La vita è esperienza, cioè improvvisazione, utilizzazione delle occasioni; la vita è tentativo in tutti i sensi. Donde il fatto, a un tempo imponente e assai spesso misconosciuto, delle mostruosità che la vita ammette
Georges Canguilhem



venerdì 18 dicembre 2009

Contro l'ipocrisia telematica
Facebook è senza dubbio uno dei fenomeni sociali del momento. Tutto lascia intendere che non rappresenti una moda passeggera, un passatempo che alla lunga possa stancare. Per questa ragione, può essere inteso come un fenomeno sociologico ed antropologico. Qualcosa da non sottovalutare o minimizzare, dicendo magari: "Son cose da ragazzi!". Decine di conoscenti ed amici non si stancano di ripetermi: "Quando ti decidi a registrarti? E' da un po' che cerco di chiederti l'amicizia...". Chiedermi l'amicizia? Il più nobile sentimento morale dell'uomo viene ridotto a questioni di click e, così, inesorabilmente deformato. E' un dato di fatto che in seguito alle cocenti disillusioni degli anni '60 e '70 la possibilità di coltivare sogni collettivi si sia progressivamente estinta, lasciando il passo ad uno sfrenato individualismo, svuotato di ogni contenuto etico ed altruistico e connotato, piuttosto, dall'esaltazione delle apparenze e di fantastici gusci che includono - nel migliore dei casi - marciume nauseante. Le utopie sono state sostituite da un faccione ritoccato o dalla ricercata esposizione di tette, petti, ect. Tempo fa mi è capitato di sentire sulla metropolitana una ragazzina che si vantava di avere 437 amici. Non so cosa mi ha trattenuto dal dirle: "Senti belloccia, mi dici quale dei 437 amici verrà a soccorrerti durante la prossima crisi isterica?". Se avesse pubblicato una foto "normale", quanti sconosciuti le avrebbero richiesto l'amicizia? Proprio così. Non reggono affatto le giustificazioni ripetute all'infinito dagli internauti più pudichi che mostrano (almeno si spera...) la faccia: "Ho un'amica in Nuova Zelanda e quindi mi conviene", oppure "C'è mio cugino alle Antille e così lo posso sempre sentire", anche se la più fantasmagorica è: "Lo faccio per non perdere di vista gli amichetti delle elementari...". Con le frenesie della vita quotidiana, incerta e precaria, vorrei che qualcuno mi spiegasse per quale ragione dovrei includere nel mio spettro visivo sconosciuti che non vedo dal 1996 e che ovviamente non sanno neppure chi fossi o che, nel caso in cui si ricordassero vagamente di me, non avrebbero alcun interesse a sapere se riesco o meno a sopravvivere. Che vinca il Nobel o che venga travolto domattina dal primo Tir fa lo stesso. Facebook non è ovviamente un gioco da ragazzi: con sconcerto ho scoperto che anche docenti universitari insospettabili consumano i loro pomeriggi nel circolo delle possibilità infinite. Ad ogni modo, è arrivato il momento di tentare di comprendere le ragioni di tanta fortuna. Sono varie. Anzitutto, Facebook è una finzione condivisa che induce l'utente ad autoingannarsi: si convince di non essere solo al mondo e di avere ad un passo dalla tastiera un esercito di anime pie pronte a mobilitarsi, se fosse necessario. In secondo luogo, si tratta di un autentico bordello: il carattere più o meno esplicito della fotografia è un fedele indicatore del grado di disponibilità sessuale della tipa o del tipo che si intende sedurre e poi, il giorno dopo, "bloccare" e quindi dimenticare. La terza ragione si lega, invece, alla possibilità di allestire una vetrina personale di autopromozione con la quale vendersi al miglior acquirente; l'oggetto della promozione è quasi sempre più scadente rispetto alle sue apparenze. La regola non scritta di Facebook è nella massima: fai in modo di apparire più bello, più bravo, più seducente di quanto tu non sia o possa lontanamente sperare di essere. Si tratta di un principio che sta corrompendo un'intera generazione di teenagers, rincitrullendo schiere di quarantenni senza speranze e di cinquantenni focosi. Facebook è l'elogio della dissimulazione come unica pratica di vita possibile nella giungla postmoderna. Questo è davvero il tempo dei saldi di fine stagione. Sulla base dell'argomentazione sostenuta è lecito sostenere che Facebook sia il più comodo rifugio degli sfigati, siano essi di destra o sinistra, eterosessuali o omosessuali, intelligenti o idioti da bar sport.

5 commenti:

  1. Concordo assolutissimamente con tutto ciò che hai scritto. Il tuo cattivo pensiero non fa una grinza. I frequentatori di facebook altro non sono che dei poveri illusi che credono di poter sostenere la realtà quotidiana attraverso uno schermo inanimato in cui si riflette la silhouette sbiadita di un cervello vuoto.

    RispondiElimina
  2. salve, sono un frequentatore di fb..:-)... ma non voglio difendere la categoria... c'è tanta carne al fuoco (a noi frequentatori di fb piace usare frasi stereotipate), quindi non so da dove cominciare...ah dicevo nn sono qui per difendere ma perché trovo che l'articolo sarebbe potuto essere molto più cattivo se solo ponderato meglio....andiamo con ordine..quello dell'amicizia è solo un problema nominalistico..anche io nella vita ho si e no una decina di Amici...fb non risponde certo alla logica di tenersi in contatto con essi...mi spiego: è superfluo attaccare chi afferma ciò...è troppo semplice...per l'uso...be' l'affermazione dell'ego è in ognuno di noi, anche di scrive un blog sotto falso nome (anche se non è questo il caso)...fb rende possibile il soddisfacimento di questa pulsione sotto varie forme: chi mette in mostra la mercanzia(io però non ho amiche così, peccato..va be') chi scrive note sulle sue passioni, chi si dà toni da intellettuale scrivendo frasi profonde...con ciò non vedo come si possa categorizzare una persona in base alla sua iscrizione oppure no...è un o strumento che non crea niente...noi siamo così ben prima di iscriverci...infine per quanto riguarda la dissimulazione, volontaria o no..chi non dissimula?non vorrei sembrare banale..ma @az#o...è perché abbiamo paura..tutti ne hanno, è questa è solo una parte del problema...poi cosa dovremmo dissimimulare?quello che realmente siamo?perché siamo davvero qualcosa realmente??? siamo solo delle tregende che usano (parolona) la ragione per ingannarsi e non far come dice sileno....

    In ogni caso, complimenti per il bolg..:=)

    RispondiElimina
  3. Ciao Ivan,

    ti ringrazio per aver espresso il tuo pensiero e mi permetto di farti i complimenti perché mi piace molto il tuo stile espressivo, il tuo modo di scrivere. Ho dato un'occhiata fugace al tuo blog, che trovo davvero interessante. Ad ogni modo, devo ammettere che il tuo pensiero sembra confutare inesorabilmente gli eccessi iperbolici della mia critica radicale alle modalità di utilizzo di Facebook. Mi sembra di capire, infatti, che tu non sia assimilabile ai "tipi sociali" ai quali ho fatto riferimento. Forse non ho capito nulla, oppure ho davvero capito tutto (se tu un giorno dovessi stancarti di Facebook e riconoscere che ti sei registrato soltanto per curiosità...). Non intendo categorizzare le persone, poiché sarebbe un vuoto esercizio di sociologia spicciola che non servirebbe a nulla. Ho soltanto tentato di sviluppare un "cattivo pensiero" sulla base di quello che sono riuscito a comprendere e delle testimonianze che ho raccolto. Per quel che concerne la dissimulazione, dobbiamo riconoscere che è ormai diventata una pratica di vita, per via dell'invincibile processo di omologazione socio-culturale che è promosso dal regime mediatico al quale siamo (nostro malgrado) subordinati. La massificazione dei costumi, dei pensieri, delle idee (è attiva la logica del Pensiero Unico), degli stili di vita si risolve nella prefigurazione del "tipo generico" o dell'individuo "ripetuto" (come ha insegnato in tempi non sospetti Ortega y Gasset)che recita, senza batter ciglio, un copione esistenziale prestabilito che gli è stato affidato da regie più o meno occulte. Per quel concerne la "paura" hai colto bene qual'è lo strumento con il quale è imposta la spersonalizzazione dei talenti o, più in generale, delle anime. Ti ringrazio davvero per il tuo interessantissimo contributo. NB: secondo me ancora non sei cascato nella trappola delle omologazioni sociali.

    RispondiElimina
  4. Ringrazio per i complimenti...devo dire che una volta cancellai il mio profilo da fb,...dopo un anno però tornai sui miei passi...quindi credo di essere un caso disperato...per quando riguarda l'omolagazione, credo di essere omologato tanto quanto le persone che vedo in giro..e questo lo dico a cuor leggero..mi spiego:ho sempre pensato che esistano diversi tipi di omologazione, una sorta di omologazione a stadi (o trasversale)magari non sono omologato nel senso comune del termine..di certo però rispondo perfettamente ad altri criteri di omologazione...esistono diverse convenzioni (keynesiane) per diversi strati della società..tutto qui...(ovviamente non sono stadi definiti, solo magari siamo omologati in un certo senso riguardo una questione e in un altro riguardo un'altra) .

    P.S. credo che dopo la disorganicità di questo pezzo dovrai ricrederti sul mio "stile"....

    RispondiElimina
  5. Il tuo testo ha una struttura organica. Sono in disaccordo con te. Credo infatti che l'omologazione non sia un fenomeno sociale così complesso come lasci intendere. Il movente della massificazione è piuttosto la rimozione della complessità, delle differenze, delle stratificazioni. Le sfumature sono sfumate in uno sfondo monocromatico. Le dissonanze sono convertite in soluzioni monocordi. In definitiva, il meccanismo che governa le omologazioni è molto semplice: consiste nella rinuncia alla facoltà critica della ragione, per assorbire (passivamente) stili di vita, abitudini, pensieri semplici, commerciali, e popolari (nel senso che sono riscontrabili anche nel primo viandante che si incontra fortuitamente per strada). Come dimostrano i commenti che hai scritto e i testi del tuo blog, tu non hai affatto rinunciato a valorizzare l'attitudine a svolgere pensieri critici. Dal momento che sei ancora giovane, credo che questa sia una notizia straordinaria. Non trovi?

    RispondiElimina