La vita è esperienza, cioè improvvisazione, utilizzazione delle occasioni; la vita è tentativo in tutti i sensi. Donde il fatto, a un tempo imponente e assai spesso misconosciuto, delle mostruosità che la vita ammette
Georges Canguilhem



domenica 10 maggio 2009

Cronaca di un pomeriggio filosofico

Un sabato pomeriggio indimenticabile. La concentrazione di un insieme significativo di individui (per lo più giovanissimi) in una sala, in uno dei primi pomeriggi primaverili dell’anno, per partecipare ad un appuntamento filosofico è qualcosa di straordinario. Non avevo presentato l’appuntamento al una mia amica ormai "storica", Federica. L’ha scoperto su Pieghe libertarie. Ha affrontato due ore di viaggio con Gaetano e Maria pur di partecipare. Non potrò mai sdebitarmi sufficientemente con loro, autori di un tributo di amicizia che mozza il respiro. L’attenzione dell’uditorio è rimasta viva per due ore, gli interventi si sono rivelati pungenti ed incalzanti. Un pomeriggio rivoluzionario, in una città tradizionalmente intorpidita ed asservita ad inchini devozionali reiterati, omaggiati ad un gregge di incompetenti. Presento di seguito alcune delle parole che hanno invaso la sala, coinvolgendo le coscienze. L’esito soddisfacente dell’esperimento filosofico di ieri presuppone il ringraziamento pubblico di tante anime. Non seguo questa via soltanto per scongiurare il terrore di dimenticare qualcuno. I destinatari dei ringraziamenti sono già stati stretti dal mio abbraccio commosso.
Introduzione
di VINCENZO BRUSELLO

La ragione per cui valga la pena studiare la filosofia è molto significativa, soprattutto oggi, dal momento che il mondo si rende sempre più complesso e falliscono sempre più frequentemente anche le soluzioni più semplici di comprensione, per la loro fragilità. Il filosofo sa cogliere i problemi esistenziali dell’uomo. Rammarica il tentativo di affermare, senza timore, le cose del mondo trovandosi costantemente nella condizione didover sfondare faticosamente la porta del pregiudizio. La filosofia non vive in un mondo astratto o nell’alto dei cieli irraggiungibili. Anche il pensiero in apparenza più astratto e teoretico si occupa, in realtà, delle domande irrinunciabili della nostra vita. Per questo motivo, la filosofia non può essere affatto un’occupazione per pochi. Deve circolare nella città, tornando a frequentare le piazze, così come suggeriva qualche anno fa Paul Ricouer. In effetti la società attuale, troppo interessata ad avere la soluzione pronta per tutti i problemi e la risposta a tutte le domande, è dominata da un eccessivo pragmatismo, che esclude o limita fortemente l'attività speculativa. In questo contesto socio-culturale, la filosofia viene spesso tascurata, proprio perché solleva questioni e si nutre in maniera a volte inquietante di un dubbio costante e metodico. Questa “forma mentis” sembra piuttosto difficile da modificare, qualora non si affermasse un notevole cambiamento culturale; ecco perché bisognerebbe restituire, agli occhi della gente, una “dignità pratica” alla filosofia (Nell'undicesima tesi su Feuerbach, 1845, Marx scrive: "I filosofi hanno solo interpretato il mondo, in modi diversi; ora si tratta però di cambiarlo"). Da sempre i filosofi vengono chiamati a dare il loro contributo in diverse aree della vita pratica, dalla politica all’economia, dalla bioetica alle intelligenze artificiali. Non sempre, comunque, il contributo dei filosofi si è rivelato fecondo. Basti considerare il fallimento di Platone a Siracusa o, più in generale, i processi di conversione dell’ideale in ideologia. Allora perché tutta questa diffidenza? L'individuo non può fare a meno di filosofare, anche se non volesse. Aristotele afferma che la filosofia comincia con la “meraviglia” (thauma) intesa come passione subita, come stato d’animo sconvolto da eventi insoliti, una realtà prevaricatoria che provoca inquietudine. Si innescano, dunque, i meccanismi di un circolo vizioso in cui si viene sconvolti dalla meraviglia, di cui si estingue l’incendio con il suo controllo, questo per tutta la vita. Come ha sostenuto Wittgenstein, “Il problema della filosofia è la consapevolezza del disordine nei nostri concetti,e lo si può risolvere conferendo loro ordine”. Nel 1991, Jostein Gaarder, docente di filosofia nei licei, pubblicò in Norvegia, con uno stile limpido ed elegante, un romanzo sulla storia della filosofia, dal titolo Il mondo di Sofia, successo internazionale tradotto in 41 lingue. Protagonista del romanzo è una ragazzina come tante che scopre la filosofia attraverso le strane domande ricevute nella cassetta postale da uno sconosciuto filosofico. Lo scambio di riflessioni fra Sofia e il filosofo diviene lo spunto per rendere accessibile il sapere filosofico ad un pubblico sterminato di non soli giovanissimi. Il romanzo non è soltanto un avvincente giallo o una raccolta di avventurose storie nel tempo e nello spazio, o un esauriente manuale narrativo di filosofia, quanto piuttosto, più in generale, la più originale storia dell’uomo e del suo pensiero che sia mai stata scritta. Scrive Gaarder: “…per motivi diversi, la maggior parte delle persone è così presa dalle cose di tutti giorni che il pensare all’esistenza occupa l’ultimo posto (scivolano giù, giù nella pelliccia del coniglio, si sistemano ben bene e rimangono lì per tutta la vita). Per i bambini, il mondo, con tutto ciò che offre, è qualcosa di nuovo, di stupefacente. Non è così per gli adulti parte dei quali percepisce il mondo come un fatto ordinario”. Lo scrittore continua ancora accomunando magistralmente i filosofi ai bambini, la curiosità che affascina, che stimola, fa di queste due figure un’unica essenza; scrive, infatti: “I filosofi rappresentano una nobile eccezione. Un filosofo non è mai riuscito ad abituarsi del tutto al mondo che, per lui, continua ad essere assurdo, sì enigmatico e misterioso. I filosofi e i bambini hanno in comune questa importante capacità. Potremmo ben dire che un filosofo conserva la pelle delicata di un bambino per tutta la vita” .La filosofia non è inutile, è una disciplina altamente formativa; è sbagliato pensare che sia un passatempo ozioso per pochi eruditi, un gioco di parole incomprensibili. Una disciplina che ha il suo linguaggio specifico, così come la medicina e l’astronomia. L’insegnamento della filosofia non ha solo un valore storico-culturale e metodologico ma possiede anche una finalità di tipo esistenziale. Come scrisse, infatti, Nicola Abbagnano: “Filosofare significa per l’uomo, in primo luogo, affrontare ad occhi aperti il proprio destino e porsi chiaramente i problemi che risultano dal proprio rapporto con se stesso, con gli altri e col mondo […]. Alla filosofia l’uomo può e deve chiedere di comprendere un po’ meglio se stesso e agli uomini di intendersi un po’ meglio tra loro”. L’insegnamento della filosofia ha sopratutto lo scopo educativo di formare individui che siano all’altezza della società “complessa” e tecnico-scientifica dei giorni nostri, ovvero di una società pluralista e democratica di tipo postmoderno, che ospita al proprio interno una molteciplità irriducibile di linguaggi, di voci discordanti apparentemente incomprensibili come il mormorio di un mercato rionale. La filosofia si pone dunque come il dizionario che rende possibile la comunicazione tra le diverse tonalità individuali.
L'INTERVENTO DI EGIDIO CAPPELLO

Esprimo apprezzamenti sinceri per l’iniziativa ed insieme manifesto la mia gioia perché sono qui a riflettere con voi. Devo partire dalla situazione attuale della filosofia.
La filosofia ha divorziato dalla cultura contemporanea, per scelta propria e per scelta della controparte. Per scelta propria perché la filosofia ha fondamenti dai quali non può derogare: quello più significante è la tendenza all’universalità dei concetti e dei principi. L’universalità dei concetti significa anche l’universalità della ragione, l’universalità delle metodologie di ricerca, l’universalità dei valori che si intendono perseguire e realizzare. La filosofia si fonda sulla certezza che non solo esistono i saperi universali ma che questi sono i saperi dai quali si origina ogni tipo di cultura e goni finalità della cultura. Per scelta della cultura contemporanea, perché questa ha ceduto ai particolarismi, ai soggettivismi, ai relativismi pensando di difendere in questo modo l’identità dell’individuo e la libertà dell’individuo.
La cultura contemporanea si propone così come un insieme di rivoli autonomi, senza origine unitaria e senza finalità unitarie, rivoli che quindi rifiutano una collocazione all’interno di quadri d’insieme e di composizioni logiche progressive. Ogni rivolo si propone come quello superiore, quello più importante, e questo non riguarda la diversità degli ambiti culturali ma anche le facce di uno stesso settore, come succede in alcune università ove ogni docente tende ad affermare la superiorità della propria disciplina e spesso la superiorità del proprio metodo di fare lezione o spesso di mettere i voti. E quindi ci si appiglia: è l’economia, la sanità, la politica, l’educazione, il turismo, lo sport, quale di questi rivoli è prioritorio di fronte agli altri?
Vi dico subito la mia idea, che è l’idea di tanti: la cultura o è filosofica o è semplicemente un rivolo; o sceglie di essere l’humus connettivo dei pensieri disciplinari, o seceglie di assumere il ruolo secondario qual è quello di una pianificazione politico, o economica o addirittura un progetto di potere. La filosofia ha proprie condizioni e non cede ai valori dei singoli settori che appartengono all’effimero e all’individuale.
La filosofia è nata come sapienza della relazione e della comunicazione, come ricerca di principi fondanti l’ordine oggettivo e cosmico, l’ordine storico, l’ordine della vita personale. La filosofia come amore della sapienza, di una sapienza indeterminata, non ha riscontri storici: l’interpretazione nasce una lettura errata, o almeno incompleta, di una espressione aristotelica.
Pensiamo per un attimo al cammino percorso dalla filosofia per almeno duemila anni: una ricerca di principi e condizioni aggreganti, ricerca affidata ai sensi, alla ragione, alla contemplazione e a tutti gli strumenti che qualificano l’uomo.
Per duemila anni l’invito di Apollo posto sul frontale del tempio di Delfi con le parole “conosci te stesso” ha indicato al ricercatore la via da percorrere per raggiungere la pienezza della propria umanità, ossia la propria divinità: in se stesso, nella profondità della propria intelligenza, c’è il luogo dell’origine unitaria, il luogo dell’universalità ove è chiaro il senso della vita, ove sono chiari i saperi essenziali ed oggettivi. La filosofia non è mai venuta meno alla ricerca dell’universalità passando attraverso le limitazioni proprie della mente umana.
Talete, Anassimente, Anassimandro, Pitagora, Anassagora, Parmenide, Eraclito, Socrate, Platone, Aristotele, Plotino, i Padri della Chiesa Cristiana, Agostino, Tommaso, fino a Leonardo, Galilei, Cusano, Botero, Landino, appartengono ad una stessa schiera di testimoni della cultura dell’universalità. Dal ‘600 la ricerca subisce una profonda trasformazione: come se i pezzi di un mosaico si fossero staccati del tutto per percorrere itinerari autonomi ed isolati. L’Europa vive una storia di grandi trasformazioni: le sviluppo delle autonomie nazionali, la conquista e l’incivilimento “occidentale” dei popoli dell’America, la perdita dell’unità religiosa in Europa per via della Riforma protestante, la rovinosa Guerra dei Trent’anni durante i quali c’è la nascita e la propagazione di malattie da contagio; ebbene tutti questi eventi causano spinte centrifughe e disintegranti che coinvolgono e sconvolgono la struttura del pensiero e naturalmente la filosofia. A tutto questo si unisce l’ipotesi assurda da parte di uomini della nascente scienza tecnologica, di costruire rapporti logici nuovi attraverso la separazione più o meno totale dei settori disciplinari.
La filosofia di Cartesio, indicata come la nascita della filosofia moderna, sembra dare stimolazioni appropriate alla creazione di un soggettivismo fuori dalle regole tradizionali, per cui l’evidenza si presenta come qualità del soggetto e non come qualità propria della realtà oggettiva. In più pagine trova spazio anche l’ipotesi della scomparsa della filosofia e le sue leggi di unificazione presentata con la veste di una nuova filosofia, idonea a difendere alcuni settori della vita, alcuni settori della ragione, alcuni settori comunicativi.
È un’aspra battaglia che comunque si combatte. Voglio ricordare i filosofi difensori della unitarietà, quella autentica, quella che ha caratterizzato e dato l’impronta a più di duemila anni di storia occidentale: Spinoza, Leibniz, Barkeley, Kant, Schelling, Hegel, Husserl, Bergson, Maritain fino al grande Giovanni Paolo II.
Viviamo adesso la dicotomi fra il pensiero dell’universalità aggregante, proprio della filosofia autentica, e il pensiero delle individualità settoriali, proprio delle scienza particolari: dicotomia alimentata dai mali del nostro secolo ossia l’uso eccessivo di tecnologie e il consumo sfrenato della nostra intelligenza e del nostro tempo.
È il momento di chiederci: la cultura oggi ha bisogno di trovare origini e finalità aggreganti? Ha bisogno delle peculiarità della filosofia autentica? I problemi dell’umanità contemporanea sono universali o possono essere risolti attraverso le logiche particolari? Il problema dell’accesso all’acqua potabile e quello della terra, dell’inquinamento e delle migrazioni, dell’intercultura, ma anche il problema dell’educazione delle giovani generazioni, il problema della distribuzione della ricchezza, il problema della povertà, sono problemi economici, politici, matematici o sono problemi da affrontare attraverso la logica dell’universalità?
La filosofia, con i suoi principi oggettivi e la sua tensione verso orizzonti illimitati, si pone come l’unica scienza della salvezza dell’uomo; è in grado di raggiungere la quotidianità di ciascuno ed è l’unica a fornire gli strumenti per superare angolazioni particolaristiche o settoriali.
Chi sono i nemici della filosofia? Non certo chi non studia la filosofia ma chi è contrario alla soluzione dialogata dei problemi, chi è contrario all’insieme, chi non accetta il bene comune, che è oggettiva ed universale.
Questa è la conclusione del mio breve intervente: il ritorno della filosofia, con il suo respiro dell’essenzialità e dell’oggettività, è il rimedio a tanti problematiche che i tavoli politici non riusciranno mai a risolvere, e nello stesso tempo è fondamento certo di progresso nella giustizia e nella pace.
Come fare perché la filosofia raggiunga le scrivanie dei maneger, le cattedre dei docenti, i computer degli economisti? La risposta non deve essere banale: occorre cominciare da qualcuno e da qualcosa. Secondo il mio punto di vista, quello di un docente in pensione, occorre cominciare dai docenti, da tutti i docenti, dalla materna alle università. Tutti devono essere in possesso di cultura filosofica e di tensione filosofica.
Ogni lettura all’interno dei propri cammini disciplinari può e deve essere carica di potenziale relazionale e di aggregazione. Se ai docenti si uniscono poi i genitori che con la scuola hanno e mantengono rapporti di collaborazione, allora diventano accessibili anche traguardi di grande spessore sociale e culturale. Provo solo ad immaginare che cosa succede se ai docenti e ai genitori si uniscono anche le istituzioni, a cominciare da quelle più piccole. Una riflessione ancora a conclusione di questa mia comunicazione: la cultura è stata una volta filosofica, oggi in massima parte non lo è ma se rimane quella che è, anche per nostra disattenzione o per nostra scelta, deve rinunciare anche a chiamarsi cultura.

L'INTERVENTO DI FRANCESCO GIAMPIETRI

Tentare di legittimare l’attualità della filosofia nell’età di Facebook, della riduzione degli scambi intersoggettivi a frasi monche e virtuali, delle carte di credito e dell’AIDS, è un’impresa disperata. Ogni aspetto della società contemporanea sembra mettere inesorabilmente in discussione l’utilità della filosofia, il senso concreto di biblioteche infinite di volumi prestigiosi e vani. Ciò risulta ancora più evidente se prendessimo in considerazione le condizioni del filosofare poste da Descartes: la mancanza di distrazioni, la tranquillità indotta dall’assenza di ogni preoccupazione, la liberazione dalle passioni e l’occupazione di una stanza riscaldata da una stufa.
I filosofi sono stati oggetto di caricature ridicole. Talete cade in un pozzo mentre scruta il firmamento celeste scatenando l’ilarità di due giovani serve. Aristofane ne Le Nuvole rappresenta Socrate appeso in un cesto, elevato in alto, per studiare le stelle o impegnato ad insegnare ai fanciulli l’arte del bastonare i genitori. Luciano di Samosata (II secolo d. C.) presenta tutti i filosofi dell’antichità classica messi all’asta, venduti al miglior acquirente (in relazione alla possibilità di sfruttamento delle loro idee per fini pratici) come se fossero schiavi o prostitute. La risata di derisione della filosofia esorcizza l’inquietudine che il filosofo tenta di dissipare. Il filosofo è ridicolo perché pone mille domande offrendo come risposte ulteriori domande. Le poche risposte affermative sono inquietanti o incomprensibili. Il filosofo è ridicolo perché osa dubitare della validità del senso comune e di tradizioni venerate da gente per bene, perché si esprime in un linguaggio incomprensibile, talvolta soffre di egocentrismo e non è quasi mai dello stesso parere di altri filosofi.

Si tratta di osservazioni soltanto in parte iperboliche e caricaturali. Tentiamo, in ogni modo, di attenuarne la valenza decostruttiva.
La filosofia ha risvolti pratici, dal momento che può essere intesa come un piano inclinato nella prospettiva della sophia. Non è un inventario di opinioni prestigiose. È l’opposto sia della notizia che dell’erudizione (Josè Ortega y Gasset). Nonostante la filosofia sia uno studio, pensando filosoficamente non mi limito ad esprimermi per citazioni divenendo la cassa di risonanza di pensieri altrui.
La filosofia non coincide con l’insieme delle informazioni, composizioni contingenti di notizie. È lo strumento di spiegazione dell’informazione che viene interpretata nel contesto della rete di dati in cui è inserita. La progettualità filosofica è, inoltre, la condizione della tecnica, dello sfruttamento utilitario degli strumenti.
La conoscenza filosofica struttura una gerarchia di significati (in una società non gerarchica) con cui comprendere il mondo ed elabora principi generali di comprensione cui ricondurre i casi particolari. Rende possibile il conseguimento di una saggezza etologica, ovvero lo sviluppo di comportamenti ispirati dalla ragione. Uno dei compiti della ragione è senza dubbio quello di tentare di favorire gli incontri convenienti, capaci di incrementare la mia virtus, il mio grado di potenza. È buono ciò che si compone con il mio rapporto caratteristico, è cattivo ciò che decompone il mio rapporto caratteristico avvelenandomi, contagiandomi (Baruch Spinoza).
La filosofia non riconosce un sistema concettuale chiuso, dal momento che ha la caratteristica di essere una disciplina come tante, aperta al confronto e ad integrazioni, e di pretendere, al contempo, di porsi come la scientia scientiarum, che nelle sue determinazioni le avvolge tutte. Non si può fare filosofia se non si è in possesso di una preparazione che attraversi trasversalmente tutte le altre discipline; altrimenti si sarebbe al cospetto di uno sciamano, di un ciarlatano negromante o di un venditore di corpi astrali. La filosofia è un metodo, una via da seguire. In questo senso non si può insegnare la filosofia, quanto piuttosto l’attitudine a filosofare (Kant).
La filosofia è una strategia di difesa contro la santificazione di verità assolute e preconcette. Una verità assoluta non può essere scoperta, dal momento che non può costituire un punto di vista ed esclude la particolarità della condizioni da cui prende le mosse la ricerca (Santayana). Ricondurre causalmente ogni evento a Dio non è fare filosofia (Pierre Bayle). La filosofia è perplessa per statuto costitutivo. Vive di dubbi. Fa della diffidenza e della critica le sue ragioni di vita.
La filosofia distingue idee (espressione di verità di ragione) dalle credenze. Ha il compito di mettere in discussione e, qualora fosse necessario, di demolire le credenze per sostituirle con i concetti intellettuali. La ricerca filosofica deriva dell’inquietudine, dalla consapevolezza angosciante che le acquisizioni del senso comune (indispensabili per la gestione della vita quotidiana) non spieghino quasi nulla.
La filosofia è pubblica e sociale. La ragione è pubblica, nel senso che un potere che privi l’individuo di comunicare pubblicamente i propri pensieri lo spoglia della libertà di pensare. Io posso comprendere se i miei pensieri siano o meno corretti, solo in quanto li comunico ad altri. La ragione è fallibile e il suo funzionamento presuppone un uso pubblico. Negare la necessità di comunicare liberamente i pensieri equivale ad estirpare la possibilità stessa di pensiero (Kant). Non può esistere un linguaggio privato. Il mondo è un impalcatura di simboli condivisi (Wittgenstein). Nessuno può essere escluso dal dialogo. Bisogna abbattere quello che Popper ha chiamato il mito della cornice, secondo il quale non è possibile una discussione feconda nel caso in cui gli interlocutori non condividano una cornice di assunzioni comuni, il riferimento al medesimo vocabolario concettuale. Il sapere progredisce mediante il disaccordo fra cornici differenti. Non è vero che contra impugnantes principia non est disputandum, dal momento che se così fosse affermeremmo una dimostrazione legittimante che premette il dogmatismo fanatico, regressi all’infinito e la dottrina relativistica delle cornici inconfrontabili. Il dibattito seleziona le idee. L’interlocutore che non sia in grado di argomentare le proprie ragioni ha disperatamente bisogno di un padrone che gli dia ordini. È un punto indistinto della massa asservita ai voleri di un clan di potere. La filosofia ha il compito di costruire ponti dialettici fra i sostenitori di tesi che si annullano a vicenda. Il primo prerequisito della comunicazione è quello di comprendere colui da cui vorremmo essere compresi. Per conoscere me stesso devo essere riconosciuto. L’io coincide con il suo riconoscimento sociale. L’individuo ha una tendenza innata a farsi conoscere ed approvare (William James).
L’introspezione filosofica può essere assunta anche come un piano di intervento per lenire il malessere dei giovani. I giovani stanno male, dal momento che, per dirla con Nietzsche, un ospite inquietante, il nichilismo è penetrato nei loro sentimenti, annullando orizzonti di senso e prospettive progettuali, inaridendo il cuore e i suoi legami e rendendolo recettivo verso l’acquisizione dei modelli mediatici e l’assunzione di effimere scorciatoie per denunciare il vischioso male (Tondelli) che li logora, quali il bullismo, la seduzione delle droghe, il gesto omicida o suicida, le follie del cavalcavia, la venerazione del dio Denaro, delle apparenze virtuali. I pensieri sono confusi, i sogni collettivi di trasformazione del mondo sono estinti, si affermano le passioni tristi (Spinoza) che condannano l’individuo all’impotenza, alla paralisi. Soltanto il mercato sembra interessarsi ai giovani dalle passioni tristi, per affermare la logica del divertimento obbligato e del consumo. È la vita stessa, in realtà, a consumarsi. Il nichilismo deve essere inteso come una sfida per la filosofia. La psicanalisi fallisce al cospetto di un disagio che ha una radice culturale più che psicologica. Non ha senso imbottirsi di pasticche per stare meglio. Bisogna riconquistare una comprensione greca della felicità come eudaimonia, valorizzazione del daimon, delle proprie inclinazioni, scoperta del proprio talento, logica di un’autostima misurata. Soltanto un ragazzo che sia innamorato di sé è autenticamente felice e può, indifferente alle contaminazioni della noia, conquistare il mondo. L’arte o il mestiere di vivere consiste nello scoprire le proprie capacità e nel farle evolvere secondo misura. È in tal senso che l’individuo è entusiasta ed autore della propria sceneggiatura esistenziale, non affidata alla casualità delle circostanze. Per vivere non è necessario filosofare. Per meglio dire, per sopravvivere non è necessario filosofare. Prima sopravvivere, poi filosofare, potremmo dire. Vivere bene, però, presuppone esercizi filosofici.
Non esiste una filosofia, ma le filosofie. Non esiste un senso del mondo, ma i sensi del mondo, tanti quanti sono gli sguardi delle soggettività, le prospettive scenografiche di comprensione del mondo. Se il mondo avesse un solo significato intrinseco, non sarebbe stato oggetto dal VII secolo a. C. di una varietà di significati eterogenei.
La filosofia non promette nulla, né la salvezza eterna né la resurrezione di anime o corpi, né la trasmigrazione dell’anima da un corpo all’altro. La filosofia può garantire soltanto l’esplorazione e la sperimentazione dei significati. È la prassi delle libertà dell’individualità sciolta dai messaggi trasmessi dalla TV, dal cinema, dalle virtualità telematiche che, altrimenti, sarebbero assorbiti passivamente in ogni attimo dall’interiorità. Pensando filosoficamente, agisco e non subisco i processi di omologazione veicolati da ambigui strumenti di asservimento delle coscienze.

Non siamo nella condizione, purtroppo, di pubblicare i contenuti sviluppati da Ciro Greco nel corso del suo interessantissimo intervento.

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