La vita è esperienza, cioè improvvisazione, utilizzazione delle occasioni; la vita è tentativo in tutti i sensi. Donde il fatto, a un tempo imponente e assai spesso misconosciuto, delle mostruosità che la vita ammette
Georges Canguilhem



martedì 29 settembre 2009

Seguendo un passo
nudo nella notte
Fra Roma e Renacavata (Camerino)


Non ha alcun senso ingannarsi: bisogna avere l’onestà intellettuale di riconoscere che non tutte le persone che sono inscritte nel circolo soggettivo dell’affettività abbiano la stessa dignità o lo stesso statuto gerarchico. Il cuore con le sue presunte ragioni non è ispirato quasi mai da prìncipi ideali di stampo egualitario o liberalsocialista. Si è disposti a sacrificare tutta una vita per una persona ponendo tutto il resto del mondo sullo sfondo dell’indistinzione percettiva. Amori struggenti possono decomporre l’anima, prima ancora del corpo. Legami di solidarietà reciproca riescono disperatamente a dare un senso alla vita, aiutandomi a dimenticare – come del resto credo – che “ogni cosa alla lunga mi molesta”, come canta Guccini in una vecchia canzone, che ascolto ripetutamente negli ultimi mesi. Le motivazioni per cui possa esserci la disponibilità al sacrificio per una persona piuttosto che per un’altra affondano le loro determinazioni causali nel tessuto delle esperienze condivise fecondato costantemente dalla memoria. L’oblio spegne le relazioni sociali e fa in modo che l’anima scavi in se stessa rifugi in cui accovacciarsi per decenni, o per sempre.


M. è uno dei miei amici più cari, uno dei pochi che non mi stanco mai di rivedere, ascoltare, sentire. Pur non essendo un misantropo – mi considereo piuttosto una finestra spalancata sul mondo – tendo ad essere molto selettivo nella definizione delle possibilità di confronto amichevole. Sono pochissime le persone con cui provo pienamente un senso di piacere intellettuale e di piena soddisfazione nel corso della frequentazione. Nella maggior parte dei casi, dissimulo, per cortesia, la manifestazione della giusta curiosità intellettuale, desiderando comunque che le lancette svolgano velocemente il loro compito per lasciarmi solo con me stesso, con i miei pensieri serali, che per me hanno più significato di infiniti bar e corsi di gente fasulla e ripetitiva. Replicazione reiterata dello stesso tipo sociale. Produzione seriale di fotocopie malriuscite e sbiadite . . . Venerdì della scorsa settimana ho avuto l’occasione, attraversando le viscere di Roma e conversando sine ratione con diversi ragazzi in diversi momenti della giornata, di comprendere che qualche nota di confronto estemporaneo possa avere davvero più senso di diverse esistenze consacrate alla noia delle periferie e delle giornate opache. Su una panchina antistante la facciata laterale della facoltà di Lettere e Filosofia di Tor Vergata, ho conversato per un’ora con una studentessa anonima che mi ha presentato la collezione dei momenti più significativi della sua esistenza, trascurando di dirmi come si chiamasse. È intelligente, riflessiva, pacata nei modi, tutt’altro che rassegnata a recitare la parte che i manovratori occulti della nostra società avrebbero intenzione di affidarle (eh già, rinunciare alla storia della fotografia per dare il resto dalla cassa di un supermarket abbandonato dal mondo o affettare salami ungheresi). Cerco gente così.




M
. rientra senza dubbio nella categoria. Poche settimane dopo il nostro primo incontro – avvenuto nel corridoio del secondo piano della palazzina A della Facoltà di Lettere e Filosofia di Cassino – avevo già compreso che saremmo diventati testimoni di un legame di amicizia, intrecciato dalla tutela dei motivi di differenza. Vicenda dell’autunno del 2002. M. ora ha intrapreso un sentiero di santificazione dell’esistenza, consacrando la sua disponibilità alla perenigrazione da un convento cappuccino all’altro. Il convento di Renacavata è un luogo dell'anima. Dovevo essere presente alla cerimonia di professione semplice con cui è entrato a far parte ufficialmente della grande famiglia francescana. Ho dormito in convento. Alle 5.50 di domenica 20 settembre la terra ha tramato. Magnitudo 4.6. Vecchie strutture rette da incastri di nuda pietra. Il sonno inquieto viene spezzato dalla vertigine. Per pochi istanti ho pensato che stessi per sprofondare per le vie anguste dell’Ade, dimenticato da notti anonime, sepolto da un brandello di calce polverosa. Non mi sono rifugiato sotto il letto, così come non ho tentato di fuggire. Inspiegabilmente mi sono rassegnato. Timori e tremori di solitudine estrema. Non ho divinità da ringraziare. Cerco solo di dormire per tentare di colmare la voragine che la notte marchigiana ha scavato nel mio petto.

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