La vita è esperienza, cioè improvvisazione, utilizzazione delle occasioni; la vita è tentativo in tutti i sensi. Donde il fatto, a un tempo imponente e assai spesso misconosciuto, delle mostruosità che la vita ammette
Georges Canguilhem



giovedì 15 ottobre 2009

La carriòla

Lucy in the sky with diamonds...


Il commento lasciato da Peppino al video-denuncia pubblicato da Francesco mi catapulta di nuovo nell’eterno dibattito che s’addensa intorno al concetto di libertà. Dato che libertà di stampa e di opinione hanno visto restringersi sempre più forte il cappio intorno al collo, il nostro lettore a ragione scrive: “ Se continui così te lo chiudono il blog... una mattina lo troverai oscurato...".
La verità e la terribilità di questa considerazione hanno cominciato a frullare nella mia testa dal primo momento in cui l’ho letta. Ammettere che possa esserci il rischio di veder chiuso un blog per il semplice fatto di aver portato a conoscenza dell’opinione pubblica delle verità tanto serie e spaventose, è quanto di più dittatoriale possa esserci in una realtà, quella d’oggi, che ha rifiutato sistemi autoritari e chiaramente antidemocratici. Il dover temere di essere azzittiti nel momento in cui si tenta di esprimere le proprie opinioni è più che limitante e irritante: è, senza dubbio, degno di una mentalità retrograda e senza speranza.
L’idea prima che mi balena nella testa a proposito di libertà è sicuramente quella della libertà fisica. La reclusione impedisce la capacità di movimento, non la capacità e la libertà di pensiero. Mi piace ricordare cosa scrive Dostoevskij nelle sue Memorie di una casa morta: “Fin dal primo giorno della mia vita di reclusorio avevo cominciato a sognare la libertà. Il calcolo di quando sarebbero finiti i miei anni di galera, sotto mille aspetti e con mille riferimenti diversi, era divenuto la mia occupazione preferita. Io non potevo nemmeno pensare ad altro e sono convinto che così si comporti ogni persona privata per un certo tempo della libertà. Non so se i forzati pensassero come me, se facessero gli stessi conti, ma la stupefacente leggerezza delle loro speranze mi aveva colpito fin dal primo istante. La speranza del recluso, privato della libertà, è di un genere affatto diverso da quella dell’uomo che vive davvero. L’uomo libero naturalmente spera (per esempio, in un mutamento della sorte, nella riuscita di una qualche sua impresa), ma egli vive, opera: una vera vita lo trascina pienamente col suo vortice. Non così è per il recluso”. Ecco cos’è la libertà per il recluso; un desiderio ardente di vita. Ma questo del recluso è un caso limite; esso presuppone un illecito, un reato. Dostoevskij era stato accusato di essere membro di una associazione sovversiva contro il governo e meritava, per questo, la katorga (i lavori forzati in Siberia). Ma erano altri tempi, lontani libri di storia.
Ben diversa l’idea di libertà che si compone nell’opera di un altro scrittore russo, dal destino piuttosto difficile che, sebbene non appartenesse ufficialmente a nessuno dei numerosi gruppi letterari degli anni Venti, venne genericamente incluso nella schiera dei poputčiki (попутчики), i ‘compagni di strada’ che senza partecipare all’edificazione della giovane società sovietica, si limitavano a non opporsi apertamente al nuovo regime. Sto parlando dello scrittore Michail Bulgakov. Il suo rapporto con la critica fu sempre burrascoso e non per nulla la sua spietata satira si scagliava proprio contro direttori di riviste, redattori e letterati di regime in genere. Scriveva Bulgakov: “Analizzando i miei album di ritagli, ho contato nella stampa dell’Urss, nei dieci anni della mia attività letteraria, 301 menzioni che mi riguardano. Di esse, 3 sono elogiative, e 298 ostil-ingiuriose”. (Lettera al Governo dell’Urss).
La sua opera fu dunque criticata, censurata, sabotata. Alla fine ritenne opportuno adottare come rimedio ad una situazione tanto incresciosa la stesura di una lettera indirizzata nientemeno che al Governo dell’URSS.
La lettera iniziava così :
Dacché tutte le mie opere sono state proibite, tra i molti cittadini ai quali io sono noto come scrittore han cominciato a udirsi voci che mi davano tutte il medesimo consiglio. Scrivere “una pièce comunista” e al contempo inviare al Governo dell’Urss una lettera penitenziale, in cui io rinneghi le mie precedenti opinioni, che ho espresso nelle mie opere letterarie, e mi impegni a lavorare d’ora in avanti come scrittore-compagno di strada, devoto all’idea del comunismo. Scopo di ciò: salvarmi dalle persecuzioni, dalla miseria e da una morte inevitabile nel finale.
Questo consiglio io non l’ho ascoltato. Dubito che riuscirei a pormi in una luce favorevole, agli occhi del Governo dell’Urss, con lo scrivergli una lettera bugiarda – nella quale dovrei presentarmi come uno sciatto e per di più ingenuo cavallino intento a una courbette politica. E non ho neppur tentato di scrivere una pièce comunista, ben sapendo che una pièce del genere non mi verrebbe mai
”.
A proposito, poi, del suo pamphlet (breve opuscolo di carattere politico e satirico) ‘L’isola purpurea’, lo scrittore sempre nella stessa lettera sosteneva che tutta la critica dell’Urss “ha salutato questo pamphlet dichiarandolo privo di talento, sdentato, misero e indicandolo come una pasquinata contro la rivoluzione”. Ebbene, la stampa tedesca dell’epoca scrisse invece, a proposito di quest’opera, che essa rappresentava senza dubbio il primo appello avutosi in Urss per la libertà di stampa. Bulgakov sosterrà a sua volta che “la lotta contro la censura, qualunque essa sia, e quale che sia il potere per il quale essa opera, è mio dovere di scrittore, così come anche l’appellarmi per la libertà di stampa. Io sono fervente sostenitore di questa libertà e ritengo che se a un qualche scrittore venisse in mente di voler dimostrare che essa non gli occorra, non sarebbe diverso da un pesce che volesse dichiarare pubblicamente di non aver alcun bisogno dell’acqua”.
Per non annojarvi ulteriormente riporterò solo alcune altre brevi righe: “Qualsiasi scrittore in Urss attenta al regime sovietico. Sono dunque io pensabile in Urss? Tutte le mie opere sono senza speranza. Io chiedo che sia preso in considerazione il fatto che l’impossibilità di scrivere equivale, per me, a essere sepolto vivo. IO CHIEDO AL GOVERNO DELL’URSS DI ORDINARMI DI ABBANDONARE AL Più PRESTO I CONFINI DELL’URSS IN COMPAGNIA DI MIA MOGLIE LJUBOV’ EVGEN’EVNA BULGAKOVA. Io mi rivolgo al senso di umanità del potere sovietico, e chiedo in quanto scrittore che non può più essere utile tra la sua gente, in patria, d’essere magnanimamente lasciato libero”. Bè, cosa ne pensate?
Prima che mi dimentichi, vorrei invitarvi a leggere un libro di questo autore che è davvero un’opera d’arte (non solo a parer mio): Il Maestro e Margherita, romanzo che è il frutto di un vigoroso talento satirico, acuito dall’amara esperienza della repressione e da una inquieta vena mistica. In esso vi è narrata, proiettandola su una duplice dimensione, una vicenda fantastica, che ha il suo perno nell’improvvisa apparizione, a Mosca, del diavolo stesso, in vesti di professore di magia nera. I suoi interventi sconvolgeranno, con satanici garbugli, l’ambiente intellettual-burocratico della Mosca staliniana, popolata di stupidità, burocrati e privilegiati che della truffa, dell’ipocrisia e della delazione hanno fatto la loro seconda natura.

Dunque, non ci resta altro da fare che scrivere i nostri pensieri, le nostre opinioni, le nostre idee in chiave fantastica immaginando di essere come il Maestro a cui solo una donna a cavallo di una scopa, Margherita, dimostra di essergli fedele!
Anche Feltri deve aver fatto lo stesso ragionamento: ha immaginato di poter volare a cavallo di una scopa e di gettare sul Paese addormentato l’idea folle dell’elezione diretta del Capo dello Stato! Quale risultato infausto ne verrebbe fuori! Non oso immaginarlo… e se si dovesse prospettare una tragedia del genere non resterebbe che un’unica prospettiva a cui aggrapparmi: l’espatrio. Ma in questo caso non aspetterei, come Bulgakov, la risposta ad una eventuale lettera indirizzata al governo. Abbandonerei il campo e …puff… chi s’è visto s’è visto!

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Libertà

La libertà non verrà
oggi, quest’anno
o mai
tramite il compromesso e la paura.
Io ho gli stessi diritti
di chiunque altro
di camminare
con le mie gambe
e possedere la terra.
Sono stufo di sentirmi ripetere
Lascia correre
Domani è un altro giorno.
Non mi serve la libertà da morto.
Non posso vivere del pane di domani.
La libertà
è un seme robusto
seminato
nella grande necessità.
Io pure vivo qui.
E voglio la libertà
esattamente come te.

(Langston Hughes)


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Lasciate che dedichi questo articolo alla memoria di Anna Politkovskaja, la giornalista russa che aveva ottenuto fama mondiale e premi internazionali per le sue inchieste sugli abusi dei diritti umani commessi dal governo Putin nella guerra in Cecenia. Fu assassinata a colpi di pistola nell'ascensore di casa.

1 commento:

  1. Bellissimo intervento, come sempre (fra l'altro...). Già, la battuta di Peppino ha scatenato pensieri sordi animati dal presentimento che magari quella frase non fosse poi una battuta, un giochetto di ilarità, quanto piuttosto un avvertimento...Trovo davvero geniale la degradazione cromatica del titolo, rappresentazione artistica dell'oscurantismo dei nostri giorni... "Pieghe libertarie" vorrebbe contribuire, così, a tenere acceso un fiammifero nella notte, per salvare apparenze e coscienze.

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