La vita è esperienza, cioè improvvisazione, utilizzazione delle occasioni; la vita è tentativo in tutti i sensi. Donde il fatto, a un tempo imponente e assai spesso misconosciuto, delle mostruosità che la vita ammette
Georges Canguilhem



venerdì 18 settembre 2009

Funerali di Stato per ogni vittima del lavoro


La tragedia afghana non può lasciare affatto indifferenti e stimola importanti riflessioni di carattere politico sull’opportunità di prolungare la finzione per cui cittadini italiani siano impegnati in operazioni di pace in un territorio in cui – come risulta evidente ad ogni osservatore attento – sono in realtà in corso scorribande belliche. I Talebani stanno avanzano nella riconquista del Paese e non si deve affatto sottovalutare la possibilità che possano rovesciare il governo “democratico” di Hamid Karzai. In realtà è inutile prendersi in giro: Islam e democrazia sono fisiologicamente incompossibili. Al limite si può confidare nell’affermazione di un’oligarchia temperata o in regime apparentemente dal volto occidentale (come quello di Mubarack in Egitto).


La commozione e la disperazione delle vedove e dei familiari affranti dei parà assassinati merita rispetto assoluto e il cordoglio nazionale. Ma non i funerali di Stato. Per nessuna ragione al mondo. L’Italia non si è affatto liberata dalla retorica fascista dell’onore della Dea Patria. Quella gente stava lavorando dignitosamente. Non ha scelto di andare in Afghanistan per ragioni ideali o ideologiche. Non sono martiri di nulla. Sono vittime di un lavoro rischioso di cui erano perfettamente consapevoli. Nessuno ha imposto loro di lasciare le famiglie per la missione. Lo stesso discorso vale ovviamente per i caduti di Nassirya. Onde evitare discriminazioni fra esequie di serie A e di serie B, sofferenze più autorevoli – da pompa magna – di altre (è risaputo, piuttosto, che le sfumature della sofferenza e dello strazio seguono esclusivamente le dinamiche del cuore) ogni vittima del lavoro meriterebbe i funerali di Stato. Se domani un muratore dovesse cadere da un’impalcatura, quell’uomo meriterebbe – in caso di morte – lo stesso trattamento concesso ai sei sfortunati compatrioti morti in Afghanistan: sfilata di parrucconi senza speranze.

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