La vita è esperienza, cioè improvvisazione, utilizzazione delle occasioni; la vita è tentativo in tutti i sensi. Donde il fatto, a un tempo imponente e assai spesso misconosciuto, delle mostruosità che la vita ammette
Georges Canguilhem



martedì 30 dicembre 2008

Schegge di bestialità cruda e selvatica


E’ notizia di questi giorni la triste vicenda di un ragazzo venticinquenne ridotto in fin di vita da un branco di fiere irrazionali, per aver pestato accidentalmente la zampa di una di quelle bestie in una discoteca. E’ accaduto a Gela, provincia della provincia della privincia. Frontiera dell’impero. Eppure si tratta di un copione valido anche per una realtà metropolitana. Il gregge degli aggressori è un insieme composito di studipità, incapacità di impegno, di pensiero, di riflessione. Quel composto di orrore periferico è dato dalla somma scontata di individualità che, considerate di per sé, non fanno storia, essendo vane e vacue come il fumo di una sigaretta consumata in una notte di nebbia. Si tratta di gente che non sa pensare, non lo hai mai fatto, che non è animata neanche da un barlume di sensibilità. L’aspetto inquietante è relativo al fatto che gente del genere sia praticamente ovunque. Si confonde nei mercati, nei ristoranti, nel traffico cittadino. L’individuazione dell’orrore non è sempre così scontata. Si tratta di individui che sono incapaci di agire da soli, del tutto privi di intraprendenza. Adorano essere guidati. Hanno la vocazione dell’esecutore, del carnefice. Da soli non sanno neanche pisciare. Detestano il talento individuale, dal momento che è la mortificazione della loro sciocca superbia da falliti travestiti di presunta forza muscolare, lo svelamento pubblico della loro inconsistenza, inutilità. La loro estinzione riconoscerebbe un investimento estetico per l’economia del mondo. Detestano ciò che tradisce i loro canoni di virulenza e di piattissima semplicità. Ciò che è complesso, sorprendente, vario, “diverso”, o a vario titolo significativo, segna un’irresistibile provocazione per il loro culto della nullità. Rientrano in questa tipologia ampia e tutt’altro che schematica di bestialità suburbana e non domesticabile (si sa che le bestie domestiche sono utilissime) gli aggressori nazifascisti, i violentatori, gli attori delle discriminazioni, gli ultras picchiatori. La filosofia politica moderna ha insistito in più occasioni sul concetto di stato di natura, presentandolo con diverse sfumature e significazioni. Lo stato di natura è lo stato dei banditi, in cui ogni aspetto è legittimato unicamente dalla negazione della legge, dalla forza fisica. Si tratta di una condizione di infelicità diffusa, dalla quale si può uscire unicamente con un patto artificiale di rinuncia al diritto su tutto, proprio di ogni individuo bestiale (jus in omnia). Spinoza ed Hobbes non erano così ingenui da credere nell’esistenza storica di uno stato del genere. Lo stato di natura è piuttosto un raffinato strumento teorico di esplicazione dei meccanismi di fondazione della politica e delle sue pretese di civilizzazione. Se nel Seicento, dunque, si insisteva tanto sul carattere prepolitico dello stato di natura, oggi, sarebbe sufficiente seguire con attenzione i titoli del TG1 o leggere la prima di un quotidiano serio per riconoscere la caratterizzazione infrapolitica dello stato di natura, attivo in spiragli più o meno clandestini della modernità occidentale. In una discoteca, nelle cospirazioni di un covo dell' ultradesta, in una sezione di esaltati fanatici rancorosi sine ratione, nelle pasticche del sabato sera, nelle violenze da cronaca nera si affermano i principi di una sfida per la razionalità del nostro sistema di vita, per le funzioni della logica. Si tratta di disfunzioni sistemiche che richiedono un intervento diretto e razionale, disgiunto per principio dalla valorizzazione del risentimento e dai marchingegni della vendetta. Dobbiamo prendere coscienza della realtà, farci i conti, tentando disperatamente di migliorarla.

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