi, sinceri, coglioni»? Proprio così, perché lo spirito comunitario è fasullo, un gioco di facciata e ognuno vive dei propri egoismi… Dunque, come sopravvivere? Mi viene in mente un pensiero di Antonio Gramsci, tratto dalla lettera al fratello Carlo del 12 settembre 1927: «bisogna sempre essere superiori all’ambiente in cui si vive, senza perciò disprezzarlo o credersi superiori».

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