La vita è esperienza, cioè improvvisazione, utilizzazione delle occasioni; la vita è tentativo in tutti i sensi. Donde il fatto, a un tempo imponente e assai spesso misconosciuto, delle mostruosità che la vita ammette
Georges Canguilhem



venerdì 20 febbraio 2009

La fabbrica della paura

Il potere politico si fonda sulla logica del consenso ostentato, anche nel caso in cui sia saldo, non vincolato all’esito delle lotterie elettorali. Un dittatore si preoccupa di risultare piacente, per rendersi più facilmente tollerabile. Il tempo poi, con le sue inclinazioni, fa la sua parte. La politica asservita al potere è autoreferenziale, ripone in se stessa il proprio fine, nel senso che è inclinata esclusivamente nella prospettiva della propria conservazione. Tutela di privilegi. Subordinazione della costruzione del bene pubblico al perseguimento dell’interesse privato o di clan. I sistemi democratici non sono affatto immuni da degenerazioni privatistiche che risultano essere consuete o, per lo meno, fisiologiche, nel contesto di meccanismi di potere contraddistinti da scale gerarchiche. Il limite essenziale della democrazia è riconducibile alla sua promiscuità con soluzioni anarchiche, implicata dal fatto che la democrazia sembra includere in sé, riponendoli sotto una bella veste, i moduli dei sistemi gestionali precedenti che non ha potuto non ereditare. Una sezione di un partito di periferia è gestita secondo direttrici gestionali feudali. Il clientelismo fonda la fortuna di tanti, a svantaggio dell’ordinaria amministrazione di città e province, di regioni ed imperi. E’ la versione elegante della corruzione sfacciata. Eppure, nonostante la valenza di tutte queste considerazioni, non possiamo non essere democratici. L’alternativa è la barbarie. La scelta è fra i limiti della democrazia e la barbarie. Tertium non datur.

Il potere politico deve conservarsi, sopravvivendo agli impeti rivoltosi, alla tentazione di non votare, di spalancare le porte della polis al disimpegno, alla resa civica, al qualunquismo ozioso. L’esigenza della sopravvivenza si afferma con particolare impeto in occasione delle recessioni economiche, delle crisi politiche, dei mutamenti sociali. La politica ha diversi mezzi per farsi riconoscere come strumento irrinunciabile per il perseguimento dell’utilità sociale. Alcuni sono nobilissimi. Basti fare riferimento alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica sui grandi temi di interesse sociale. Altri sono senz’altro meno nobili e più strumentali, ma fuor di dubbio fecondi per la loro funzionalità, garantita dal loro sfruttamento storico. Ci riferiamo all’abuso delle passioni tristi del cittadino, alla mercificazione politica delle sue paure notturne. La politica fonda se stessa così sul terrore psicologico. Il cittadino spaventato va a votare. Non si tira indietro. Sostiene con convinzione quelle forze politiche (essenzialmente populiste o xenofobe) che sembrerebbero tutelarlo di più in relazione alla garanzia della sicurezza sociale. Chi non ricorda i poster metropolitani che accartocciavano le nostre città nel corso dell’ultima campagna elettorale? Stiamo sviluppando considerazioni che spiegano in parte le fortune di Berlusconi e della Lega Nord in Italia, di Le Pen in Francia, di altri movimenti di ultradestra in tutta Europa. La fabbrica della paura è l’arsenale della politica volta alla tutela di interessi parziali. La paura feconda l’ignoranza e la schiavitù, ci rende talmente schiavi da lottare per la nostra schiavitù come se fosse la nostra salvezza. Come scrive Spinoza nelle prime pagine del Trattato teologico-politico: Se gli uomini potessero dirigere tutte le loro cose con sagge e certe decisioni, oppure se la fortuna fosse loro sempre favorevole, non sarebbero soggetti ad alcuna superstizione. Ma, poiché spesso si trovano in difficoltà tali che non sanno prendere alcuna decisione, e poiché di solito, a causa degli incerti beni della fortuna che essi desiderano smodatamente, fluttuano miseramente fra la speranza e la paura, il loro animo è quanto mai incline a credere a qualsiasi cosa: quando è preso dal dubbio, esso è facilmente sospinto or qua or là, e tanto più quanto esita agitato dalla speranza e dalla paura, mentre nei momenti di fiducia è pieno di vanità e presunzione. Non è un caso il fatto che Spinoza fu vituperato, odiato, insultato per tutta la vita. Condusse un simulacro di vita. Solo con se stesso, fabbricatore di lenti. Pagò il carissimo prezzo della verità.

Gli ultimi mesi del governo di Romano Prodi furono caratterizzati da furenti polemiche. Le opposizioni accusavano a viva voce, sostenute dai media asserviti, la totale mancanza di sicurezza sociale. Stupri quotidiani, rumeni assatanati, assalti ai negozi, violenze nelle ville venete, catastrofi, cataclismi, orde barbariche, assassini notturni. Una persona spaventata è disposta a credere a tutto, anche alla falsificazione strumentale della realtà.

Ed oggi? Cosa è cambiato? Le cose vanno forse meglio? Niente affatto. Eppure una persona responsabile si guarda bene dall’accusare il governo di essere il responsabile dello stupro collettivo di Guidonia o di altri orrori. Questione di stile, forse.

Come rispondono gli operai della fabbrica della paura all’evidenza della continuità della delinquenza e della violenza, anche nella fase della loro reggenza? La risposta è scontata e fa riferimento alla radicalizzazione della paura, alla sua conversione in azione. Basti pensare alla follia delle ronde padane, alla vigilanza notturna dei quartieri. Sceriffi in casa propria, col Far West in giardino. Il cittadino viene precettato, indotto ad investire i suoi timori nel capitale della fabbrica delle paure. Le fobie di tanti edificano le ragioni del Reggente Forte, del premier dai pieni poteri.

In questa fase delicatissima di recessione economica, molte industrie medio-grandi sono a rischio di collasso. La fabbrica della paura gode, invece, di ottima salute. Sarà forse tardi quando si prenderà coscienza della velenosità delle sue emissioni. Ora sembra prematuro. La persecuzione del Rumeno come figura del Male va di moda, come il sostegno agli imprenditori del terrore sociale. La distruzione della fabbrica della paura sembra essere una condizione irrinunciabile per la pacificazione degli animi e la normalizzazione della vita sociale nazionale. Vedremo. Un passo importante è segnato dalla presa di coscienza del problema. II resto è noia metropolitana, nebbia di periferia, rabbia di frontiera.

Nessun commento:

Posta un commento