La vita è esperienza, cioè improvvisazione, utilizzazione delle occasioni; la vita è tentativo in tutti i sensi. Donde il fatto, a un tempo imponente e assai spesso misconosciuto, delle mostruosità che la vita ammette
Georges Canguilhem



martedì 26 gennaio 2010

Son due notti che non chiudo occhio per via di un molare perforato da una carie piuttosto profonda. Stamane mi sono deciso ad affrontare di petto il problema e così ho chiamato il mio dentista di fiducia, col quale ho un rapporto di complicità informale. Con un intervento d'urgenza, senza appuntamento, ha anestetizzato, scavato, devitalizzato ed otturato la fonte oscura della sofferenza corporea degli ultimi giorni. Non potendo parlare né mangiare, scrivo.

Domenica sera c'era un freddo cane. Si respirava ghiaccio per le vie desolanti della città. Non avevo intenzione di vedere, come tanti, il derby di Milano, magari per offrire un omaggio insperato alle mie antiche simpatie interiste. Vado con quattro gatti al cinema a vedere l'ultimo film di Paolo Virzì, un regista che stimo tanto. Ricordo con simpatia alcuni suoi film che mi appassionarono lasciandomi una sensazione di soddisfazione: Ovosodo (1997), visione adolescenziale, Caterina va in città (2003), disillusione universitaria, N (Io e Napoleone) (2006), passatempo d'una infinita notte d'estate e Tutta la vita davanti (2008), visione tragica delle insidie dei nostri giorni.

Non avevo visto altri film di Virzì prima di domenica sera. La sala della proiezione era piuttosto deserta: in tutto eravamo in otto, infreddoliti e curiosi. Avevo letto sui quotidiani che si tratta di una pellicola capace di maneggiare le corde dei sentimenti senza sentimentalismi. Concordo perfettamente. In più il film è un omaggio a Livorno, alla sua storia dal 1971 ad oggi. Le città - siano esse stupende o squallide - possono salvare o uccidere. Possono dilatare il cupo grigiore dell'anima o elevare lo sguardo sulla capacità di tornare a vivere. Livorno con il suo mare salva un depresso docente di italiano di un anonimo istituto alberghiero milanese dalla ripetizione infinita delle giornate, dalla vitalità eccentrica della compagna, dalla dipendenza da palliative sostanze stupefacenti. Livorno salva il depresso sconfitto dal suo passato, che si intreccia con la bellezza folgorante e pornografica di una madre capace di amare al di là delle apparenze (Micaela Ramazzotti-Stefania Sandrelli). Una madre addolcita dall'insostenibile leggerezza dell'essere. Nei momenti più difficili ha stretto a sé i propri bambini (troppo coscienti dell'ordine dell'esistente), dicendo: "Bimbi ora facciamo una cantatina". Il motivetto che dà il titolo al film diventa così il leitmotiv della forza di sopravvivere a se stessi e alla derive alle quali può essere sottoposto anche un cuore puro. La madre che ha rovinato la vita dei figlioli, alimentando la conservazione nel cuore di traumi irrisolti, è una malata terminale che con indomito coraggio non si rassegna all'evidenza dell'approdo all'ultima ora. Il martirio della madre è la condizione di un'espiazione, principio di salvezza e di resurrezione morale, nel mare livornese.

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