La vita è esperienza, cioè improvvisazione, utilizzazione delle occasioni; la vita è tentativo in tutti i sensi. Donde il fatto, a un tempo imponente e assai spesso misconosciuto, delle mostruosità che la vita ammette
Georges Canguilhem



martedì 4 maggio 2010

DEMOCRAZIA E TIRANNIDE

Un tempo, nell’antica Grecia, quando la democrazia era ai suoi albori, i filosofi amavano discutere sull’ “eunomia”, letteralmente sul “buon governo”. Riflettevano sulle diverse forme di governo, per individuare il “nomos” ideale che avrebbe condotto alla realizzazione della felicità, o quantomeno di un equilibrio sociale. Anche se la democrazia è la forma di governo storicamente affermatasi, a quei tempi non era la più quotata. Aristotele ad esempio, ma anche eccellenti narratori quali Tucidide, preferivano di gran lunga l’ “aristocrazia” alla democrazia. Noi moderni abbiamo irrimediabilmente perso il senso della parola “aristocrazia”, poiché per noi essa è circondata da un alone di negatività, retaggio di secoli di battaglie fatte in nome della libertà. Eppure l’aristocrazia per i greci era semplicemente il “governo dei migliori”, i più adatti a governare per virtù. Ovviamente in una società come quella greca del V sec. a.C., i migliori erano anche i più ricchi, ma la ricchezza era garanzia di onestà poiché essi avrebbero esercitato la politica solo per amore della città. Ed erano cittadini solo i combattenti, quelli cioè che potevano pagarsi almeno l’armatura essenziale. L’altra parte della popolazione era fatta di donne, schiavi, stranieri e poveri sostanzialmente assenti dalla vita politica. Ma una delle grandi acquisizioni della democrazia ateniese, per merito di Clistene, fu l’equiparazione tra città e campagna. Tutti erano cittadini, sia l’uomo che viveva in città, sia l’abitante del demo più sperduto dell’Attica e tutti avevano il diritto/dovere di partecipazione alla vita politica.
Tuttavia i pensatori più illustri ritenevano che la democrazia, in quanto “governo del popolo”, fosse una forma di governo molto pericolosa e instabile poiché in essa era insito il pericolo della “tirannide”. Il “tyrannos” era una figura abituale della storia greca, cui i greci erano avvezzi. Ma spesso i tiranni erano dei capipopolo, capaci di influenzare le masse, di smuovere la loro “hybris” attraverso altra “hybris” (la tracotanza, il desiderio smodato, l’insoddisfazione, la rabbia, la paura, il risentimento, ecc). Il vero terrore per i greci era infatti la mancanza di equilibrio, il prevalere della “hybris” sulla virtù politica e sul bene comune. E come le tragedie greche insegnavano, la “hybris” era causa di profondi mali. Così Aristotele vedeva nella democrazia post-periclea una degenerazione della democrazia come imperialismo sfrenato e lo stesso amaro giudizio espresse Tucidide in quel capolavoro storico che sono le sue Storie. Così ben presto si diffuse la fobia della tirannide, spesso anche a scopo macchinoso attraverso la manipolazione della pratica dell’ostracismo. Per cacciare dalla città un uomo politico diventato pericoloso o fastidioso, bastava attirare su di lui l’accusa di tiranno e il suo destino era segnato.
Democrazia e tirannide sono una diade inseparabile, fin dalla loro origine.

Ah, quante risposte sul nostro tempo potremmo trovare lì, agli albori della democrazia! Chi sono i leghisti se non capipolo che incitano alla “hybris” attraverso la “hybris” come programma politico, producendo spettacoli raccapriccianti come quelli che abbiamo visto nella puntata di Annozero del 22 aprile? E perché il corpo del Duce non potrà mai essere sepolto veramente, ma sempre e continuamente esorcizzato? Democrazia e tirannide.

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