È questo l’incipit della novella pirandelliana intitolata La carriola. Oggi, dunque, tenterò di spiegare il motivo che m’ha spinta a scegliere questo titolo per la rubrica settimanale.
La novella si apre con la descrizione di un avvocato, padre di famiglia, che si sta recando nella propria abitazione dopo una lunga giornata di lavoro. Il protagonista sta viaggiando in treno, e mentre attende che il viaggio si concluda, cerca di trovare una soluzione ad una causa inoltrata da un suo cliente. Mentre sfoglia le carte da studiare ad un certo punto alza gli occhi e inizia a guardar fuori dal finestrino. Guarda, ma non vede nulla, assorto com’è nella difficoltà di quella causa. "Veramente non potrei dire che non vedessi nulla. Gli occhi vedevano; vedevano e forse godevano per conto loro della grazia e della soavità dalla campagna umbra. Ma io, certo, non prestavo attenzione a ciò che gli occhi vedevano". Piano piano, però, quasi si fosse allentata l’attenzione rivolta alla difficoltà che l’occupava, il protagonista comincia ad immaginare di vivere una vita diversa, non sua, ma che avrebbe potuto esser sua, là, in quella infinita lontananza scorta attraverso il finestrino del treno. S’addormenta e continua a sognare "quella vita che non era nata". Quando il treno sta per giungere a destinazione egli si ritrova "d’un tratto in tutt’altro animo, con un senso d’atroce afa della vita, in un tetro, plumbeo attonimento, nel quale gli aspetti delle cose più consuete m’apparvero come votati di senso". Poco più tardi, mentre l’avvocato si accinge ad aprire la porta della sua abitazione, resta come impietrito ad osservare la targa ovale, d’ottone, sulla quale è riportato il suo nome, i suoi titoli, i suoi attributi scientifici e professionali e ad un tratto comincia a ‘vedersi da fuori’, ad osservare la sua vita ‘da fuori’ per non riconoscersi e non riconoscerla sua. Dunque, si chiede, chi è quell’uomo fermo dinanzi alla porta di casa con la busta di cuojo sotto il braccio, chi lo ha voluto così, chi lo fa muovere e parlare e chi gli ha imposto tutti quei doveri uno più gravoso e odioso dell’altro? “Commendatore, professore, avvocato, quell’uomo che tutti cercavano, che tutti rispettavano e ammiravano, di cui tutti volevan l’opera, il consiglio, l’assistenza, che tutti si disputavano senza mai dargli un momento di requie, un momento di respiro - ero io? io? propriamente? ma quando mai?”. Anche il pensiero della moglie e dei figli gli si rivela gravoso, quasi non gli appartenessero, perché lui non è l’uomo che essi credono di conoscere. Ma proprio il pensiero dei ragazzi, del fatto che avessero bisogno delle sue cure, dei suoi consigli e del suo lavoro riesce a farlo rientrare in se stesso, nell’uomo insoffribile che sta davanti alla porta.
Nel momento in cui apre la porta egli non solo entra nella sua casa ma rientra anche nella vita di prima. Si rifugia così nel suo studio e comincia a rendersi conto di non poter liberarsi dalla forma che gli altri gli hanno dato; può soltanto ribellarsi, vendicarsi, per un attimo solo, ogni giorno con quell’atto che compie nel massimo segreto e cogliendo con trepidazione e circospezione infinita il momento opportuno, perché nessuno lo veda. Anzi! Guai se lo vedessero!
E a questo punto non posso assolutamente privare il lettore del fascino letterario che emerge dalla penna dello scrittore agrigentino. Non proverò a riassumere nulla, ma riporterò il finale della novella così com’è stata scritta dal maestro:
L’umorismo pirandelliano non è solo poetica; è anche l’espressione coerente del pensiero e della cultura del relativismo filosofico. Lucido interprete della crisi dell’uomo contemporaneo angosciato dalla solitudine e dall’alienazione, Pirandello, nelle sue opere, mette a nudo il vuoto e la falsità di un mondo fondato più su ciò che appare che non su ciò che è e avvia una spasmodica ricerca della verità fino ad arrivare a concludere che non esiste una sola verità, ma ne esistono tante quante sono le situazioni e gli individui. Questa concezione relativistica della vita e dell’uomo si esprime, nelle sue opere, attraverso una serie di situazioni paradossali e assurde a cui l’autore guarda con amara ironia, ma anche con un sentimento di umana pietà.
Il titolo della rubrica è dunque una forma d’omaggio all’arte letteraria di Pirandello, ma è anche un modo d’ intendere la mia scelta di collaborare allo sciorinamento telematico delle pieghe libertarie!
Come il protagonista della novella, che col suo gesto quotidiano si libera della realtà soffocante che lo attanaglia senza requie, afferro la mia penna e lascio che scorra veloce sul foglio bianco, così, per avvalermi di una certa capacità di movimento, di una certa sensazione di libertà. Penna e foglio dovrebbero essere gli unici testimoni di questa folle corsa alla libertà, ma il delirio peggiore sta proprio nel fatto di scrivere, così, liberamente davanti a tutti. Scrivere è un po’ guardarsi dal di fuori, è un po’ evadere dalla realtà, per sentirsi liberi, per guardarsi vivere e non morire di noia.
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