L' eroe dimenticato
Frugando tra le carte dimenticate nel fondo di un vecchio baule, ho trovato un ingiallito foglio di giornale datato 8 maggio 1978. L’articolo, qua e là macchiato dai segni del tempo, mi ha incuriosita. Ve lo propongo.
Il personaggio epico per antonomasia è, non si sbaglia in proposito, Odisseo, ovverosia Ulisse secondo la terminologia latina. La parola ‘eroe’ deriva dal greco e in origine significava “uomo nato da un dio e da un essere mortale”, il quale dimostrava la propria natura semidivina compiendo imprese impossibili ad uomini normali; poi il termine è stato esteso ad indicare chiunque (anche non “semidio”) compia gesta notevoli. Quando un racconto o un poema hanno per protagonisti degli ‘eroi’, allora si suole adoperare il termine ‘epico’ per indicare il genere di racconto che si occupa di avvenimenti grandiosi, tali da colpire la fantasia degli uomini e nei quali intervengono personaggi eccezionali (fortissimi, audacissimi, intelligentissimi), appunto gli ‘eroi’.
Negli ultimi anni anche il cinema ci ha offerto una forma particolare di eroi o di anti-eroi, se si vuole. A giudizio di chi scrive sembra del tutto verosimile poter individuare le caratteristiche del personaggio epico, al di là - seppure non troppo lontano - della mitologia greca, anche in quella figura polverosa che lenta s’allontana verso il tramonto sistemato lì giù a bella posta a separare con la precisione della livella, la terra sconfinata dall’eterno cielo color zafferano stanco. È il cow-boy. Non un cow-boy qualunque, uno di quei tanti che ci hanno esibito negli innumerevoli film western interpretati da John Wayne (di cui ne abbiamo avuto ben donde). Bensì, il cow-boy senza nome, l’eroe solitario sperduto nel selvaggio west alla ricerca del bottino da arraffare, il cow-boy che ha una mira eccellente, che accende il fiammifero sfregandolo sul tacco dello stivale e che riesce a spostare il sigaro da un lato all’altro della bocca senza farlo cadere. Il cow-boy – eroe epico è, se si vuole, quella figura mitica venuta fuori dall’estro impareggiabile del maestro Sergio Leone, a cui il cinema italiano deve tributare onore e rispetto per quella rivoluzione ed evoluzione che ha apportato alla pellicola cinematografica grazie alle sue idee innovative che si son scoperte in quei primi piani mai realizzati prima (il cinematografo americano, ad esempio, ha sempre preferito l’inquadratura fin sotto la cintola perché considerato d’obbligo far rientrare nell’inquadratura stessa anche la pistola, oggetto simbolo dell’eroe di turno), o nei campi lunghissimi che si perdono oltre gli spazi sterminati di Almerìa, e ancora, nei tempi decisamente prolungati che tracciano tutti i profili del duello classico tra gli antagonisti del film.
La trilogia western – Per un pugno di dollari (il cui budget è stato talmente misero da indurre gli autori a rispecchiare simpaticamente la malconcia situazione economica nel titolo dell’opera e per la quale - altra curiosità - il regista, allo scopo di sprovincializzarla, ha ritenuto opportuno trasformare il proprio nome nel ben più americanizzato Bob Robertson), Per qualche dollaro in più e Il Buono, il brutto, il cattivo – è un vero trionfo di genialità. I duelli sulla piattaforma circolare di pietra e i primi piani che scandiscono i minuti precedenti la pressione del dito sul grilletto e i movimenti lenti, filmati alla perfezione, apoteosi bizzarra mescolata all’ansia dello spettatore che attende lo sparo e il cattivo stramazzare al suolo; e poi la musica, che non è affatto di contorno – la musica del maestro Morricone non è un contorno ma l’essenza stessa in cui si riflette la scena – è la colonna sonora dell’eroe (eroe che sovente nei film di Leone è anch’esso un farabutto, sebbene alcuni lampi di altruismo nascosti sotto lo sguardo glaciale tendano a renderlo decisamente interessante) che calpesta il delirio deplorevole del furfante: la verità che trionfa sull’ingiustizia. In C’era una volta il west, il battito delle ciglia, il galoppo, tutto, tutto deve assolutamente procedere a passo con la musica. Sapienza certosina e perfezione meticolosissima di un regista che non ha assolutamente rivali degni di nota che lo intimidiscano.
La leggenda si rispecchia nell’espressione barbuta di un genio sistemato dietro e avanti la macchina da presa. I ragazzini di qualche anno fa che, fantasticando, immaginavano di essere il cow-boy o l’indiano di turno, sono stati spodestati dai nuovi ragazzini che sognano ora di esser il Biondo (il buono), Sentenza (il cattivo) o Tuco (il brutto).
Al maestro dell’ingranaggio perfetto non si può non chiedere di continuare ad inventare eroi che ci tengano col fiato sospeso quando comodamente ci sistemiamo nelle poltroncine rosse per catapultarci, col delirio dell’adolescenza, sulla scena di un racconto epico moderno. (A.I.)
Eroe: chi dà prova di grande abnegazione e di spirito di sacrificio per un nobile ideale…
È delle ultime settimane il dramma che s’è consumato a Kabul. Mi si ripropone il tema dell’eroismo. Una signora intervistata per il tg1 ha esclamato: “Hanno combattuto per noi…”. Forse mi sono persa qualcosa…Come hanno combattuto? ma non erano in missione di pace?
Sono d’accordo con Francesco quando scrive: “Sono vittime di un lavoro rischioso di cui erano perfettamente consapevoli”, sebbene creda che la penuria di lavoro possa essere uno dei motivi che spingano alcuni temerari a scegliere quest’attività tanto pericolosa.
Operai, minatori, camionisti, ferrovieri, poliziotti, carabinieri, chiunque s’adopera in un’attività non necessariamente intellettuale, chiunque adopera l’ingegno e le mani, quest’immensa energia produttiva non lavora forse per lo Stato, non compone il meccanismo delicato che mantiene in piedi la società? L’ingegnere progetta palazzi ed edifici che possano ospitare adeguatamente (e molto spesso non tanto adeguatamente da reggere all’attacco dei terremoti) uffici, scuole, ospedali, insomma le strutture pubbliche in genere; ma se non ci fossero i muratori, chi realizzerebbe l’opera impressa sulle carte? Eh già, dice, eroe è colui che si batte per un ideale, e pure nobile. Non è eroe, allora, anche Peppino Impastato (il giornalista siciliano ammazzato dalla mafia) e chi come lui tenta di spostare l’ago della bilancia verso il piatto della giustizia? Perché non tributare i funerali di Stato anche a quest’altri italiani? Ma questi so’ italiani scomodi. Chi gliel’ha fatto fa’? Eh sì, indubbiamente, so’ dei poveri stronzi che hanno immaginato – meglio sognato – di cambià le cose, di morì attaccati alle rotaie d’un treno perché volevano fa’ la storia. Eh, vi vedo cari lettori, cominciate a strofinare il sedere sulla sedia perché non vedete l’ora che finisca sto’ strazio di noja e di luoghi comuni. Forse. Ma mi dite voi a che serve inviare militari in missione di pace in un paese che di pace non ne vuole proprio sentir parlare? Ma come, l’agguato ai soldati era stato costruito alla perfezione e grazie alla complicità della popolazione locale! e allora?
È pure di questi giorni un’altra vicenda di cronaca: l’uccisione di una ragazza musulmana per mano del padre. Motivo: la colpevolezza di lei di essersi innamorata d’un giovane italiano, quindi di un non musulmano. Con tutto il rispetto per il popolo di Allah (in fondo il Padre Eterno è uno solo e ognuno lo chiama a modo suo), io non riuscirò mai a comprendere la sua visione del mondo. Come possa un padre reputare doveroso assassinare quella che è carne della sua carne, non lo capirò mai. È vero, spesse volte il telegiornale ci presenta notizie raccapriccianti di madri che uccidono i propri figlioletti, di padri stupratori, di parricidi, di matricidi, ma ogni volta, in questi casi, l’unico senso che si riesce a trovare sta rinchiuso nella follia. A volte neanche in quella. Ma il punto è, a proposito dei propositi islamici, che non si può davvero interferire con idee, convinzioni, tradizioni così radicate e radicali e tanto diverse dalle nostre. Ma riprendiamo le fila del discorso.
L’intervento armato come missione di pace (che di per sé è già contraddittorio) allora, pare quasi la cronaca di un fallimento annunciato e assomiglia all’intervento della Santanchè (santa n’ de che!?) alla manifestazione di protesta anti-burka alla festa per il fine Ramadan presso la Fabbrica del vapore di Milano, dove l’ex-parlamentare ha rimediato una ‘contusione all’emitorace sinistro e una contrattura alla muscolatura latero-cervicale’ per aver tentato di strappare il burka ad una donna musulmana al fine di opporsi (lei, la Santanchè!) al potere che l’uomo islamico esercita sulla donna, per ‘lottare’, come ha dichiarato la moderna Antigone (o Lisistrata?), contro la supremazia di violenza che calpesta l’onore delle donne musulmane “perché gli uomini musulmani non hanno mai provato a stare sotto il burka, non sanno cosa significa respirare sotto quel lenzuolo” e osservare il mondo dietro una retina; e per tutta risposta una donna musulmana ha chiarito che l’obbligo in realtà non esiste (su questo avrei dei dubbi…) e che di fatto portare il burka vuol dire mostrare rispetto per la tradizione e la religione. Santanchè, che hai fatto? Poverina, credeva che con quel gesto da donna emancipata avrebbe buttato all’aria secoli di storia e tradizione! Povera sciocca. Non ha davvero capito che anche il suo è stato un atto di violenza, un volgare atto esibizionista contro la cultura di un popolo. Ma di che t’impicci? Forse volevi trasformarti in un’eroina, dato che l’incantesimo che t’ha resa sgualdrina e misera lacchè del potere politico non riuscirebbe a sciogliersi nemmeno se proponessi un dibattito politico solitario nell’unica trasmissione che riconosce questo sacrosanto diritto, tanto sacrosanto da proporsi come sola scelta per il telespettatore stanco che pensa di riposarsi davanti ad un buon programma offerto dal palinsesto dopo una lunga giornata di vero, duro lavoro. Ecco chi è il vero eroe.
Il mio blaterare non è mancanza di rispetto per i morti. Non fraintendetemi. Questa mancanza di rispetto permettetemi di individuarla, invece, nell’espressione di circostanza esasperata e forzata che i perbenisti mostrano in televisione quando accadono simili tragedie. Scorrono le bare e i volti dei familiari massacrati dal dolore, scorrono i volti ipocriti dei politici che tributando i funerali di Stato credono di aver assolto tutti i loro doveri. Camminano con l’occhio affranto, col lutto sotto il braccio per poi azzuffarsi alla prima occasione facendo credere che si curano realmente dei problemi della gente.
Adesso gli eroi sono i familiari delle vittime, i figli che hanno perso i padri, le madri che respirano piano sui corpi lacerati dal tormento, le mogli che non avranno più l’abbraccio del ritorno. Sono eroi anch’essi, sì: dovranno saper continuare a vivere portando nel cuore solo un ricordo.
Il personaggio epico per antonomasia è, non si sbaglia in proposito, Odisseo, ovverosia Ulisse secondo la terminologia latina. La parola ‘eroe’ deriva dal greco e in origine significava “uomo nato da un dio e da un essere mortale”, il quale dimostrava la propria natura semidivina compiendo imprese impossibili ad uomini normali; poi il termine è stato esteso ad indicare chiunque (anche non “semidio”) compia gesta notevoli. Quando un racconto o un poema hanno per protagonisti degli ‘eroi’, allora si suole adoperare il termine ‘epico’ per indicare il genere di racconto che si occupa di avvenimenti grandiosi, tali da colpire la fantasia degli uomini e nei quali intervengono personaggi eccezionali (fortissimi, audacissimi, intelligentissimi), appunto gli ‘eroi’.
Negli ultimi anni anche il cinema ci ha offerto una forma particolare di eroi o di anti-eroi, se si vuole. A giudizio di chi scrive sembra del tutto verosimile poter individuare le caratteristiche del personaggio epico, al di là - seppure non troppo lontano - della mitologia greca, anche in quella figura polverosa che lenta s’allontana verso il tramonto sistemato lì giù a bella posta a separare con la precisione della livella, la terra sconfinata dall’eterno cielo color zafferano stanco. È il cow-boy. Non un cow-boy qualunque, uno di quei tanti che ci hanno esibito negli innumerevoli film western interpretati da John Wayne (di cui ne abbiamo avuto ben donde). Bensì, il cow-boy senza nome, l’eroe solitario sperduto nel selvaggio west alla ricerca del bottino da arraffare, il cow-boy che ha una mira eccellente, che accende il fiammifero sfregandolo sul tacco dello stivale e che riesce a spostare il sigaro da un lato all’altro della bocca senza farlo cadere. Il cow-boy – eroe epico è, se si vuole, quella figura mitica venuta fuori dall’estro impareggiabile del maestro Sergio Leone, a cui il cinema italiano deve tributare onore e rispetto per quella rivoluzione ed evoluzione che ha apportato alla pellicola cinematografica grazie alle sue idee innovative che si son scoperte in quei primi piani mai realizzati prima (il cinematografo americano, ad esempio, ha sempre preferito l’inquadratura fin sotto la cintola perché considerato d’obbligo far rientrare nell’inquadratura stessa anche la pistola, oggetto simbolo dell’eroe di turno), o nei campi lunghissimi che si perdono oltre gli spazi sterminati di Almerìa, e ancora, nei tempi decisamente prolungati che tracciano tutti i profili del duello classico tra gli antagonisti del film.
La trilogia western – Per un pugno di dollari (il cui budget è stato talmente misero da indurre gli autori a rispecchiare simpaticamente la malconcia situazione economica nel titolo dell’opera e per la quale - altra curiosità - il regista, allo scopo di sprovincializzarla, ha ritenuto opportuno trasformare il proprio nome nel ben più americanizzato Bob Robertson), Per qualche dollaro in più e Il Buono, il brutto, il cattivo – è un vero trionfo di genialità. I duelli sulla piattaforma circolare di pietra e i primi piani che scandiscono i minuti precedenti la pressione del dito sul grilletto e i movimenti lenti, filmati alla perfezione, apoteosi bizzarra mescolata all’ansia dello spettatore che attende lo sparo e il cattivo stramazzare al suolo; e poi la musica, che non è affatto di contorno – la musica del maestro Morricone non è un contorno ma l’essenza stessa in cui si riflette la scena – è la colonna sonora dell’eroe (eroe che sovente nei film di Leone è anch’esso un farabutto, sebbene alcuni lampi di altruismo nascosti sotto lo sguardo glaciale tendano a renderlo decisamente interessante) che calpesta il delirio deplorevole del furfante: la verità che trionfa sull’ingiustizia. In C’era una volta il west, il battito delle ciglia, il galoppo, tutto, tutto deve assolutamente procedere a passo con la musica. Sapienza certosina e perfezione meticolosissima di un regista che non ha assolutamente rivali degni di nota che lo intimidiscano.
La leggenda si rispecchia nell’espressione barbuta di un genio sistemato dietro e avanti la macchina da presa. I ragazzini di qualche anno fa che, fantasticando, immaginavano di essere il cow-boy o l’indiano di turno, sono stati spodestati dai nuovi ragazzini che sognano ora di esser il Biondo (il buono), Sentenza (il cattivo) o Tuco (il brutto).
Al maestro dell’ingranaggio perfetto non si può non chiedere di continuare ad inventare eroi che ci tengano col fiato sospeso quando comodamente ci sistemiamo nelle poltroncine rosse per catapultarci, col delirio dell’adolescenza, sulla scena di un racconto epico moderno. (A.I.)
Eroe: chi dà prova di grande abnegazione e di spirito di sacrificio per un nobile ideale…
È delle ultime settimane il dramma che s’è consumato a Kabul. Mi si ripropone il tema dell’eroismo. Una signora intervistata per il tg1 ha esclamato: “Hanno combattuto per noi…”. Forse mi sono persa qualcosa…Come hanno combattuto? ma non erano in missione di pace?
Sono d’accordo con Francesco quando scrive: “Sono vittime di un lavoro rischioso di cui erano perfettamente consapevoli”, sebbene creda che la penuria di lavoro possa essere uno dei motivi che spingano alcuni temerari a scegliere quest’attività tanto pericolosa.
Operai, minatori, camionisti, ferrovieri, poliziotti, carabinieri, chiunque s’adopera in un’attività non necessariamente intellettuale, chiunque adopera l’ingegno e le mani, quest’immensa energia produttiva non lavora forse per lo Stato, non compone il meccanismo delicato che mantiene in piedi la società? L’ingegnere progetta palazzi ed edifici che possano ospitare adeguatamente (e molto spesso non tanto adeguatamente da reggere all’attacco dei terremoti) uffici, scuole, ospedali, insomma le strutture pubbliche in genere; ma se non ci fossero i muratori, chi realizzerebbe l’opera impressa sulle carte? Eh già, dice, eroe è colui che si batte per un ideale, e pure nobile. Non è eroe, allora, anche Peppino Impastato (il giornalista siciliano ammazzato dalla mafia) e chi come lui tenta di spostare l’ago della bilancia verso il piatto della giustizia? Perché non tributare i funerali di Stato anche a quest’altri italiani? Ma questi so’ italiani scomodi. Chi gliel’ha fatto fa’? Eh sì, indubbiamente, so’ dei poveri stronzi che hanno immaginato – meglio sognato – di cambià le cose, di morì attaccati alle rotaie d’un treno perché volevano fa’ la storia. Eh, vi vedo cari lettori, cominciate a strofinare il sedere sulla sedia perché non vedete l’ora che finisca sto’ strazio di noja e di luoghi comuni. Forse. Ma mi dite voi a che serve inviare militari in missione di pace in un paese che di pace non ne vuole proprio sentir parlare? Ma come, l’agguato ai soldati era stato costruito alla perfezione e grazie alla complicità della popolazione locale! e allora?
È pure di questi giorni un’altra vicenda di cronaca: l’uccisione di una ragazza musulmana per mano del padre. Motivo: la colpevolezza di lei di essersi innamorata d’un giovane italiano, quindi di un non musulmano. Con tutto il rispetto per il popolo di Allah (in fondo il Padre Eterno è uno solo e ognuno lo chiama a modo suo), io non riuscirò mai a comprendere la sua visione del mondo. Come possa un padre reputare doveroso assassinare quella che è carne della sua carne, non lo capirò mai. È vero, spesse volte il telegiornale ci presenta notizie raccapriccianti di madri che uccidono i propri figlioletti, di padri stupratori, di parricidi, di matricidi, ma ogni volta, in questi casi, l’unico senso che si riesce a trovare sta rinchiuso nella follia. A volte neanche in quella. Ma il punto è, a proposito dei propositi islamici, che non si può davvero interferire con idee, convinzioni, tradizioni così radicate e radicali e tanto diverse dalle nostre. Ma riprendiamo le fila del discorso.
L’intervento armato come missione di pace (che di per sé è già contraddittorio) allora, pare quasi la cronaca di un fallimento annunciato e assomiglia all’intervento della Santanchè (santa n’ de che!?) alla manifestazione di protesta anti-burka alla festa per il fine Ramadan presso la Fabbrica del vapore di Milano, dove l’ex-parlamentare ha rimediato una ‘contusione all’emitorace sinistro e una contrattura alla muscolatura latero-cervicale’ per aver tentato di strappare il burka ad una donna musulmana al fine di opporsi (lei, la Santanchè!) al potere che l’uomo islamico esercita sulla donna, per ‘lottare’, come ha dichiarato la moderna Antigone (o Lisistrata?), contro la supremazia di violenza che calpesta l’onore delle donne musulmane “perché gli uomini musulmani non hanno mai provato a stare sotto il burka, non sanno cosa significa respirare sotto quel lenzuolo” e osservare il mondo dietro una retina; e per tutta risposta una donna musulmana ha chiarito che l’obbligo in realtà non esiste (su questo avrei dei dubbi…) e che di fatto portare il burka vuol dire mostrare rispetto per la tradizione e la religione. Santanchè, che hai fatto? Poverina, credeva che con quel gesto da donna emancipata avrebbe buttato all’aria secoli di storia e tradizione! Povera sciocca. Non ha davvero capito che anche il suo è stato un atto di violenza, un volgare atto esibizionista contro la cultura di un popolo. Ma di che t’impicci? Forse volevi trasformarti in un’eroina, dato che l’incantesimo che t’ha resa sgualdrina e misera lacchè del potere politico non riuscirebbe a sciogliersi nemmeno se proponessi un dibattito politico solitario nell’unica trasmissione che riconosce questo sacrosanto diritto, tanto sacrosanto da proporsi come sola scelta per il telespettatore stanco che pensa di riposarsi davanti ad un buon programma offerto dal palinsesto dopo una lunga giornata di vero, duro lavoro. Ecco chi è il vero eroe.
Il mio blaterare non è mancanza di rispetto per i morti. Non fraintendetemi. Questa mancanza di rispetto permettetemi di individuarla, invece, nell’espressione di circostanza esasperata e forzata che i perbenisti mostrano in televisione quando accadono simili tragedie. Scorrono le bare e i volti dei familiari massacrati dal dolore, scorrono i volti ipocriti dei politici che tributando i funerali di Stato credono di aver assolto tutti i loro doveri. Camminano con l’occhio affranto, col lutto sotto il braccio per poi azzuffarsi alla prima occasione facendo credere che si curano realmente dei problemi della gente.
Adesso gli eroi sono i familiari delle vittime, i figli che hanno perso i padri, le madri che respirano piano sui corpi lacerati dal tormento, le mogli che non avranno più l’abbraccio del ritorno. Sono eroi anch’essi, sì: dovranno saper continuare a vivere portando nel cuore solo un ricordo.
* * * * *
Memorie eroiche
Mentre fredde lacrime disegnano
le tristi sponde di un viso eburneo e dolente,
un raggio di lungo spazio
penetra tra i riflessi sonori di un canto
accennato appena da bocche assenti.
La tua mano soldato, valorosa e forte,
si staglia tra le increspature dorate
di quel tramonto sconosciuto
in un paese velato dalle
polveri corrotte delle milizie armate.
Si può forse raccogliere la pena
nel petto delle madri e delle spose
che romite e stanche
si abbandonano al ricordo
caduto nella vastità allegorica
di un drappo tricolore?
Soldato, padre valoroso,
le tue gesta e i tuoi onori
vibrano nelle menti degli astanti che
miseri ed inermi
bramano soltanto
l’invasione poderosa
di un oracolo consolatorio.
[Diciotto novembre duemilatre]
Mentre fredde lacrime disegnano
le tristi sponde di un viso eburneo e dolente,
un raggio di lungo spazio
penetra tra i riflessi sonori di un canto
accennato appena da bocche assenti.
La tua mano soldato, valorosa e forte,
si staglia tra le increspature dorate
di quel tramonto sconosciuto
in un paese velato dalle
polveri corrotte delle milizie armate.
Si può forse raccogliere la pena
nel petto delle madri e delle spose
che romite e stanche
si abbandonano al ricordo
caduto nella vastità allegorica
di un drappo tricolore?
Soldato, padre valoroso,
le tue gesta e i tuoi onori
vibrano nelle menti degli astanti che
miseri ed inermi
bramano soltanto
l’invasione poderosa
di un oracolo consolatorio.
[Diciotto novembre duemilatre]
Sei stata straordinaria.
RispondiEliminaEsprimi con molta eleganza ciò che purtroppo pensiamo in pochi. Basta sentire uno dei TG, che presentano come eroi chi fa comodo al potere arrogante. Leggendoti respiro un pò d'aria pulita.
Grazie
MARTA
Mi inchino. Testo straordinario, che porterò a lungo con me, nei deflussi continui ed incandescenti dei pensieri. Spero davvero che la tua rubrica, carissima Federica, sia letta da tantissimi internauti, per liberare tante anime dal torpore e dal fango.
RispondiEliminaComplimenti sinceri.
Ogni venerdì, alimenti la mia coscienza critica. Grazie di cuore...
E che dire? Grazie a voi, Marta e Francesco, per il vostro tappeto rosso di lusinghe sul quale mi sembra di camminare con passo, oserei dire, etereo... Mi auguro di poter conquistare ancora la vostra attenzione in avvenire.
RispondiEliminaGrazie infinite.