Qualcuno mi ha fatto notare che ultimamente scrivo sempre più spesso in prima persona, privilegiando la materia autobiografica piuttosto che la considerazione delle flessioni ondivaghe della stagione politica. È vero in parte. Se pensava che il blog fosse un’appendice de L’Unità o de Il Manifesto ha davvero commesso un peccato d’ingenuità. Non si tratta di un’esigenza di disimpegno, dal momento che non sono mai stato così attento e vigile come in questo momento. Ho firmato l’appello di Repubblica per la libertà di stampa. Dal 1994 – quando avevo dieci anni già provavo a capire certe cose – il mio tasso di antiberlusconismo non è mai stato così elevato, al limite del vomito insofferente verso ogni etichetta. Conati di libertà esasperata. Disgusto etico. Il punto è un altro. Sono profondamente imbarazzato, le barriere del pudore sono state ormai scardinate. Ho difficoltà a proseguire i pasti dopo che il TG1 ha caricato l’obiettivo sui deliri di Gasparri o si è concentrato sull’eloquenza asservita del Capezzone di turno. Eppure non non ho mai avuto problemi di appetito. Preferisco ascoltare vecchie canzoni e leggere romanzi clandestini, rintanato nel mio rifugio. Prima o poi i barbari lasceranno lande di devastazione. Allora si potrà uscire.
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