Per la serata di ieri, io e Stefy avevamo previsto di partecipare ad un concerto di chitarristi impegnati dall'esecuzione di struggenti melodie argentine. Tanghi e geremiadi di bandoleri stanchi. L'indicazione del luogo in cui si sarebbe svolto il concerto non era del tutto chiara. Si faceva riferimento alla chiesa di Santa Lucia. Abbiamo cercato disperatamente di raggiungere la chiesa, tentando di udire l'effluvio di note che ci potessero guidare. Niet. Sulla via della rassegnazione, abbiamo scorto un cartello che suggeriva l'opportunità di visitare la cripta della cattedrale della città. Un esempio vivido e luminoso della scuola barocca napoletana, sfumata dall'annunciazione della grazia rococò. Il relatore della mie tesi di laurea parlando di me con un interlocutore, ha detto, in un'occasione: “Lui vede il barocco ovunque, non ci faccia caso”. Strappò un mio sorriso di convinta approvazione. Il Barocco con le sue inquietudini è una delle mie ossessioni esistenziali. La piega che si dispiega all'infinito sviluppa il senso barocco. Il cuore barocco di Gaeta mi ha mozzato il respiro, gonfiando le arterie di fermenti estetici. Un'autentica esperienza di bellezza, in un mondo che ha fatto del culto del trash, del kitch e della volgarità ostentata la rappresentazione ordinaria dei suoi giorni alienanti. Io e Stefy eravamo fra i pochi osservatori privilegiati di ciò che sfugge all'ansia della ricerca ottusa del diversiment. La soggettività si eleva nella contemplazione della creazione tragica della massima glorificazione del Dieu fainéant del Seicento. Il Dio barocco è morto.
Il cuore barocco di Gaeta è uno scrigno nero. Nella Città Vecchia difficilmente potrà essere scorto nuovamente. Il sacrificio del concerto argentino è stato un caso. Il senso deriva sempre dal non senso.
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