La vita è esperienza, cioè improvvisazione, utilizzazione delle occasioni; la vita è tentativo in tutti i sensi. Donde il fatto, a un tempo imponente e assai spesso misconosciuto, delle mostruosità che la vita ammette
Georges Canguilhem



venerdì 11 dicembre 2009

La carriòla

La fragilità del verbo


Oggi La carriòla avverte la necessità di portare a vostra conoscenza un articolo-inchiesta pubblicato qualche giorno fa su di un quotidiano nazionale. Evitate eccessi d’ira e faccette da annoiati impenitenti… Lo so, siamo alle solite. Ditemi pure che io ho una vera mania, una traboccante ossessione da folle maniaco. Ditemi che ho superato la misura e che non ne potete più di sentir parlare (ops, leggere) di argomenti di tal fatta. Potrei anche darvi ragione, ma il quadro della situazione è davvero imbarazzante e, oserei dire, catastrofico. Insomma, non avete ancora capito? Be’, non avete tutti i torti: non è mica facile districare un discorso del genere. Comunque, bando alle ciance e affrontiamo l’argomento senza perdere un minuto di più. L’articolo riguarda l’uso s-corretto della grammatica italiana, o per meglio dire, l’uso sconosciuto della grammatica italiana. Non ritengo sbagliato considerare uno degli obiettivi de La carriòla il promuovere, assecondare e incentivare l’idea di dedicarsi, ogni tanto, alla lettura di un buon libro.
Ma ecco a voi l’articolo in questione.

Io cossi tu cuocesti egli cosse: cos'è 'sta roba? Piccolo esame di verbi: "Se io sarebbe più abile, tu mi affiderai una squadra". Ma anche: "Se tu saresti più alto, potessi giocare a pallacanestro". Nel cimitero dove giacciono, insepolte, sintassi e ortografia, accenti e apostrofi si confondono in un'unica insalata nizzarda di parole: "Non so qual'è la prima qualità di un'uomo". E tutto questo accade, si legge, si scrive all'Università. Test d'ingresso per le facoltà a numero chiuso, anno di disgrazia 2009: alcuni degli aspiranti dottori del terzo millennio hanno risposto così. "I giovani che arrivano dalle scuole superiori sono semi-analfabeti", ha dichiarato il magnifico rettore dell'ateneo bolognese,Ivano Dionigi. E chi ha già superato il traguardo della laurea non sta poi tanto meglio: secondo una ricerca del Centro Europeo dell'Educazione (CADE, o forse sarebbe meglio dire casca: l'asino), l'otto per cento dei nostri laureati non è in grado di utilizzare pienamente la scrittura. Anzi, peggio: 21 laureati su 100 non vanno oltre il livello minimo di decifrazione di un testo. Cioè, se proprio va bene riescono a far partire la lavastoviglie leggendo le istruzioni, oppure intuiscono le controindicazioni dell'aspirina. Ma di più no. Ancora: un laureato su cinque non riesce a dirimere un'ambiguità lessicale. E un laureato su tre ha meno di cento libri in casa, quasi sempre quelli che ha (più o meno) sfogliato per arrivare al pezzo di carta. Ma su quella carta, troppo spesso è come se fossero impressi geroglifici. E non parliamo poi di quando è necessario scrivere un testo.
Per questo, molti atenei hanno deciso di organizzare corsi di recupero di italiano per le matricole: grammatica e sintassi, cioè argomenti da prima media. "I ragazzi non conoscono il significato di espressioni lessicali banalissime", spiega Pier Maria Furlan, preside di Medicina 2 a Torino, dove appunto si torna sui banchi quasi per fare le aste, e per ripassare (o per studiare?) il congiuntivo. "Credetemi, è una situazione da mettersi le mani nei capelli. Per fortuna, gli studenti sono abbastanza consapevoli dei propri limiti: gli iscritti ai corsi di recupero sono oltre 35 su cento". Come nasce lo "studente analfabeta"? Quando comincia a diventarlo? "I guasti iniziano nella scuola dell'obbligo", risponde Tullio De Mauro, il padre degli studi linguistici italiani. "Il buonismo degli insegnanti ha fatto grossi danni, ormai si tende a promuovere un po' tutti e non si sbarra il passo a chi non è all'altezza. Ma il disprezzo per la lingua italiana risiede anche in certi romanzi di nuovi autori, pieni di parolacce e di inutili scorciatoie, e nel linguaggio sempre più sciatto dei giornali dov'è quasi scomparsa la ricchezza della punteggiatura". Insomma, oggi s'impara poco anche leggendo. E si studia male. "Credo che il predominio dell'inglese stia nuocendo all'uso dell'italiano", sostiene il noto linguista Gian Luigi Beccaria. "Ormai è necessario alfabetizzare adulti e ragazzi, e la colpa è di un intero percorso scolastico che non sempre funziona. Le lacune nascono da lontano. Inoltre, l'uso esclusivo di telefoni cellulari e computer come strumenti di comunicazione non aiuta la nostra lingua: l'italiano sta regredendo quasi a dialetto". Lasciando perdere gran parte della narrativa italiana contemporanea, dov'è possibile far tesoro della lingua giusta? "Leggendo o rileggendo autori esemplari per pulizia dello stile e chiarezza: penso a Primo Levi, a Calvino, ma anche a Pirandello e Pavese, oppure al Fenoglio di Primavera di bellezza, mentre Il partigiano Johnny è più complesso". Secondo recenti e sconfortanti statistiche, il venti per cento dei laureati italiani rischia l'analfabetismo funzionale, cioè la perdita degli strumenti minimi per interpretare e scrivere un testo anche semplice. E la percentuale sale tra i diplomati: trenta su cento possono diventare semi-analfabeti di ritorno. Una delle cause può essere l'abbandono della grammatica e della fatica della sintassi: già alle medie non si studiano quasi più, figurarsi al liceo. Nella scuola superiore, ormai pochissimi insegnanti si sobbarcano la correzione di trenta temi pieni di bestialità, una fatica tremenda e scoraggiante. E guai se non si promuove chiunque: scatterà la reazione anche violenta delle famiglie (sempre più spesso si rivolgono all'avvocato per rintracciare vizi di forma nei registri, anche dopo la più sacrosanta delle bocciature dei loro pargoli). "Siamo molto preoccupati", dice Franca Pecchioli, preside di Lettere a Firenze. "Se gli studenti non sanno dov'è il Mar Nero, beh, è grave ma glielo possiamo insegnare. Ma se non sono in grado di seguire la spiegazione di un docente perché ignorano il significato di certe parole, allora è peggio". Ha un suono sinistro anche la testimonianza di Elio Franzini, preside di Lettere alla Statale di Milano: "L'anno scorso, insegnando ai primi anni di filosofia chiesi chi avesse letto Proust, e alzarono la mano in tre. E quasi nessuno sapeva chi avesse scritto Delitto e castigo". Invece è palese il delitto nei confronti della lingua italiana, o di quella che dovrebbe essere la formazione universitaria: tra i paesi industrializzati, solo Messico e Portogallo stanno peggio di noi. Vale forse la pena ricordare che in Italia soltanto 98 persone su mille acquistano ogni giorno un quotidiano, mentre in Giappone sono 644. Un problema di formazione, o di scarsa informazione? "Siamo di fronte a un'autentica violenza nei confronti della parola", risponde Giovanni Tesio, critico letterario e docente all'Università del Piemonte Orientale. "Ma non dipende solo dalla scuola: la colpa è anche delle famiglie e dei modelli culturali. La prevalenza dell'immagine porta a una disattenzione verso i testi, e comunque è vero che mancano le basi. Me ne accorgo correggendo tesi di laurea non solo scritte male, quello sarebbe il meno, ma anche piene di strafalcioni. Perché per decenni si è demonizzata la grammatica, come se tutto dovesse essere facile e divertente. Ebbene, a scuola non tutto può né deve esserlo. Un'altra fesseria è credere che la grammatica s'impari leggendo, quello è un universo che non accetta usi strumentali". Ma l'analfabetismo dei laureati può essere arginato? "Siccome la letteratura è il luogo in cui il senso della complessità diventa più forte, io la insegnerei anche nelle facoltà scientifiche". Forse in Italia manca un vero sistema di educazione per adulti, non siamo più capaci di aggiornarci, allenando cervello e conoscenza come se fossero muscoli. La faciloneria portata da Internet, strumento meraviglioso e banale, ricco di potenzialità ma anche di comode tentazioni, ha ormai diffuso una specie di cultura del "copia e incolla", attraverso l'utilizzo di una lingua spesso piatta e tutta uguale, riprodotta all'infinito. Molti esami scritti, all'Università, vengono condotti come i test per la patente, mettendo crocette su un questionario; e le relazioni degli studenti procedono con "Powerpoint", un altro strumento che riduce la dialettica a riassunto di qualche schema, sillabando quattro parole. "Abbiamo vastissima conoscenza orizzontale e istantanea, però non siamo più in grado di approfondire, di scendere nel cuore delle cose", conclude Tesio. Il sessanta per cento degli italiani non ha mai letto un libro (anche se molti di loro, purtroppo, hanno provato a scriverlo). E non è affatto vero che "val più la pratica della grammatica". Altrimenti non sarebbe possibile che 45 laureati su cento ignorino qual è (scritto senza l'apostrofo) il passato remoto del verbo cuocere.
[La grammatica è un'opinione, tratto da Repubblica dell'8 dicembre 2009]

Che ne dite? Sconvolgente, no? Ovviamente l’avervi proposto la lettura di quest’articolo non vuol dire affatto che voi lettori apparteniate alla categoria dei cattivi conoscitori della lingua italiana. Me ne guarderei bene dall’affermare una tale sgarberia! È solo che in quest’articolo ho potuto trovare confermata la mia impressione riguardo a tutte quelle persone laureate di mia conoscenza che disdegnano un po’ quella dovuta attenzione nei confronti di una lingua tanto complicata e interessante come quella italiana; probabilmente l’unica cosa che resta da osannare in questa povera penisola senza nessuna identità. Spessissimo m’è capitato di osservare come riuscissero a cadere in basso - grammaticalmente - laureati, liberi professionisti e tanti altri pessimi esponenti del loro bel diploma sistemato nella fatiscente cornice dell’ignoranza e della faciloneria. Quest’articolo m’ha mostrato quanto c’era di vero nelle mie impressioni e nei miei punti interrogativi disegnati a bella posta sulla mia testa.
A questo punto tiriamo le fila (e non i fili!) del discorso. Dato che tra qualche settimana è Natale e sicuramente, sin da ora, si comincia ad avvertire la crisi nervosa del regalo opportuno da comprare, perché non ci lasciamo guidare dal pifferaio magico che ci conduce verso la porta fantastica che si apre sulle pareti colme di una ben fornita libreria? La sottoscritta, purtroppo, non abitando in una grande città, non gode di una vastissima scelta a cui affidarsi e perciò quando le capita di allontanarsi per un po’ dalle mura domestiche e di aggirarsi nei dintorni di importanti librerie, non esita a lasciarsi andare all’acquisto matto e disperatissimo di una carriola di libri che emanano l’odore della scoperta e della conoscenza.
E come dice quel motto: "Chi legge, guarda lontano". Buon viaggio!

Nessun commento:

Posta un commento