La carriòlaUn solo popolo
Camminavano, l’uno dietro l’altro. Legati l’uno all’altro. Il sole africano bruciava la pelle e l’anima. Cosa sarebbe stata l’esistenza al di là di quell’oceano, lontano dal cuore pulsante di una civiltà ricca di storia e tradizioni… Il suono cupo del tamburo scandiva i passi sincronizzati di un popolo, e l’eco rimbombante nel petto era rotto soltanto dallo stridere di catene arrugginite e dal canto africano di una madre che cullava il proprio figlio sul seno.
La nave seguiva la sua rotta verso terre indefinite e i colori dell’Africa sbiadivano ormai dietro il velo d'ignoranza che sempre ha spinto l’uomo ad affratellarsi alle bestie.
Eppure le bestie non fanno alcuna distinzione tra una mano bianca e una mano nera. L’affetto di un cane è il medesimo a prescindere dalle varietà di colori. Cos’è che rende un uomo ‘superiore’ ad un altro? Rosso, il sangue scorre identico nell’uomo bianco come nell’uomo di colore, e nell’utero della donna bianca viene accolto l’uovo fecondato esattamente come in quello di una donna nera. Dov’è la superiorità dell’uno e l’inferiorità dell’altro? Qual è il metro di valutazione valido ad indicare un uomo migliore di un altro? Il colore della pelle, forse?
La traversata giungeva al termine dopo una infinità di giorni senza alcuna speranza, non volendosi considerare l’unica possibile: la morte. I passeggeri, non difficilmente, avranno avuto la sensazione di confondersi a delle vere bestie, accatastati com’erano e così ridotti a condividere spazi angusti, escrementi e odori nauseanti.
Scendevano dalla nave, di nuovo annodati l’uno all’altro. Gli astanti, di gusti delicati, si turavano il naso con le mani; certo loro, nelle medesime condizioni di disagio avrebbero continuato ad aver impresso sulla pelle l’odore di sapone e di biancheria pulita. Perché loro avevano un privilegio: erano del candido colore della purezza e della pulizia. Peccato che nelle viscere si delineasse il colore turbolento dell’immondo sterco umano.
L’uomo è schiavo dei suoi pregiudizi. Se solo ne fosse libero, se solo potesse seguire l’impronta della libertà di pensiero prima che 'la partitura chiuda il suo broccato rosso cadendo su una pausa…', prima che sia troppo tardi, prima che precipiti senza via di scampo nell’incongruenza di quell’idea folle e terribile secondo cui gli uomini non sono tutti eguali.
Fermatevi ancelle: dove fuggite alla vista d’un uomo?
Forse un nemico credete che sia?
Non esiste uomo vivente, né mai potrà esistere,
che arrivi al paese delle genti feace
portando guerra: perché noi siam molto cari agli dèi.
Viviamo in disparte, nel mare flutti infiniti,
lontani, e nessuno viene fra noi degli altri mortali.
Ma questi è un misero naufrago, che c’è capitato,
e dobbiamo curarcene: vengon tutti da Zeus
gli ospiti e i poveri; e un dono, anche piccolo, è caro.
Via, date all’ospite, ancelle, da mangiare e da bere,
e nel fiume lavatelo, dov’è riparo dal vento. [Omero - Odissea, vv. 199/210]
Presso gli antichi greci l’ospitalità era sacra. Essa costituiva una regola di convivenza civile, un dovere rituale. Non esistendo leggi scritte, le famiglie erano regolate da norme orali condivise da tutti. L'ospitalità rappresentava un legame durevole di solidarietà, che si manifestava con uno scambio di beni e favori. Si era obbligati a concedere ospitalità prima ancora di sapere l'identità dello straniero, posto sotto la protezione di Zeus. Il rapporto di ospitalità veniva sancito con una stretta di mano e con scambio di doni.
Considerare ciò che è avvenuto negli ultimi giorni in una nostra regione dell’Italia meridionale riempie l’anima di vergogna e di imbarazzo. Ciò che per Omero era considerato sacro è oggi esecrato e dileggiato. Al di là del comportamento di un buon padrone di casa, al di là del rispetto delle norme di una lodevole educazione, dovrebbe essere rispettato un altro e più sostanziale principio: quello della dignità dell’essere umano.
Considerate un uomo soggetto allo sfruttamento, un uomo che non vede corrispondersi il giusto salario per le faticose ore di lavoro compiuto; considerate un uomo oltraggiato, offeso, picchiato.
Può quell’uomo sostenere tutta questa ingiustizia senza ribellarsi una volta?
Non avrei mai pensato di poter condividere, un giorno, il pensiero che Pasternàk aveva esternato nelle battute finali del suo celebre Dottor Živago. Fu proprio quell’esternazione che mi portò a considerare malamente quel vecchio libro, non condividendone affatto, allora, l’infausto paragone che la penna dello scrittore andava balbettando tra le ultime pagine del suo romanzo.
Egli sosteneva, volendo scegliere un ottimo paragone per rappresentare la bambina (piuttosto bruttina, in verità, contrariamente alla prestanza fisica dei suoi due genitori) nata dall’unione illegittima tra Živago e Lara, che: “E’ successo più volte nella storia. Quello che era stato concepito in modo nobile e alto, è diventato rozza materia. Così la Grecia è divenuta Roma […]”.
Cosa c’è di peggio che vedere il proprio popolo scagliarsi contro un altro popolo, cosa c’è di peggio della miseria umana, della volgarità d’animo che sovrasta alcuni nostri compatrioti?
Che le parole di Pasternàk possano essere contrastate dall’atteggiamento nobile di quei calabresi che hanno fatto sentire la loro voce contro la tirannia mossa ai danni del prossimo, dei propri simili. Fin quando ci saranno folli che sosterranno il contrario ci renderemo continuamente colpevoli di quei rapimenti disumani che avvenivano sulle coste dell’Africa, quando l’uomo bianco credeva di poter governare il mondo con la violenza della clava.
Secondo un’antica usanza africana quando nasceva un bambino il padre, una volta deciso come chiamarlo, doveva completare l’imposizione del nome con un rituale.
“Stringendo il piccolo Kunta tra le braccia robuste, si portò fino al confine del villaggio e qui, sollevatolo al cielo, gli sussurrò: «Fend kiling dorong leh warrata ka iteh tee» (Guarda: l’unica cosa più grande di te)”. [A. Haley, Radici]
Potessero tutti gli uomini ricordare questa ammonizione universale.
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L'amore fraterno resti saldo. Non dimenticate l'ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli.
(Così Paolo di Tarso nella sua Lettera agli Ebrei)