La vita è esperienza, cioè improvvisazione, utilizzazione delle occasioni; la vita è tentativo in tutti i sensi. Donde il fatto, a un tempo imponente e assai spesso misconosciuto, delle mostruosità che la vita ammette
Georges Canguilhem



mercoledì 22 aprile 2009

Il volo dell' Albatros


Ricordo l’ultimo anno di scuola, quello della maturità. Proprio questi erano i mesi in cui ci si tuffava in uno studio ‘matto e disperatissimo’ volto ad assimilare il più possibile concetti, nozioni e teorie da sciorinare il giorno della prova. Sarò impopolare, lo so, ma io ricordo con un tale affetto e con una tale nostalgia quei giorni di spensieratezza giovanile che il solo rievocarli mi ubriaca di emozioni. Come dite, vi sembra assurdo che si possano considerare tanto cari quegli ultimi mesi di scuola? Ebbene, vi parrà strano e mi considererete completamente folle, ma è proprio così! Quanto vorrei che gli adolescenti apprezzassero gli anni trascorsi tra i banchi scuola! Una volta lasciato cadere lo zaino dalle spalle il mondo assumerà tutto un altro aspetto. Sento sghignazzare qualcuno attraverso le pagine virtuali che hanno preso il sopravvento sulla carta stampata. E già. Tutto cambia e noi, quelli di allora, più non siamo gli stessi, declamava il mio buon caro Neruda.
Non voglio rubarvi altro tempo e quindi tento di arrivare al dunque. C’è una poesia che mi viene a trovare ogni anno durante i mesi di aprile, maggio; una poesia che aleggia su tutte le altre opere classiche della letteratura italiana, su Leopardi, Ungaretti e il mio amato Montale. Essa bivacca indisturbata nel mio cassetto dei ricordi e salta fuori a bella posta col suo accento francese quasi fosse questo l’unico modo possibile per onorare la mia mirabile insegnante di francese, quella che è rimasta nella mente e nel cuore.
L' Albatros, è la poesia. L’autore lo conoscerete di sicuro: un tale a nome Charles Baudelaire, padre dei tanto apprezzati quanto inaccettabili - perché scandalosi e provocatori - fleures du mal. Proprio quei fiori maledetti che sputavano in faccia al perbenismo della lirica tradizionale dell’epoca tutto il loro carattere antitetico all’idea della purezza e della bellezza a cui il fiore era stato da sempre costantemente associato.
Ecco a voi il poeta che, contrariamente alla consuetudine seguita dai poeti precedenti che anteponevano prefazioni in prosa alle raccolte poetiche, scrisse in versi la propria apostrofe al lettore, e lo fece non con l’intento di captare la benevolenza del pubblico ma di provocarlo con un elenco di vizi, peccati e rimorsi. Naturalmente le ipocrisie e le viltà di cui viene accusato il lettore sono condivise anche dal poeta, che proprio per questo può chiamarsi suo simile, fratello!
Non c’è più nulla da aggiungere. Il volo dell’Albatros farà il resto.


L’albatros
[Les fleures du mal, II]

Souvent, pour s’amuser, les homme d’équipage
Prennent des albatros, vastes oiseaux des mers,
Qui suivent, indolents compagnons de voyage,
Le navire glissant sur les gouffres amers.

À peine les ont-ils déposés sur les planches,
Que ces rois de l’azur, maladroits et honteux,
Laissent piteusement leurs grandes ailes blanches
Comme des avirons traîner à côté d’eux.

Ce voyageur ailé, comme il est gauche et veule !
Lui, naguère si beau, qu’il est comique et laid !
L’un agace son bec avec un brûle-gueule,
L’autre mime, en boitant, l’infirme qui volait !

Le Poëte est semblable au prince des nuées
Qui hante la tempête et se rit de l’archer ;
Exilé sur le sol au milieu des huées,
Ses ailes de géant l’empêchent de marcher.


Spesso, per passatempo, acchiappano i gabbieri
un di quei grandi albatri, uccelli d’altomare,
che, come pigre scorte, i nomadi velieri
sogliono sugli amari vortici accompagnare.

Sono appena deposti sul ponte che s’accasciano,
questi re dell’azzurro, con vergogna impotente,
e le grandi ali candide lungo i fianchi si lasciano
pendere come remi malinconicamente.

Il viator volante, com’è sgraziato e stroppio!
Lui, già sì bello, come laido e comico sembra!
V’è chi il becco gli stuzzica con la pipa, chi zoppica,
scimmiottando l’impaccio delle povere membra.

Poeta, anche tu abiti nel cuore della folgore,
sfidi i dardi, e sopra le nuvole t’accampi:
esule sulla terra, fra i dileggi del volgo,
nell’ali di gigante ad ogni passo inciampi!


* * *

E così, signori, se dovesse capitare di scontrarvi con un albatros marino non divertitevi a beffeggiarlo, a stuzzicarlo con la pipa della ragionevolezza, ad imitarlo zoppicando col passo incerto di un verso appena nato. Compatitelo, apprezzatelo: quando spiccherà il volo sulle grandi acque della vita lo seguirete, con lo sguardo, verso l’orizzonte che separa il cielo dalla terra.

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