Quante storie
di Alessandra Comparelli
E’ un bene che grandi artisti siano disponibili per piccole piazze, anche se una scelta in questo senso è dettata più da motivi economici che da ragioni di prestigio. Comunque non importa se un artista sceglie di esibirsi in piccoli centri perché non ha più grande richiesta sul mercato, importa che quell’artista dia la possibilità a quel piccolo centro di ritrovare se stesso nella musica.
È quel che è successo la sera del 26 settembre 2009 a Galluccio, un piccolo paese dell’alto casertano, dove Francesco De Gregori si è esibito in concerto. Casualmente ho avuto la fortuna di partecipare e di rivedere in quel contesto carissimi amici, il che ha reso quella sera ancor più significativa. Mentre ascoltavo assorta dal terrazzino della piccola chiesa, vedevo l’immagine del mio paese ghermito di gente. E lì, proprio in quella piazza, c’era Francesco De Gregori. Mi sembrava quasi impossibile che quelle canzoni che avevo ascoltato nella mia stanza, lontana da tutti, si diffondessero per tutta la piazza, dove tutti volevano ascoltarle, le avevano ascoltate o le ascoltavano per la prima volta. Così i miei pensieri sono andati a ritroso nel tempo per poi riversarsi in circolo nel presente. Pensieri come immagini, immagini della memoria, fatte di emozioni, di persone, di solitudini, paesaggi. Ritrovavo me stessa e la mia storia, con quella serena malinconia che contraddistingue la memoria e il languore del passato che De Gregori sa cantare sublimamente. Ma quante storie in quella piazza quella sera, tutte unite dalla musica, tutte vive, tutte vibranti che verrebbe voglia di dar voce ad ognuna e di fermarsi per strada e chiedere “anche tu hai sentito come me?”.
È quel che è successo la sera del 26 settembre 2009 a Galluccio, un piccolo paese dell’alto casertano, dove Francesco De Gregori si è esibito in concerto. Casualmente ho avuto la fortuna di partecipare e di rivedere in quel contesto carissimi amici, il che ha reso quella sera ancor più significativa. Mentre ascoltavo assorta dal terrazzino della piccola chiesa, vedevo l’immagine del mio paese ghermito di gente. E lì, proprio in quella piazza, c’era Francesco De Gregori. Mi sembrava quasi impossibile che quelle canzoni che avevo ascoltato nella mia stanza, lontana da tutti, si diffondessero per tutta la piazza, dove tutti volevano ascoltarle, le avevano ascoltate o le ascoltavano per la prima volta. Così i miei pensieri sono andati a ritroso nel tempo per poi riversarsi in circolo nel presente. Pensieri come immagini, immagini della memoria, fatte di emozioni, di persone, di solitudini, paesaggi. Ritrovavo me stessa e la mia storia, con quella serena malinconia che contraddistingue la memoria e il languore del passato che De Gregori sa cantare sublimamente. Ma quante storie in quella piazza quella sera, tutte unite dalla musica, tutte vive, tutte vibranti che verrebbe voglia di dar voce ad ognuna e di fermarsi per strada e chiedere “anche tu hai sentito come me?”.
Forse è solo una visione troppo personale ma per me la musica è memoria. Per questo De Gregori resta il mio preferito, perché nessuno come lui ha saputo dare in musica e con le parole, il senso magico del tempo. (A tutti coloro che leggeranno questo post suggerisco di leggere l’intervista a Francesco De Gregori su “Tuttolibri”, La Stampa, 12 settembre 2009, pp.I, VI)
Bravissima Alessandra.
RispondiEliminaQuella sera di settembre ero in piazza con te. Pur non essendoci influenzati a vicenda, abbiamo provato le stesse sensazioni che magistralmente hai presentato.
Sono davvero fiero di leggere le tue riflessioni su Pieghe.
Grazie davvero
Grazie a te per aver condiviso quella sera con me e per questo spazio "libertario" d'espressione.
RispondiElimina