La vita è esperienza, cioè improvvisazione, utilizzazione delle occasioni; la vita è tentativo in tutti i sensi. Donde il fatto, a un tempo imponente e assai spesso misconosciuto, delle mostruosità che la vita ammette
Georges Canguilhem



giovedì 24 dicembre 2009

Auguri, con una riflessione

La Notte del Santo Natale che sta per iniziare può suggerire alcune considerazioni. Il valore della festa non si esaurisce nelle file infinite dei centri commerciali, negli odori invadenti delle cucine, nell'incenso amaro delle cattedrali. Non può essere mistificato dal sorriso perbenista che magari può far scivolare eccezionalmente un obolo di compassione nelle mani nere del mendicante. Perchè vale l'adagio secondo il quale a Natale son tutti più buoni. Non si riflette nei prosit, nei baci scambiati con gente che ognuno di noi si sognerebbe di baciare in qualsiasi altro momento dell'anno o nelle sinfonie di sempre ripetitive fino alla rivolta della coscienza. Centinaia di filmetti e ricordi di interminabili sere d'infanzia ci hanno ormai assuefatti alla monotonia delle emozioni e alla pigrizia del cuore. Recitiamo parti di un copione che conosciamo da sempre a memoria . L'autentico spirito cristiano non coincide sempre con i pregiudizi propagati dalla Chiesa Romana o con le gesta di quei personaggi illustri ed esimi che ostentano la loro professione di culto soltanto per tutelare determinate relazioni altolocate ed apparire come le anime pie, devote, timorate del Signore. E' incompatibile con il regime commerciale del supermarket della fede. In queste ore un pensiero va dedicato a quanti sono lasciati in penombra dalle luminarie accecanti, distanziati dal proscenio delle canzoncine intonate da voci angeliche. Il Natale è la maledizione degli emarginati. Tante anime oscure in queste ore stanno soffrendo più del solito e del dovuto. Chi ulula in una struttura psichiatrica avvolta dalla nebbia, chi dorme negli scompartimenti delle metropolitane o in un'auto abbandonata da sempre davanti alla Stazione Centrale, chi cerca riparo sotto i cavalcavia della tangenziale, chi passeggia per i corridoi anonimi della propria piccola dimora implorando l'orologio di terminare in fretta i propri giri, chi piange senza conforto. RitrattI di solitari per scelta o nemesi, depressi, angosciati, emarginati, diseredati, emarginati, clandestini, apolidi, falliti d'ogni genere e condizione, internati e reclusi. In questi giorni provano ancor di più il senso della loro vacua leggerezza esistenziale. Gente che non indide nulla. La società dei consumi non li considera, non può considerarli, dal momento che la loro esistenza basta a provare inconfutabilmente un inesorabile fallimento sociale. Il mondo capitalistico non è il migliore dei mondi possibili, forse è il peggiore. Non esistono. Non possono nè devono esistere. Le attenzioni del potere entrano nei ristoranti esclusivi, nei santuari consacrati a Nostra Signora dell'Ipocrisia, nei salotti scintillanti degli amici che contano. Nausea, nausea, nausea....!!! Lasciateci respirare!!! Nisgusto infernale, . . . come se si fosse inghiottito fango e . . . Nessuno può mostrare o svalare le regioni e la ragioni del sottosuolo, ciò che le vetrine addobbate dei negozi dei corsi principali non osano neppure riflettere. Sono ombre notturne, simulacri di foschia onirica, l'incubo di diventare qualcuno o qualcosa del genere. E' sufficiente dedicargli un pensiero per elevare il senso autentico della morale cristiana, checchè predichino i preti domani. Se fosse con noi, Cristo trascorrerebbe con loro il suo compleanno nella notte che sta per iniziare.

***
Lacrime lacrime non c'è ne mai abbastanza
quando vien su la scoglionatura,
inutile dire cuore mio spaccati a mezzo come un uovo
e manda via il vischioso male
quando ti prende lei la bestia non c'è da fare proprio nulla
solo stare ad aspettare un giorno appresso all'altro.
E quando viene comincia ad attaccarti la bassa pancia,
quindi sale su allo stomaco e lo agita in tremolio di frullatore
e poi diventa ansia che è come un sospiro trattenuto
che dice vengo su eppoi non viene mai.

La citazione è tratta da Altri libertini (1980) di Pier Vittorio Tondelli. Si tratta di un passo che amo alla follia; spesso lo richiamo quando ho l'umore in cantina. La bestia di Tondelli è la depressione giovanile. Lo stato depressivo può valicare il limite patologico della pena individuale per assumere connotazioni sociali, delle quali sono portatori latenti proprio le sentinelle notturne, gli alienati della Notte Santa, una notte come infinite altre monotone notti per loro. Notti di rabbia e di stelle. Notti di pianto e di urlo. Notti di tanfo e di pena. Notti di gelo e di mare. Notti di morte. Nelson Algren ha scritto (con buona ragione!): "I politici e gli intellettuali mi annoiano, mi sembrano irreali; la gente che frequento è quella che mi pare vera: puttane, drogati, ladri, gli unici rimasti con qualcosa da dire e nessuno a cui dirlo". Auguri libertari a tutti, . . .

venerdì 18 dicembre 2009

Contro l'ipocrisia telematica
Facebook è senza dubbio uno dei fenomeni sociali del momento. Tutto lascia intendere che non rappresenti una moda passeggera, un passatempo che alla lunga possa stancare. Per questa ragione, può essere inteso come un fenomeno sociologico ed antropologico. Qualcosa da non sottovalutare o minimizzare, dicendo magari: "Son cose da ragazzi!". Decine di conoscenti ed amici non si stancano di ripetermi: "Quando ti decidi a registrarti? E' da un po' che cerco di chiederti l'amicizia...". Chiedermi l'amicizia? Il più nobile sentimento morale dell'uomo viene ridotto a questioni di click e, così, inesorabilmente deformato. E' un dato di fatto che in seguito alle cocenti disillusioni degli anni '60 e '70 la possibilità di coltivare sogni collettivi si sia progressivamente estinta, lasciando il passo ad uno sfrenato individualismo, svuotato di ogni contenuto etico ed altruistico e connotato, piuttosto, dall'esaltazione delle apparenze e di fantastici gusci che includono - nel migliore dei casi - marciume nauseante. Le utopie sono state sostituite da un faccione ritoccato o dalla ricercata esposizione di tette, petti, ect. Tempo fa mi è capitato di sentire sulla metropolitana una ragazzina che si vantava di avere 437 amici. Non so cosa mi ha trattenuto dal dirle: "Senti belloccia, mi dici quale dei 437 amici verrà a soccorrerti durante la prossima crisi isterica?". Se avesse pubblicato una foto "normale", quanti sconosciuti le avrebbero richiesto l'amicizia? Proprio così. Non reggono affatto le giustificazioni ripetute all'infinito dagli internauti più pudichi che mostrano (almeno si spera...) la faccia: "Ho un'amica in Nuova Zelanda e quindi mi conviene", oppure "C'è mio cugino alle Antille e così lo posso sempre sentire", anche se la più fantasmagorica è: "Lo faccio per non perdere di vista gli amichetti delle elementari...". Con le frenesie della vita quotidiana, incerta e precaria, vorrei che qualcuno mi spiegasse per quale ragione dovrei includere nel mio spettro visivo sconosciuti che non vedo dal 1996 e che ovviamente non sanno neppure chi fossi o che, nel caso in cui si ricordassero vagamente di me, non avrebbero alcun interesse a sapere se riesco o meno a sopravvivere. Che vinca il Nobel o che venga travolto domattina dal primo Tir fa lo stesso. Facebook non è ovviamente un gioco da ragazzi: con sconcerto ho scoperto che anche docenti universitari insospettabili consumano i loro pomeriggi nel circolo delle possibilità infinite. Ad ogni modo, è arrivato il momento di tentare di comprendere le ragioni di tanta fortuna. Sono varie. Anzitutto, Facebook è una finzione condivisa che induce l'utente ad autoingannarsi: si convince di non essere solo al mondo e di avere ad un passo dalla tastiera un esercito di anime pie pronte a mobilitarsi, se fosse necessario. In secondo luogo, si tratta di un autentico bordello: il carattere più o meno esplicito della fotografia è un fedele indicatore del grado di disponibilità sessuale della tipa o del tipo che si intende sedurre e poi, il giorno dopo, "bloccare" e quindi dimenticare. La terza ragione si lega, invece, alla possibilità di allestire una vetrina personale di autopromozione con la quale vendersi al miglior acquirente; l'oggetto della promozione è quasi sempre più scadente rispetto alle sue apparenze. La regola non scritta di Facebook è nella massima: fai in modo di apparire più bello, più bravo, più seducente di quanto tu non sia o possa lontanamente sperare di essere. Si tratta di un principio che sta corrompendo un'intera generazione di teenagers, rincitrullendo schiere di quarantenni senza speranze e di cinquantenni focosi. Facebook è l'elogio della dissimulazione come unica pratica di vita possibile nella giungla postmoderna. Questo è davvero il tempo dei saldi di fine stagione. Sulla base dell'argomentazione sostenuta è lecito sostenere che Facebook sia il più comodo rifugio degli sfigati, siano essi di destra o sinistra, eterosessuali o omosessuali, intelligenti o idioti da bar sport.
La carriòla

Cianfrusaglie...


Ma no, no! perché continuare a rivangare sull’episodio di domenica…no, basta così. Insistere sull’argomento anche in questo contesto significherebbe cedere alla sagra delle ovvietà. Come sarebbe, cosa intendo dire? Semplicemente che cadrei nel luogo comune delle banalità se decidessi di indirizzare anche la mia malconcia carriola verso il sentiero già battuto e lastricato ben bene dell’attentato casereccio di Piazza del Duomo. Già il Duomo…
Basta commentare le scene dell’aggressione mille e una volta proposte dalla televisione, dalla carta stampata e dall’immancabile plastico da salotto che Vespa costruisce nel momento esatto in cui gli comunicano l’ennesima notizia di cronaca (nera).
Come dici, basta violenza? Be’, sono d’accordo. Anche perché se non t’allontani all’istante credo che mi metterò ad urlare per un attacco di bile!
Caro lettore (per pessimismo cronico credo sempre di rivolgermi ad un pubblico ristretto. Immagino che a parte Francesco e Marta, sarà sicuramente poco numeroso il mio parterre d’ascoltatori), dunque… caro lettore, perdona l’incomprensibile dialogo che m’ha rubato il prologo di questo nuovo, fulminato articolo. Come sempre e nei momenti meno opportuni salta fuori quella povera vecchia pazza di casa che osa chiamarsi coscienza. Intendeva suggerirmi un discorsetto sugli ultimi avvenimenti che c’hanno tempestato timpani e retine oculari, ma io, non avendo alcuna intenzione di battibeccare su quest’assurda vicenda, procedo per conto mio senza fornire opinione al riguardo. Già mi pare si sia scatenato un inferno sulla fantasia psicolabile di un folle dalle tasche colme di souvenir e in proposito qualcuno ha proposto il seguente aforisma: “Nel Vangelo c’è scritto: ‘Chi non ha peccato, scagli la prima pietra’. Il pazzo, credendo d’essere savio ha condannato l’adultero”. Ma ora, prego, non andiamo oltre. Restando, però, in tema di violenze verbali da diradare, lasciatemi ancora uno spazietto, un angolino contenuto dove – lontana dalle grinfie di sua Perfezione la Coscienza – poter urlare tutto il mio barbarico imbestialimento contro un deficiente che crede di essere uno scrittore. Se non ricordo male la settimana scorsa a conclusione dell’articolo, vi consigliavo di mettere sotto l’albero di Natale un buon libro che aprisse la mente a nuovi mondi e a nuove scoperte. Be’, sottolineo buon libro. Dove voglio arrivare? Oh, semplicemente a SCONSIGLIARVI l’acquisto di un romanzo squallido e senza spessore (a parte il numero delle pagine) che ha per titolo: ‘La cattedrale del mare’. Flaccido, nojoso, senza alcun mordente, alla novantesima pagina decido di lasciarlo marcire nel dimenticatoio in attesa del suo prossimo trasloco verso le pareti incandescenti di un bel focolare. Ah, ecco il mio attentato dicembrino! E ho pure letto che qualche lettore dell’immondo romanzo, stimandolo oltre misura, lo ha posto sullo stesso piano de Il nome della rosa di Umberto Eco! SACRILEGIO! (Chi ha letto le avventure di Adso e di Fra Guglielmo sa cosa intendo).
Uh, no-no. Sta per risalirmi sul volto il colore giallognolo della bile, e col bianco pallido che mi contraddistingue non sposa affatto bene…
Mio caro empiastro d’un Ildefonso Falcones (tale l’autore del flagello letterario) ti consiglierei vivamente di continuare con quell’altra attività che forse ti si addice meglio, l’avvocatura. Solo, temo che anche le tue arringhe presentino lo stesso tepore flaccido delle invenzioni fatali ricamate a mo’ di perdita di tempo negli spazi vuoti a lato dei tuoi testi di diritto. Lascia il mestiere di scrittore agli scrittori veri, non tentare la fortuna, potrebbe caderti una tegola della cattedrale sulla testa.
Io, per riprendermi dallo shock causatomi dal tuo romanzo, ho deciso di tuffarmi nel mondo incantato di un altro spagnolo (scrittore autentico, stavolta) e del suo caro figlioccio che, mosso da amore verso il prossimo, affronta i mulini a vento e si batte in singolar tenzone per salvare l’onore della sua donzella Dulcinea del Toboso!
Ora vago per le strade della Mancia con Don Chisciotte e il suo scudiero Sancio Panza, i miei prodi cavalieri che m’hanno salvata dalla follia imperitura di un Ildefonso qualunque. Che il diavolo ti porti senza dimenticare per strada quell’altro genio di Dan Brown! Tutt’e due avreste bisogno di leggere qualche libro serio prima di decidere di pubblicarne uno dall’elevata incapacità letteraria.

domenica 13 dicembre 2009

Qualcuno stacchi la spina Capezzone, Gasparri e le altre cicale asservite e pagate ad ore avranno un gran lavoro nei prossimi giorni. Certamente saranno agevolati dai montaggi dei TG più seguiti. Ad ogni modo, avranno il compito di farlo passare per un redivivo Cristo flagellato ed agonizzante, per conquistare magari la compassione di qualche vecchietto che non è ancora caduto nella trappola del TG4. Altri portavoce e portaborse dovranno invece ridurre quanto è successo qualche ora fa agli effetti dell'azione di uno squilibrato, di un nevrotico turbato dalla vigorosa violenza verbale delle sinistre marxiste, dai proclami terroristici di Di Pietro e dalla caccia allo stregone mobilitata da toghe sempre prevenute. Le cose non stanno così. Per averne una prova è sufficiente leggere i siti dei più autorevoli quotidiani internazionali. Le piazze iniziano a svegliarsi. Mentre il principale partito d'opposizione continua ad essere immerso in un sonno profondo ed infinito, in uno stato crepuscolare permanente, alcuni cittadini iniziano a capire e ad agire. Non mi riferisco all'uomo che lo ha colpito. Penso piuttosto all'Onda viola del No Berlusconi Day e a quanti lo contestavano pacificamente a Milano. Le azioni violente sono ingiustificabili ed inutili. Lo rafforzerebbero, allungando le speranze di sopravvivenza del suo governo di farabutti e contadinotti leghisti. Bisogna contestarlo nel pieno rispetto della legalità: urlando affinchè finalmente cada il sipario, mentre il teatro crolla.

sabato 12 dicembre 2009


Senta Casini . . .

La notizia del giorno coincide con la sua apertura rispetto alla possibilità che si costituisca un nuovo Fronte Popolare per la democrazia, un esercito invincibile degli oppositori contro Berlusconi e i suoi cani scodinzolanti ed asserviti. Non trova che la sua proposta sia piuttosto irrituale, considerati lo scudo crociato che si onora ancora di conservare e il suo passato, onorevole, di alleato storico del Grande Imbroglione? Non ricorda le vicende degli ultimi anni? Quando lei era un alleato dei berlusconiani, non sosteneva che l'Unione di centrosinistra fosse un'accozzaglia confusa tenuta insieme dal solo collante dell'antiberlusconismo? Adesso il Partito Democratico appare il partito meno antiberlusconiano fra le forze di opposizione. E lei, cosa fa? Si inventa garibaldino? Piuttosto che giocare, abbia il coraggio di dirci a cosa mira, sfruttando abilmente il torpore vegetativo di Bersani & C. e il malcontento degli Italiani che non sono stati plagiati dal TG1 dell'impresentabile Minzolini . . .

venerdì 11 dicembre 2009

Pieghe libertarie, un anno dopo
Non avendo proprio nulla di meglio da fare, il 12 dicembre 2008 mi venne la bizzarra idea di creare un account su Blogger. In realtà, era da un po' di tempo che mi frullava in testa l'idea di creare uno spazio virtuale di interazioni, confronti, scambi di opinioni. Un forum, dunque. Sulla conformazione che il blog avrebbe dovuto assumere avevo le idee piuttosto chiare: non doveva essere limitato dalla trattazione esclusiva di tematiche filosofiche e non doveva essere per nessuna ragione personale, autoreferenziale. Per intenderci, non avevo alcuna intenzione di allestire una vetrina di autopromozione. C'è chi lo fa. Io credo che sia un'espressione di prostituzione intellettuale. Per questa ragione, mi sono presto preoccupato di imbarcare sulla stultifera navis delle pieghe libere del pensiero persone pensanti con le quali condividere un percorso di comprensione comune dei decorsi problematici declinati dalla nostra epoca incerta e maledettamente precaria. Gli anniversari richiedono bilanci. Non ho alcuna intenzione di farne. Credo che ne sia valsa la pena. Mi attengo ai fatti: in 364 giorni sono stati pubblicati 155 post. Il blog non ha mai vegetato e non è andato mai in vacanza. Che l'avventura continui pure, allora (se voi, carissimi amici, la pensate come me...).
La carriòla

La fragilità del verbo


Oggi La carriòla avverte la necessità di portare a vostra conoscenza un articolo-inchiesta pubblicato qualche giorno fa su di un quotidiano nazionale. Evitate eccessi d’ira e faccette da annoiati impenitenti… Lo so, siamo alle solite. Ditemi pure che io ho una vera mania, una traboccante ossessione da folle maniaco. Ditemi che ho superato la misura e che non ne potete più di sentir parlare (ops, leggere) di argomenti di tal fatta. Potrei anche darvi ragione, ma il quadro della situazione è davvero imbarazzante e, oserei dire, catastrofico. Insomma, non avete ancora capito? Be’, non avete tutti i torti: non è mica facile districare un discorso del genere. Comunque, bando alle ciance e affrontiamo l’argomento senza perdere un minuto di più. L’articolo riguarda l’uso s-corretto della grammatica italiana, o per meglio dire, l’uso sconosciuto della grammatica italiana. Non ritengo sbagliato considerare uno degli obiettivi de La carriòla il promuovere, assecondare e incentivare l’idea di dedicarsi, ogni tanto, alla lettura di un buon libro.
Ma ecco a voi l’articolo in questione.

Io cossi tu cuocesti egli cosse: cos'è 'sta roba? Piccolo esame di verbi: "Se io sarebbe più abile, tu mi affiderai una squadra". Ma anche: "Se tu saresti più alto, potessi giocare a pallacanestro". Nel cimitero dove giacciono, insepolte, sintassi e ortografia, accenti e apostrofi si confondono in un'unica insalata nizzarda di parole: "Non so qual'è la prima qualità di un'uomo". E tutto questo accade, si legge, si scrive all'Università. Test d'ingresso per le facoltà a numero chiuso, anno di disgrazia 2009: alcuni degli aspiranti dottori del terzo millennio hanno risposto così. "I giovani che arrivano dalle scuole superiori sono semi-analfabeti", ha dichiarato il magnifico rettore dell'ateneo bolognese,Ivano Dionigi. E chi ha già superato il traguardo della laurea non sta poi tanto meglio: secondo una ricerca del Centro Europeo dell'Educazione (CADE, o forse sarebbe meglio dire casca: l'asino), l'otto per cento dei nostri laureati non è in grado di utilizzare pienamente la scrittura. Anzi, peggio: 21 laureati su 100 non vanno oltre il livello minimo di decifrazione di un testo. Cioè, se proprio va bene riescono a far partire la lavastoviglie leggendo le istruzioni, oppure intuiscono le controindicazioni dell'aspirina. Ma di più no. Ancora: un laureato su cinque non riesce a dirimere un'ambiguità lessicale. E un laureato su tre ha meno di cento libri in casa, quasi sempre quelli che ha (più o meno) sfogliato per arrivare al pezzo di carta. Ma su quella carta, troppo spesso è come se fossero impressi geroglifici. E non parliamo poi di quando è necessario scrivere un testo.
Per questo, molti atenei hanno deciso di organizzare corsi di recupero di italiano per le matricole: grammatica e sintassi, cioè argomenti da prima media. "I ragazzi non conoscono il significato di espressioni lessicali banalissime", spiega Pier Maria Furlan, preside di Medicina 2 a Torino, dove appunto si torna sui banchi quasi per fare le aste, e per ripassare (o per studiare?) il congiuntivo. "Credetemi, è una situazione da mettersi le mani nei capelli. Per fortuna, gli studenti sono abbastanza consapevoli dei propri limiti: gli iscritti ai corsi di recupero sono oltre 35 su cento". Come nasce lo "studente analfabeta"? Quando comincia a diventarlo? "I guasti iniziano nella scuola dell'obbligo", risponde Tullio De Mauro, il padre degli studi linguistici italiani. "Il buonismo degli insegnanti ha fatto grossi danni, ormai si tende a promuovere un po' tutti e non si sbarra il passo a chi non è all'altezza. Ma il disprezzo per la lingua italiana risiede anche in certi romanzi di nuovi autori, pieni di parolacce e di inutili scorciatoie, e nel linguaggio sempre più sciatto dei giornali dov'è quasi scomparsa la ricchezza della punteggiatura". Insomma, oggi s'impara poco anche leggendo. E si studia male. "Credo che il predominio dell'inglese stia nuocendo all'uso dell'italiano", sostiene il noto linguista Gian Luigi Beccaria. "Ormai è necessario alfabetizzare adulti e ragazzi, e la colpa è di un intero percorso scolastico che non sempre funziona. Le lacune nascono da lontano. Inoltre, l'uso esclusivo di telefoni cellulari e computer come strumenti di comunicazione non aiuta la nostra lingua: l'italiano sta regredendo quasi a dialetto". Lasciando perdere gran parte della narrativa italiana contemporanea, dov'è possibile far tesoro della lingua giusta? "Leggendo o rileggendo autori esemplari per pulizia dello stile e chiarezza: penso a Primo Levi, a Calvino, ma anche a Pirandello e Pavese, oppure al Fenoglio di Primavera di bellezza, mentre Il partigiano Johnny è più complesso". Secondo recenti e sconfortanti statistiche, il venti per cento dei laureati italiani rischia l'analfabetismo funzionale, cioè la perdita degli strumenti minimi per interpretare e scrivere un testo anche semplice. E la percentuale sale tra i diplomati: trenta su cento possono diventare semi-analfabeti di ritorno. Una delle cause può essere l'abbandono della grammatica e della fatica della sintassi: già alle medie non si studiano quasi più, figurarsi al liceo. Nella scuola superiore, ormai pochissimi insegnanti si sobbarcano la correzione di trenta temi pieni di bestialità, una fatica tremenda e scoraggiante. E guai se non si promuove chiunque: scatterà la reazione anche violenta delle famiglie (sempre più spesso si rivolgono all'avvocato per rintracciare vizi di forma nei registri, anche dopo la più sacrosanta delle bocciature dei loro pargoli). "Siamo molto preoccupati", dice Franca Pecchioli, preside di Lettere a Firenze. "Se gli studenti non sanno dov'è il Mar Nero, beh, è grave ma glielo possiamo insegnare. Ma se non sono in grado di seguire la spiegazione di un docente perché ignorano il significato di certe parole, allora è peggio". Ha un suono sinistro anche la testimonianza di Elio Franzini, preside di Lettere alla Statale di Milano: "L'anno scorso, insegnando ai primi anni di filosofia chiesi chi avesse letto Proust, e alzarono la mano in tre. E quasi nessuno sapeva chi avesse scritto Delitto e castigo". Invece è palese il delitto nei confronti della lingua italiana, o di quella che dovrebbe essere la formazione universitaria: tra i paesi industrializzati, solo Messico e Portogallo stanno peggio di noi. Vale forse la pena ricordare che in Italia soltanto 98 persone su mille acquistano ogni giorno un quotidiano, mentre in Giappone sono 644. Un problema di formazione, o di scarsa informazione? "Siamo di fronte a un'autentica violenza nei confronti della parola", risponde Giovanni Tesio, critico letterario e docente all'Università del Piemonte Orientale. "Ma non dipende solo dalla scuola: la colpa è anche delle famiglie e dei modelli culturali. La prevalenza dell'immagine porta a una disattenzione verso i testi, e comunque è vero che mancano le basi. Me ne accorgo correggendo tesi di laurea non solo scritte male, quello sarebbe il meno, ma anche piene di strafalcioni. Perché per decenni si è demonizzata la grammatica, come se tutto dovesse essere facile e divertente. Ebbene, a scuola non tutto può né deve esserlo. Un'altra fesseria è credere che la grammatica s'impari leggendo, quello è un universo che non accetta usi strumentali". Ma l'analfabetismo dei laureati può essere arginato? "Siccome la letteratura è il luogo in cui il senso della complessità diventa più forte, io la insegnerei anche nelle facoltà scientifiche". Forse in Italia manca un vero sistema di educazione per adulti, non siamo più capaci di aggiornarci, allenando cervello e conoscenza come se fossero muscoli. La faciloneria portata da Internet, strumento meraviglioso e banale, ricco di potenzialità ma anche di comode tentazioni, ha ormai diffuso una specie di cultura del "copia e incolla", attraverso l'utilizzo di una lingua spesso piatta e tutta uguale, riprodotta all'infinito. Molti esami scritti, all'Università, vengono condotti come i test per la patente, mettendo crocette su un questionario; e le relazioni degli studenti procedono con "Powerpoint", un altro strumento che riduce la dialettica a riassunto di qualche schema, sillabando quattro parole. "Abbiamo vastissima conoscenza orizzontale e istantanea, però non siamo più in grado di approfondire, di scendere nel cuore delle cose", conclude Tesio. Il sessanta per cento degli italiani non ha mai letto un libro (anche se molti di loro, purtroppo, hanno provato a scriverlo). E non è affatto vero che "val più la pratica della grammatica". Altrimenti non sarebbe possibile che 45 laureati su cento ignorino qual è (scritto senza l'apostrofo) il passato remoto del verbo cuocere.
[La grammatica è un'opinione, tratto da Repubblica dell'8 dicembre 2009]

Che ne dite? Sconvolgente, no? Ovviamente l’avervi proposto la lettura di quest’articolo non vuol dire affatto che voi lettori apparteniate alla categoria dei cattivi conoscitori della lingua italiana. Me ne guarderei bene dall’affermare una tale sgarberia! È solo che in quest’articolo ho potuto trovare confermata la mia impressione riguardo a tutte quelle persone laureate di mia conoscenza che disdegnano un po’ quella dovuta attenzione nei confronti di una lingua tanto complicata e interessante come quella italiana; probabilmente l’unica cosa che resta da osannare in questa povera penisola senza nessuna identità. Spessissimo m’è capitato di osservare come riuscissero a cadere in basso - grammaticalmente - laureati, liberi professionisti e tanti altri pessimi esponenti del loro bel diploma sistemato nella fatiscente cornice dell’ignoranza e della faciloneria. Quest’articolo m’ha mostrato quanto c’era di vero nelle mie impressioni e nei miei punti interrogativi disegnati a bella posta sulla mia testa.
A questo punto tiriamo le fila (e non i fili!) del discorso. Dato che tra qualche settimana è Natale e sicuramente, sin da ora, si comincia ad avvertire la crisi nervosa del regalo opportuno da comprare, perché non ci lasciamo guidare dal pifferaio magico che ci conduce verso la porta fantastica che si apre sulle pareti colme di una ben fornita libreria? La sottoscritta, purtroppo, non abitando in una grande città, non gode di una vastissima scelta a cui affidarsi e perciò quando le capita di allontanarsi per un po’ dalle mura domestiche e di aggirarsi nei dintorni di importanti librerie, non esita a lasciarsi andare all’acquisto matto e disperatissimo di una carriola di libri che emanano l’odore della scoperta e della conoscenza.
E come dice quel motto: "Chi legge, guarda lontano". Buon viaggio!

giovedì 10 dicembre 2009


Gli argomenti si riducono. La noia prende il sopravvento. Comincia ad annegare nella sua stessa solfa. Non potendo fare a modo suo continua a puntare il dito contro i garanti della giustizia. No. Un argomento nuovo ce l’ha. Stravolgere a proprio piacere la Carta Costituzionale! Macché, l’ha già ipotizzato da tanto, troppo tempo… e l’Italia sta a guardare mentre qualcuno fischia il requiem.

venerdì 4 dicembre 2009

La carriòla


Cadute di stile

Gentilezza ci vuole, gentilezza. È talmente paradossale il periodo storico che sta attraversando le membra della nostra cara Repubblica che soltanto facendo appello alle regole della buona educazione e al bon ton maccheronico si può tentare, dico tentare, di non lasciarsi andare ad imprecazioni e a volgarità boccaccesche.

Ci vuole davvero una dose colma di serenità interiore e di filosofica indulgenza per non ribellarsi come indiani agli attacchi di Carter quando si presta orecchio alle vicende che saltellano tra le pagine di quotidiani, canali televisivi ormai recuperabili solo con la tecnica del digitale e talk show sempre più odiosi e maleducati. Sarebbe una buona idea quella di fregarsene del sistema digitale e godere dell’oscurità dello schermo televisivo: si eviterebbero, così, tutte le insalubri fecondità dell’arte (eufemismo) di fare televisione. Lo so, avete ragione, c’è sempre il telecomando a cui appigliarsi per uscir fuori dalla macchia indecente che si riflette sui nostri volti stralunati…ma perché, davvero ci sono alternative? D’accordissimo con Mirza quando attacca l’idiozia dei quiz televisivi. Ma fosse solo quello! Non so se v’è mai capitato di assistere ai ‘dibattiti’ che imperversano in televisione durante questi pomeriggi autunnali. Obbrobrio è dire poco. Ritorniamo un attimo all’idea prima dell’articolo. La gentilezza. Ma Santi Numi! Accendi la televisione e quei pazzi furiosi ti entrano in casa con escandescenze verbali, urli satanici, opinioni tutt’altro che logiche e ragionevoli, quasi si azzuffano come neanche gli uomini primitivi prima di diventare sapiens! Ma, insomma, che diavoleria è mai questa? E qualcuno impone la gentilezza ai pubblici impiegati. Io ne farei la bandiera dell’esistenza civile, e in ogni occasione, non solamente dietro la scrivania di un ufficio (vogliamo dimenticare le sgarberie che si incontrano in alcuni negozi o il menefreghismo iperbolico degli automobilisti o ancora l’assoluta caduta di memoria a proposito dei beneducati buongiorno, buonasera e dell’altrettanto gradevole risposta all’augurio che pure pare quasi scomparso nella fuliggine dei cervelli troppo impegnati a restar serrati nella loro pochezza? Provate ad entrare in luogo pubblico - ad esempio, uno studio medico o qualsiasi altro luogo in cui ci sono più persone in attesa - e a volgere il vostro saluto agli astanti… su una decina di persone forse soltanto quel tizio seduto nell’angolo vi degnerà di una risposta e neanche ad alta voce ma quasi tra i denti!).

Grazie all’evoluzione tecnologica è possibile ‘rubare’ anche quei pensieri che si ritiene di rendere noti solo al proprio vicino e che poi scopri siano entrati nel sapere comune di tanti e solo perché, molto elegantemente, qualcuno s’è preso la briga di registrare ciò che s’è detto quasi sottovoce. Una volta si considerava maleducazione origliare, spiare. Oggi tutto è possibile, oggi non ci sono più regole e il galateo se ne va al diavolo con l’universo infinito delle sue stramaledette regole da ricordare.
Bisognerebbe saper conquistare quella tranquillità spirituale sulla quale i monaci tibetani hanno costruito tutta la loro essenza. Ma chissà perché, appena si viene attaccati dalle opinioni degli altri, tac!, subito si risponde col contrattacco! E allora ti auguri di strozzare tutti quei poveri asini (massimo rispetto per la categoria, eh! Animale degnissimo che per un brutto scherzo del destino s’è visto appioppare quest’antipatico insulto senza motivo. L’asino è testardo. E allora?, è uno che ama le proprie opinioni!) che si son permessi di ‘scherzare’ sulle fantasie di un uomo soggetto al pentimento assolutorio. Scherzi della società moderna in cui tutto è possibile, tutto è gaio e giocoso. Anche i dittatori lo sanno. Ormai si invitano alle feste, gli si concede di portare con sé un centinaio di oche giulive bellocce e stordite alle quali viene regalato, terminato il party, un Corano con le seguenti incomprensibili parole d’accompagnamento: “Ricorda bella, il Corano è uno, i Vangeli sono quattro!”. ?!? Si sta perdendo il senso dell’orientamento?
Un padre consiglia al proprio figlio di espatriare, di lasciare l’Italia perché questa nazione non lo merita. Già. Mentre merita tutti gli altri milioni di deficienti che decidono di restare, nonostante tutto, magari in memoria di quell’altra storia, quella vera che si studia (o studiava?) a scuola, quella dei veri uomini, dei veri conquistatori della verità, dell’unità d’Italia, dei galantuomini, che non s’ingiuriavano solamente perché appartenenti a fazioni politiche diverse, ma che cercavano il dialogo e il confronto per il bene del Paese. Chi decide di restare decide di combattere il sistema dilagante dell’assurdo e dell’inetto. Anche se è poco, anche se il muro dell’ignoranza è alto.
Gentilezza ci vuole, gentilezza. Anche per mandare al diavolo i dissacratori della giusta Educazione.

martedì 1 dicembre 2009

SE COME ME ODIATE LA TV SPAZZATURA MADE IN ITALY

Vi propongo il seguente interrogativo: perchè qualcuno dovrebbe rispondere alle domande (livello idiota) proposte dai programmi quiz della rai e della mediaset? Pensate a quelle moltitudini (magari alcuni di quelli che leggono il post) che si precipitano a cercare su internet la risposta da inviare via sms, al meccanismo (previa dose di ignoranza letale) che li spinge a partecipare ad un gioco che non ha alcun senso, se non quello di rimanere nei parametri di un meccanismo psicofisico chiamato "gioco" da una parte e di un guadagno senza misura né proporzione dall'altro. Milioni di euro che entrano nelle tasche di chi premia la partecipazione con un millesimo del ricavato.
Chiunque voglia giocare, dovrebbe stare attento che il numero dei partecipanti al gioco non superi la dozzina, se non altro per evitare il rischio di fare il gioco di un altro, magari di chi il gioco lo somministra, come le palate di ignoranza che vediamo in tv ogni giorno.
VALORI COME DISVALORI


COSCIENZA COME STRUTTURA CHE RIGETTA IL PENSIERO COSCIENTE


Rimando alla puntata di "Uomini e donne" del 30/11/09 su youtube. Link:

http://www.youtube.com/watch?v=Wa0WR_5lu1U&feature=related

lunedì 30 novembre 2009

La lettera



Figlio mio, stai per finire la tua Università; sei stato bravo. Non ho rimproveri da farti. Finisci in tempo e bene: molto più di quello che tua madre e io ci aspettassimo. È per questo che ti parlo con amarezza, pensando a quello che ora ti aspetta. Questo Paese, il tuo Paese, non è più un posto in cui sia possibile stare con orgoglio. Puoi solo immaginare la sofferenza con cui ti dico queste cose e la preoccupazione per un futuro che finirà con lo spezzare le dolci consuetudini del nostro vivere uniti, come è avvenuto per tutti questi lunghi anni. Ma non posso, onestamente, nascondere quello che ho lungamente meditato. Ti conosco abbastanza per sapere quanto sia forte il tuo senso di giustizia, la voglia di arrivare ai risultati, il sentimento degli amici da tenere insieme, buoni e meno buoni che siano. E, ancora, l'idea che lo studio duro sia la sola strada per renderti credibile e affidabile nel lavoro che incontrerai. Ecco, guardati attorno. Quello che puoi vedere è che tutto questo ha sempre meno valore in una Società divisa, rissosa, fortemente individualista, pronta a svendere i minimi valori di solidarietà e di onestà, in cambio di un riconoscimento degli interessi personali, di prebende discutibili; di carriere feroci fatte su meriti inesistenti. A meno che non sia un merito l'affiliazione, politica, di clan, familistica: poco fa la differenza. Questo è un Paese in cui, se ti va bene, comincerai guadagnando un decimo di un portaborse qualunque; un centesimo di una velina o di un tronista; forse poco più di un millesimo di un grande manager che ha all'attivo disavventure e fallimenti che non pagherà mai. E' anche un Paese in cui, per viaggiare, devi augurarti che l'Alitalia non si metta in testa di fare l'azienda seria chiedendo ai suoi dipendenti il rispetto dell'orario, perché allora ti potrebbe capitare di vederti annullare ogni volo per giorni interi, passando il tuo tempo in attesa di una informazione (o di una scusa) che non arriverà. E d'altra parte, come potrebbe essere diversamente, se questo è l'unico Paese in cui una compagnia aerea di Stato, tecnicamente fallita per non aver saputo stare sul mercato, è stata privatizzata regalandole il Monopolio, e così costringendo i suoi vertici alla paralisi di fronte a dipendenti che non crederanno mai più di essere a rischio.
Credimi, se ti guardi intorno e se giri un po', non troverai molte ragioni per rincuorarti. Incapperai nei destini gloriosi di chi, avendo fatto magari il taxista, si vede premiato - per ragioni intuibili - con un Consiglio di Amministrazione, o non sapendo nulla di elettricità, gas ed energie varie, accede imperterrito al vertice di una Multiutility. Non varrà nulla avere la fedina immacolata, se ci sono ragioni sufficienti che lavorano su altri terreni, in grado di spingerti a incarichi delicati, magari critici per i destini industriali del Paese. Questo è un Paese in cui nessuno sembra destinato a pagare per gli errori fatti; figurarsi se si vorrà tirare indietro pensando che non gli tocchi un posto superiore, una volta officiato, per raccomandazione, a qualsiasi incarico. Potrei continuare all'infinito, annoiandoti e deprimendomi. Per questo, col cuore che soffre più che mai, il mio consiglio è che tu, finiti i tuoi studi, prenda la strada dell'estero. Scegli di andare dove ha ancora un valore la lealtà, il rispetto, il riconoscimento del merito e dei risultati. Probabilmente non sarà tutto oro, questo no. Capiterà anche che, spesso, ti prenderà la nostalgia del tuo Paese e, mi auguro, anche dei tuoi vecchi. E tu cercherai di venirci a patti, per fare quello per cui ti sei preparato per anni. Dammi retta, questo è un Paese che non ti merita. Avremmo voluto che fosse diverso e abbiamo fallito. Anche noi. Tu hai diritto di vivere diversamente, senza chiederti, ad esempio, se quello che dici o scrivi può disturbare qualcuno di questi mediocri che contano, col rischio di essere messo nel mirino, magari subdolamente, e trovarti emarginato senza capire perché. Adesso che ti ho detto quanto avrei voluto evitare con tutte le mie forze, io lo so, lo prevedo, quello che vorresti rispondermi. Ti conosco e ti voglio bene anche per questo. Mi dirai che è tutto vero, che le cose stanno proprio così, che anche a te fanno schifo, ma che tu, proprio per questo, non gliela darai vinta. Tutto qui. E non so, credimi, se preoccuparmi di più per questa tua ostinazione, o rallegrarmi per aver trovato il modo di non deludermi, assecondando le mie amarezze. Preparati comunque a soffrire.

Con affetto, tuo padre

L'autore è stato direttore generale della Rai. Attualmente è direttore generale della Libera Università internazionale degli studi sociali, Luiss Guido Carli. (30 novembre 2009)
[Articolo tratto dal quotidiano La Repubblica]

sabato 28 novembre 2009


Le vicende portate alla ribalta dell'attenzione pubblica da organi di stampa interessati perlopiù ad incrementare i dati relativi alla loro fruizione, mi disgustano profondamente. Prendere coscienza del fatto che ci sia con tutta evidenza una connessione - neppure tanto sotterranea - fra la dimensione degli eventi da prima pagina dei giornali e ciò che nel quotidiano urta con la resistenza inerziale della propria coscienza, al limite, mi deprime inquietandomi. L'aspetto consolatorio dell'intera triste faccenda sta nel fatto che l'inquietudine è principio di azione, di rifondazione del mondo. Essendo inquieto, il mio sguardo è anamorfico. Risponde alla violenza del mondo con la corruzione dello stesso mondo in uno specchio infranto. Il mondo deformato impone, ad ogni modo, di essere restaurato. Ed in questo senso, devo agire, non lasciando la barricata della sopravvivenza giornaliera. La fuga dal mondo è un'idiozia, un giochetto da depresso. Fugge dal mondo colui che arde dal desiderio disperato di essere ricercato, in una testimonianza sofferta di amore disinteressato, l'amore puro. Nausetato, "se mi avessero domandato che cosa era l'esistenza, avrei risposto in buona fede che non era niente, semplicemente una forma vuota che veniva ad aggungersi alle cose dal di fuori, senza nulla cambiare alla loro natura" (Jean-Paul Sartre, La nausée). Nel momento in cui la deformazione individuale del mondo raggiunge il suo culmine tragico, la meditazione splenetica, il principio di possibili suicidi e smarrimenti nelle folle metropolitane, diviene la ragione specifica dell'azione restauratrice. E' così che inizia un'autentica rivoluzione etica. Non potrebbe essere questa una straordinaria notizia?


venerdì 27 novembre 2009

La carriòla

L'altra metà della mela... è bacata



Purtroppo è così, lasciatemelo dire. L’Italia intera, dalle Alpi alla Sicilia, è macchiata dallo spettro della corruzione. A chi mi viene a raccontare che al Nord le cose funzionino come il meccanismo di un orologio rispondo con uno sberleffo e una pernacchia. Lo stivale ha le stesse sporche sfaccettature da ogni punto lo si osservi, senza rimedio di sorta.

Eccolo, il mio caro studente modello con la borsa sotto il braccio, il suo mp3 nelle orecchie per poter scansare lo stress di nove ore di viaggio e una valigia colma di volontà di ferro e conoscenze professionali inappuntabili. Eccolo. Scende alla stazione di una città, la città dei Savoia, la città espressa nella forma della Mole Antonelliana e del Sacro Lenzuolo. Scende. “La città della svolta”, pensa. E certo, non ci saranno i soliti incantesimi deliranti che fluttuano in altri posti, in ben altre università dove solo gli indigeni hanno il dono di essere scelti per il tanto agognato dottorato. Eccolo, il mio laureato, specializzato, presto autore di libri che altri (magari proprio i destinatari di quei favoritismi tanto macchinosi e indecenti) studieranno. Nove ore di viaggio. E va bene, purché si creda di andare incontro a persone, istituzioni e professionisti seri e naturalmente onesti. Presto s’accorgerà, il mio buon stacanovista dello studio, che l’onestà, oggi e in questo Paese, è un bene prezioso, pressoché introvabile.
Giorno della prova. Un’ora di attesa snervante dovuta alla necessità di accordare, accomodare, sistemare venticinque candidati che, contravvenendo alle regole inderogabili del bando, dimenticano di presentare l’imprescindibile documentazione: la mancata presentazione, infatti, comporterebbe (scrivo il condizionale piuttosto che l’imperativo perché…be’, leggete pure avanti) l’immediata esclusione dalla prova scritta. E invece, no! S’è pensato bene (un pensiero lungo, durato un’ora) di ammettere tutt’e venticinque i poveri, teneri sbadati consentendogli di presentare con riserva i documenti richiesti. Curioso!, i magnifici venticinque sono tutti studenti della città di cui sopra. Santa coerenza! Immaginiamo se i documenti li avesse dimenticati uno che s’è sciroppato nove ore di treno! Stando a quanto deciso, il malcapitato sarebbe dovuto ritornare di corsa a casa per poi risalire sulle Alpi e poter consegnare le scartoffie richieste… ma proseguiamo.
Trascorre un’ora, dunque, inizia la prova, finalmente. Il mio studente modello è talmente bravo, talmente pazzo e geniale, da scrivere l’intero compito (ben otto pagine) direttamente in bella copia e senza nessuna benché minima cancellatura o correzione!
Riesce a rientrare - su settanta candidati - tra i primi cinque (solo i primi due posti attribuiscono il diritto alla borsa di studio) e il suo compito è definito eccellente. Sapete com’è andata a finire? È stato escluso perché il compito è stato invalidato. Motivo? Recava in calce la firma (!). Eppure non sta scritto da nessuna parte che la firma avrebbe dovuto essere evitata, né tanto meno i membri della commissione hanno ritenuto opportuno precisarlo nel momento in cui hanno dato avvio alla prova. Senza considerare che in altri concorsi dello stesso tipo la firma non è mai stata considerata condizione invalidante.
E così, avvilito, affranto e deluso, il mio caro studente modello beffato se n’è tornato a casa: è salito sull’ultimo treno della sera e ha percorso a ritroso la strada ferrata che l’aveva portato verso la tanta decantata correttezza e serietà che invade le bocche dei settentrionali. Saranno pure settentrionali, ma appartengono comunque al settentrione di una nazione chiamata Italia che si propone, da qualunque punto la si guardi, nelle diverse mosse indecenti di una povera sgualdrina. L’Italia burocratica, amministrativa, istituzionale è un vero flagello, un sotterraneo dalle fisiologiche funzioni corporali.
Mio buon caro studente, credimi, il tuo lavoro eccellente deve aver raggiunto un tale livello di perfezione che s’è presentato come una vera minaccia, come un vero gigante da abbattere: la verità è che avrebbe messo in serie difficoltà il compito dozzinale di qualsiasi altro candidato dalle ‘conoscenze oppurtune’ e dalla coscienza inesistente, che s’è visto promettere la tanto meritata borsa di studio. E come si può abbattere un gigante? Lo si fa cadere, mettendogli lo sgambetto.
Mio impareggiabile genio degli studi filosofici, non arrenderti. Deve ancora nascere l’essere che sconfigge i veri eroi, i veri combattenti.

venerdì 20 novembre 2009

La carriòla

La verità sotto la maschera

Imperversano come raffiche di mitra le notizie che si affollano in quest’inconsueto caldo autunnale di novembre. Ci si confonde, si perde l’equilibrio a star dietro alle schiaccianti rotondità della cronaca e dell’attualità.
Da quando il cosiddetto caso Marrazzo ha nutrito pagine di giornali e schermi di telegiornali pare si sia conosciuto per la prima volta il fenomeno dei transgender (questo, mi pare, sia il termine corretto, quanto meno stando al linguaggio degli onnipresenti opinionisti di turno). Non c’è trasmissione televisiva, rivista scandalistica o giornale pseudo-serio che non lo innalzi a fenomeno del momento. Non c’è scampo, non c’è rimedio. Addirittura l’altro giorno, al supermercato… Eh no-no, non posso dispensarmi dal raccontarvelo…
Insomma, mi trovo alla cassa del supermercato con la mia spesuccia da pagare e il cassiere (nonché proprietario del supermarket) piuttosto che indicarmi quanto devo, afferra la pagina di una rivista e me la mostra. Sulle foto appare in tutta la sua affascinante femminilità una giovane con indosso un micro esemplare di biancheria intima (dire ‘micro’ è un eufemismo, dato che in alcune pose lo era talmente da scomparire del tutto). Alla vista delle foto esclamo di rimando: “Be’!, non credo mi interessi molto!”, e lui: “E’ un uomo!”. Delirio! Ma davvero non c’è scampo! Il voyeur continua a fare commenti sulla donna-uomo e dato che non gli do nessuna soddisfazione in proposito, mi fa: “Ma non vi hanno insegnato niente a scuola?”. !?! Già!, come se a scuola l’unica occupazione sia quella di stare a verificare il trait d’union che unisce la femminilità mascolina alla mascolinità femminea. E come se non bastasse (e con quest’ultimo appunto proprio non ho capito a cosa volesse andare a parare) scambia un’altra battuta con un ragazzo (il figlio, anche lui come il padre, improponibile. Ora so da chi ha preso!) e aggiunge: “E questo è pure un giornale di Berlusconi!”. Bah…
Ma pazzi del genere sono davvero tanto diversi da quei carabinieri che hanno dato fuoco alla miccia Marrazzo o dai giornalisti poco professionali che hanno pubblicato le foto sui giornali? Mi domando dove sia la differenza. E poi tutto sto’ putiferio. Come se Marrazzo fosse l’unico. È una goccia nel mare. In tutto questo traffico di idee sull’accaduto è poi difficile stare a valutare correttamente. Credo che ciò che abbia maggiormente colpito nella vicenda del governatore del Lazio sia quella sostanziale, labile linea di demarcazione che passa tra il come una persona sia nella realtà e come invece intenda apparire agli occhi degli altri. È l’eterno dibattito dell’essere e dell’apparire. Ciò che risulta incredibile è il dover affiancare alla figura dell’uomo impegnato politicamente, al padre di famiglia, al marito devoto l’altra figura dell’incauto uomo dedito a piaceri trasgressivi. Ma sarebbe venuta fuori la stessa solfa se l’avessero trovato con una donna? Probabilmente no. Eppure mi viene da pensare a quanti altri padri di famiglia, mariti ‘devoti’ e perbenisti con la puzza sotto il naso spendono i loro quattrini appresso a serate ammiccanti alla trasgressione e all’evasione dalla quotidianità. Non andrebbero pubblicati sui giornali anche i nomi di tanti altri estimatori del gioco fuori casa? Già, la privacy. Ma quant’è valida la teoria waldiana della maschera! Come ne ‘Il ritratto di Dorian Gray’, dove il giovane protagonista si copre di menzogne e di peccati di diversa specie eppure resta sempre bellissimo e senza nessuna macchia. Il quadro gli rivelerà la verità. La verità nascosta sotto la maschera.
È come quell’altra verità. Quella che fatica a venir fuori quando non si riesce a spiegare perché mai un uomo entra sano in carcere e ne esce morto. Qualcosa non torna, ma nessuno se ne preoccupa. Troppe noie, troppe responsabilità. Un uomo è morto. E allora?, era solo un detenuto. Povera dignità umana, calpestata come gracile filo d’erba.

Fanno bene a manifestare. Chi? Gli studenti. Questi sì, vogliono far valere una verità. La verità legata all’importanza dello studio e al potenziamento della mente. Tagliare i fondi destinati alla scuola è semplicemente immorale. Come si fa a costruire il futuro se non si investe sulla capacità dei giovani? Non hanno nessun altro settore su cui operare dei tagli? Tagliate gli stipendi dei politicanti, dei ministri e degli innumerevoli posapiano che fanno finta di governare il paese. Anzi, tagliateVI! Una riduzione del numero dei parlamentari non sarebbe appropriata per far fronte alla crisi? O della crisi economica debbono farsi carico solo i cittadini onesti, e checché ne dica Brunetta, lavoratori che non si risparmiano e fanno il loro dovere? Ultimamente diversi mafiosi e camorristi hanno visto i sorci verdi e le celle grigie. Qualcuno sostiene: “Grazie a Maroni”. Grazie a chi!? GRAZIE alla squadra mobile di Palermo che lavora in condizioni assurde, con auto-civetta (due per l’esattezza) avute in affitto. Grazie a loro, che fanno cento ore di lavoro straordinario, gliene riconoscono cinquantacinque e se ne vedono pagate trentacinque! Ditemi un po’ adesso: grazie a chi?
Cominciamo col riconoscere il giusto spazio alla verità, tanto bistrattata, tanto agognata.

martedì 17 novembre 2009

Per salvare l'Università contro
Beata Ignoranza e i suoi disastri

lunedì 16 novembre 2009

Passeggiando di notte

Torno a scrivere sul blog a distanza di un mese. Non è dipeso da me. Sono state le circostanze delle ultime settimane ad avermi intrappolato in un vortice inestricabile di impegni, decisioni, pensieri. Qualcosa sta cambiando rispetto all'equilibrio dei mesi primaverili ed estivi. Ad ogni modo, Pieghe libertarie resta un importante punto di riferimento, un progetto da potenziare piuttosto che un ripiego in cui scaricare la noia di pomeriggi interminabili e di ansie infinite. Forse potrebbe rivelarsi utile un migliore coordinamento dei contributi dei diversi autori. D'altra parte si fa quel che si può. L'essenziale è che si continui a scrivere, a far circolare idee e prospettive interpretative. Bisogna continuare, insistere con coraggio, indipendemente dalla considerazione del numero possibile dei lettori. Che sia uno o diecimila vale lo stesso. Forse sarebbe opportuno coinvolgere qualche nuovo autore. Vedremo. Il coinvolgimento di Cassandra è una ragione di grande soddisfazione per me. Nell'ultimo mese tante notizie portate alla ribalta dagli organi di (dis)informazione avrebbero potuto trovare ospitalità anche nel blog: le trans di Marrazzo e la tortura di Cucchi sono soltanto due esempi possibili. Non è accaduto, pazienza. Non si può essere sempre scontati. Passeggiando di notte, per sentieri perlopiù ignoti, non torniamo sul sentiero battuto delle consuetudini da bar. Per rispondere alla provocazione di Mirza, è da preferire senza alcun dubbio l'ignoto o l'iperbole dell'eccesso al suicidio delle possibilità intellettuali.

domenica 15 novembre 2009

Novembre . . .

Novembre: il mese dei morti. Quando gli alberi si spogliano e il freddo giunge a rinsecchire le ultime rose nel giardino e l’albero del melograno resta così, nudo, a mostrare coraggiosamente i suoi gravidi frutti, i paesaggi di collina si trasformano in deserti di paura, costellati da scheletri che tendono le loro braccia irte verso il cielo. Un grido dalla terra freme, nei tronchi di giorno, e la notte, la notte invece tutto tace. Silenzio. Il bosco non dice nulla. Solo gli occhi osano ancora scrutare. L’occhio rapace che tutto vuole inglobare. Ma la voce, di notte, nei boschi, la voce non ha luogo alcuno. E’ la Morte.
Amo i giorni di sole di novembre. La luce inonda la terra senza violenza. La terra è la regina e coabita con la luce come se fosse la sua ancella. La vedi lì, la terra compatta, brulla, ricoperta di foglie, che lancia i suoi frutti duri e secchi. E si sente la terra, fin dentro le ossa, a radicarci qui nella carne, con la carne, nella terra, con i funghi e i ciclamini. E’ la Morte.
A novembre i cimiteri sono un brulicare di fiammelle accese e di profumi. Si respira un’aria di vita, nei cimiteri, quasi di festa. Mi piace girare per il cimitero a novembre. I cimiteri sono per i vivi, non per i morti. Perché la memoria è dei vivi non dei morti. Piccole fiammelle accese che aprono il pensiero sulle vite, per lo più sconosciute, di quelli che sono morti e di quelli che sono ancora qui. Ricordo una donna l’anno scorso al cimitero. Anziana, vestita di nero, che venne incontro a me e mia madre, barcollando quasi, immersa nel suo lutto e ci ricordò il suo dolore col suo sguardo e le sue parole. Avevo dimenticato che da qualche mese aveva perso il marito. Il giorno dei morti è questo: ci si guarda e ci si riconosce, tutti sulla stessa barca, nessuna sorpresa di fronte a Lei. E’ la Morte.
Ah, ma quanti vuoti crea la Morte, quante distanze, quanti silenzi, quanta omertà, quante solitudini!
La Morte è dei vivi, la Morte è dei malati, la Morte è dei vecchi, la Morte è dei barboni, la Morte è dei terroristi, la Morte è delle vittime civili, la Morte è dei depressi, la Morte è degli ambiziosi, la Morte è dei poveri, la Morte è dei ricchi, la Morte è dei bambini, la Morte è degli adulti. Eppure, “la Morte è una macchia bianca sulla carta geografica del sociale” (Norbert Elias, La solitudine del morente). I viventi si identificano con molta difficoltà con i morenti, utilizzando quella strategia di difesa contro l’annientamento tipica dell’essere umano, che consiste sostanzialmente in uno stato di cecità esistenziale volto al superamento momentaneo del pericolo/contagio della Morte. Ma la Morte non è un pericolo, ahinoi! Si trasforma la Morte in pericolo, per poterla scongiurare o alleviare con mezzi tecnici, strutture sociali di organizzazione e di cura, per poterla incanalare anticipandola col pensiero ( e si gode di questa anticipazione strutturata). No, la Morte non è un pericolo, ahinoi!
La Morte è il motivo ontologico fondamentale, il cui pensiero spalanca l’abisso dell’Angoscia. E all’Angoscia, fortunatamente, non si sfugge mai. E’ la Morte.


Condoglianze Signor C.

Ci dovrebbe essere solo un lungo silenzio.
Tutti immersi in un lungo silenzio.
Eppure tutta questa gente ha sofferto un giorno.
E’ passata la Morte sulle loro ossa.
E ancora ci si ostina a parlare.
Forse far finta di nulla è meglio.
Guardare altrove.
Lasciare che il silenzio resti soffocato,
ma resti li, immobile
a tormentare a suo piacimento i momenti più vivi.
E la sera,
quando le coperte ci sono sopra
sentirlo nello stomaco trascinarci
verso un giorno altro.
Quel segreto che tutti conosciamo.
Quel sorriso cinico dei barboni alla stazione.
Quello è il silenzio che grida.
Si dovrebbe chiudere il sipario
con una grossa risata.

venerdì 6 novembre 2009

La carriòla

Il volo della poesia


E così saresti stata la pazza della porta accanto... T'avessi avuta come vicina di casa, come amica dirimpettaia, avrei liberato le tue mani dalle catene della tua prigione, dalle porte chiuse a chiave dell'intolleranza.
Superba è stata la tua notte sommersa nel candore spettinato di un cuore avido di passioni e amori, meravigliosa farfalla dalle ali fragili perdute nella ricerca di un volo di primavera.
T'ho letta, amata e odiata per quelle frasi che senza tregua m'hanno scavato l'anima sommersa a rintracciare un piccolo seme di eterno, di infinito.
Afferrai il mio primo libro con un'avidità da animale e mi persi per giorni interi a inseguire la musica delle tue ballate non pagate e quando, la vertigine ormai all'estremo, mi balzarono dinanzi quei versi: Ho gli inguini decisi come una donna ma son già lontana dalle richieste delle praterie, sconvolgesti ogni metrica, ogni parafrasi, ogni decenza che avevo conosciuta.
Chi non t'amo, mia amata? Ti vedo in uno di quei tanti scatti che t'hanno ritratta bella, vera, sonora, elegante, con le perle e l'immancabile sigaretta tra le dita dalle unghie smaltate. Che donna sei stata! Hai avuto tutto il mondo dentro l'anima, hai assorbito ogni mistero, ogni profondità della natura e nel Magnificat il tuo cuore di vergine ha scritto di immagini superbe. E l'incanto perduto tra le pagine innamorate di un libro che ha urlato di essere folle, folle, folle di amore..., ma quanto amore hai cercato, quanto amore hai amato nella tua vita?
Poi la tua ultima opera ...La nera novella... Capolavoro funambolico, pazzesco, frutto di una mente sana, oh sicuro, più sana di quei bianchi pazzi che ti costringevano lo spirito in una fottuta camicia di forza. Quelle miserie umane potevano imprigionarti il corpo, ma non hanno potuto catturarti l'anima!
La tua novella oscura s'è trasformata con un raggio di sole, magico avvertimento di un riflesso d'amore. Segui la luce dell'amore vero, quello che hai liberato in vita ora è ritornato fra le tue mani.
Mio fiore di poesia, troverò da leggere i tuoi versi e le tue emozioni anche nei righi mobili delle nuvole là sopra.

"Ma il giorno che ci apersero i cancelli, che potemmo toccarle con le mani quelle rose stupende, che potemmo finalmente inebriarci del loro destino di fiori. Divine, lussureggianti rose! Non avrei potuto scrivere in quel momento nulla che riguardasse i fiori perché io stessa ero diventata un fiore, io stessa avevo un gambo e una linfa".
(A. Merini, L'altra verità Diario di una diversa)


giovedì 5 novembre 2009

Omaggio ad Alda Merini

domenica 1 novembre 2009

Si è spenta la più ispirata e geniale
poetessa italiana di sempre
Addio Alda


Piange la follia nel mio letto
assurda memoria di altri momenti.
In me tutti amano la follia
e io la venero,
straordinario balcone di canto
ma nessuno ama la donna
che si brucia allo specchio.
Nessuno sa che cosa sia il piacere
di reggere il lume della pazienza
attraverso strade infeconde
liberando momenti di solitudine.
Paiono orrende torture
ma intanto mangi e bevi e vai avanti
dopo aver conosciuto l'embrione
che ti ha dimenticato.
Alda Merini, Superba è la notte, Einaudi, Torino 2000, p. 26.

venerdì 30 ottobre 2009

La carriòla

Veniamo noi con questa mia a dirvi...




Sempre più dimenticata, bistrattata e lasciata a marcire nell’angolo più buio della mente. Sempre più ‘accorciata’, dilaniata, masticata male e poi sputata tra le ortiche di una metafora sconosciuta. Di cosa sto parlando? Ma della più imponente, difficoltosa, a volte capricciosa e sicuramente più affascinante tra le innumerevoli lingue parlate e scritte di questo mondo. Signore e signori: la nostra beneamata Lingua Italiana!
Ho scritto qualche rigo più su dimenticata, bistrattata, accorciata… e come si può sostenere il contrario in un’epoca in cui per rientrare rispettosamente nel limite caparbio di centosessanta caratteri occorre necessariamente scrivere frasi in codice, del tipo: “H ric t msg. C ved stas 20 bar staz.”.
Personalmente ho un rapporto d’odio-amore con i messaggini telefonici. Di odio, sicuramente perché non sono mai riuscita a rientrare nei canoni della loro lunghezza. ‘Fortunatamente’ adesso ho un cellulare che mi permette di scrivere messaggi senza dover per forza rispettare i fatidici centosessanta caratteri! Scrivo, invio… e partono sette-otto messaggini in serie che sicuramente creano seri problemi di ricomposizione al mio destinatario!, ma tant’è. Comunque, a parte queste modernità telematiche che ci saltano addosso e ci spettinano l’esistenza, ritengo sia sempre meno forte il legame con la bella scrittura e la lingua italiana. Il mondo corre sempre più svelto e non si ha tempo magari di mettersi a pensare alle regole grammaticali, all’ortografia o ai congiuntivi. Forse anche perché si leggono molto meno libri e quindi si fa fatica ad esprimersi correttamente con le parole. Trovo, però, assolutamente sconcertante che ragazzi e ragazze laureati possano incontrare difficoltà con gli accenti, gli apostrofi e i verbi. E ancora, trovo assolutamente squallido che professionisti, i quali magari fanno delle parole il loro pane quotidiano, non riescano ad esprimersi in modo corretto e non sappiano scrivere senza commettere errori da matita rossa!
Io, sia ben chiaro, non mi reputo un genio della scrittura, né tanto meno un luminare dell’Accademia della Crusca!, me ne guarderei bene dall’affermarlo. Sono soltanto un’entusiasta del ‘bello scrivere’, un’ammiratrice inarrestabile del Dizionario della Lingua Italiana!
Ricordo che una volta, durante una seduta d’esame alcuni concorrenti (me compresa) avevano sul banco il dizionarietto della lingua italiana. Per correttezza qualcuno chiese all’esaminatore se ci si fosse potuti affidare all’ausilio del dizionario senza creare difficoltà alla prova (non si trattava di un libro di testo da cui copiare; naturalmente ciò è vietato). L’esaminatore rispose col sorrisetto ebete sulle labbra: “Be’, faccia come le pare! Ma credo che ormai certi dubbi avrebbero dovuto essere risolti quand’era il momento!”, e giù una risatina. Quanto avrei voluto urlargli: “Imbecille che non sei altro!, credi davvero di essere tanto onnipotente da non avere nessunissimo dubbio sulla vastità di regole disseminate nel campo della nostra lingua!?!”.
Credo fosse uno di quei deficienti che scrivono qual è con l’apostrofo. Ma bando alle ciance.
Ho deciso di pubblicare una robetta simpatica che reputo divertente e che mi auguro possa strappare una risata al lettore.
Tempo fa un amico mi inviò tramite e-mail (ecco un’altra diavoleria dell’era moderna!) un elenco di quaranta regole d’oro relative all’uso corretto delle parole e della grammatica italiana. E’ chiaro che l’intenzione - simpatica - era quella di prendermi in giro a proposito delle mie fissazioni sui verbi, l’ortografia e quant’altro. Quaranta regole d’oro divertentissime a cui io risposi con un’altra e-mail completamente invasata…


1. Evita le allitterazioni, anche se allettano gli allocchi.
2. Non è che il congiuntivo va evitato, anzi, che lo si usa quando necessario.
3. Evita le frasi fatte: è minestra riscaldata.
4. Esprimiti siccome ti nutri.
5. Non usare sigle commerciali & abbreviazioni etc.
6. Ricorda (sempre) che la parentesi (anche quando pare indispensabile) interrompe il filo del discorso.
7. Stai attento a non fare… indigestione di puntini di sospensione.
8. Usa meno virgolette possibili: non è “fine”.
9. Non generalizzare mai.
10. Usare le parole straniere non è bon ton e potrebbe portare a misunderstanding.
11. Sii avaro di citazioni. Diceva giustamente Emerson: “Odio le citazioni. Dimmi solo quello che sai tu.”
12. I paragoni sono come le frasi fatte.
13. Non essere ridondante; non ripetere due volte la stessa cosa; ripetere è superfluo (per ridondanza s’intende la spiegazione inutile di qualcosa che il lettore ha già capito).
14. Solo gli stronzi usano parole volgari.
15. Sii sempre più o meno specifico.
16. La litote è la più straordinaria delle tecniche espressive.
17. Non fare frasi di una sola parola. Eliminale.
18. Guardati dalle metafore troppo ardite: sono piume sulle scaglie di un serpente.
19. Metti, le virgole, al posto giusto.
20. Distingui tra la funzione del punto e virgola e quella dei due punti: anche se non è facile.
21. Se non trovi l’espressione italiana adatta non ricorrere mai all’espressione dialettale: peso e! tacòn del buso.
22. Non usare metafore incongruenti anche se ti paiono “cantare”: sono come un cigno che deraglia.
23. C’è davvero bisogno di domande retoriche?
24. Sii conciso, cerca di condensare i tuoi pensieri nel minor numero di parole possibile, evitando frasi lunghe – o spezzate da incisi che inevitabilmente confondono il lettore poco attento – affinché il tuo discorso non contribuisca a quell’inquinamento dell’informazione che certamente (specie quando inutilmente farcito di precisazioni inutili, o almeno non indispensabili) una delle tragedie di questo nostro tempo dominato dei media.
25. Gli accenti non debbono essere né scorretti né inutili, perché chi lo fà sbaglia.
26. Non si apostrofa un’articolo indeterminativo prima del sostantivo maschile.
27. Non essere enfatico! Sii parco con gli esclamativi!
28. Neppure i peggiori fans dei barbarismi pluralizzano i termini stranieri.
29. Scrivi in modo esatto i nomi stranieri, come Beaudelaire, Roosewelt, Niezsche, e simili.
30. Nomina direttamente autori e personaggi di cui parli, senza perifrasi. Così faceva anche il maggior scrittore lombardo del XIX secolo, l’autore del 5 maggio.
31. All’inizio del discorso usa la captatio benevolentiae, per ingraziarti il lettore (ma forse siete così stupidi da non capire neppure quello che vi sto dicendo).
32. Cura puntiliosamente l’ortograffia.
33. Inutile dirti quanto sono stucchevoli le preterizioni.
34. Non andate troppo sovente a capo.
Almeno,
non quando non serve.
35. Non usare mai il plurale majiestatis. Siamo convinti che faccia una pessima impressione.
36. Non confondere la causa con l’effetto: saresti in errore e dunque avresti sbagliato.
37. Non costruire frasi in cui la conclusione non segua logicamente dalle premesse: se tutti facessero così, allora le premesse conseguirebbero dalle conclusioni.
38. Non indulgere ad arcaismi, apax legomena o altri lessemi inusitati, nonché deep structures rizomatiche che, per quanto ti appaiano come altrettante epifanie della differenza grammatologica e inviti alla deriva decostruttiva – ma peggio ancora sarebbe se risultassero eccepibili allo scrutinio di chi legga con acribia ecdotica – eccedano comunque le competente cognitive destinatario.
39. Non devi essere prolisso, ma neppure devi dire meno di quello che.
40. Una frase compiuta deve avere
* * * * *

Grazie, grazie infinitamente grazie per aver illuminato la mia mente bacata con questi fondamentalisti consigli grammaticali, che si sa, sono indispensabili per un’uso corretto del linguaggio italiano, che già di per sé, cosi come lo si presenta, è veramente difficoltoso.
Essi (i consigli) mi consentirebbero in un futuro prossimo venturo (qualora mi decidessi) ad avviare una lettura amplessa di quei libri (geometricamente parlando) di scandalose dimensioni, quali ad esempio Dostoieski, Mautzpassant o peggio ancora Gogl’… E cosi come pure propinava Wilde: “La differenza tra letteratura e giornalismo? Il giornalismo è illeggibile e la letteratura non è letta. Questo è tutto”.
Ma non dimentichiamo che il linguaggio italiano, che già di per sé, lo si sa, cosi come lo si presenta, è veramente difficoltoso.
Oggi la volgarità del linguaggio propaga senza remore sulle lingue risolute di quegli analfabeti che si ostinano ad apparire superficialmente e sufficientemente coglioni, solo perché non hanno la volontà di apprendere (seppure statisticamente) la variegata fornitura della correzione grammaticale.
Ecco.
Come non citare, a questo punto, l’importanza cosi fugacemente importante della punteggiatura?, oggigiorno sempre più dimenticata senza parlare poi dell’uso improprio che se ne fa semplicemente perché non si sa o non si vuole sapere come vanno utilizzati questi soldati del discorso
La virgola, ad esempio, con quella sua arietta innocente non fa altro che suggerire all’interlocutore quando prendere fiato, perché, è noto che, la virgola, non gira mica intorno al discorso, ma introduce nel medesimo quella sorta di pausa che consente a chi legge di attraversare il componimento con un all’ eggerimento del pensiero perché è chiaro che come pure sottolineano i navigati conoscitori dell’esperienza metastatica e diciamolo pure libertina che un periodo senza neanche un punto o una virgola o come si preferisce appesantiscono la comprensione di qualsiasi lettura anche la più semplice…
E vogliamo dimenticare l’assoluta eleganza della metafora, che permette di trascinare il verso col suo consueto savoir-faire che diciamolo appartiene solo ed esclusivamente ai veri stilisti del linguaggio (che non stò qui ad elencarli solo per questione di tempo) che cosi come vi pare, appaiono i più adatti all’erotismo ortografico del mondo letterario. Ma la metafora è qualcosa di più che la semplice espressione citata volgarmente su tutti i vocabolari quale ad esempio “ondeggiano le spighe” o addirittura “sei forte come un leone”. E no. Basta con questi squallori esasperati che prolificano sull’epiglottide di quegli ignoranti che alla fine, solo perché pensano che la metafora è una sostituzione del significato di una parola, se ne vengono fuori con il classico “meglio un uovo oggi che una gallina domani”.
È vero però che l’epidermide compositiva che non attinge affatto sulla cervice dei giovani di queste annate recenti diciamo che in effetti ha origine da quell’indiscusso e istrionico pessimismo che cola come miele dall’alveare (ecco l’uso improprio della metafora e con questo vorrei farLe notare che chi scrive si rende conto delle sue mancanze e s’inchina dinanzi al pozzo di conoscenza che fuoriesce dalla Sua guardinga espressione) da quei pochi scarni versi di quel poco igienico e fermente stacanovista addirittura abitante di quella Recanati dedita al meretricio verbale che ha influenzato l’essenza stessa delle poesie del suddetto che nell’esaltare quel suo amore esasperato per Silvia rimembri ancor, non poteva, no, assolutamente, non poteva attirare l’attenzione dei tineger del mondo contemporaneo. La gioventù moderna ha fatto passi avanti e piuttosto che chiedersi “Ilaria, rimembri ancor…” si pone nuovi e più cocenti interrogativi come “preferisci na’ birra o na’ vodka prima de sballà in discoteca?”. Ecco dove stà il vero questionario. Occorre un linguaggio nuovo tendenzialmente espressione del malessere giovanile e quindi evitando di prolungare successivamente il discorso si capisce perché i ragazzi non amano la lettura e figuriamoci i modi indicativi o congiuntivi del verbo. Il verbo, da solo, si sa, fa ben poco.
Concludendo, possiamo dire, che solo esperti come noi, vale a dire, vocabolaristi del pensiero, possiamo apprezzare, e perché no, queste roventi regole che Lei ha gentilmente inviato tramite e-mail che rappresenta anche questo il progresso della tecnologia se pensiamo che in passato si scriveva con la penna d’oca e le lettere cartacee arrivavano dopo diversi mesi proprio come accade oggi. L’universo del linguaggio non finirà mai di stupirci perché è nell’essenza delle cose che si può trovare

venerdì 23 ottobre 2009

La carriòla
I contorni dell'anima


LIBRO PRIMO


III - Bel modo d'esser soli!


Desiderai da quel giorno ardentissimamente d’esser solo, almeno per un’ora. Ma veramente, più che desiderio, era bisogno: bisogno acuto urgente smanioso, che la presenza o la vicinanza di mia moglie esasperavano fino alla rabbia.
- Hai sentito, Gengè, che ha detto jeri Michelina? Quantorzo ha da parlarti d’urgenza.
- Guarda, Gengè, se a tenermi così la veste mi paiono le gambe.
- S’è fermata la pèndola, Gengè.
- Gengè, e la cagnolina non la porti più fuori? Poi ti sporca i tappeti e la sgridi. Ma dovrà pure, povera bestiolina… dico… non pretenderai che… Non esce da jersera.
- Non temi, Gengè, che Anna Rosa possa esser malata? Non si fa più vedere da tre giorni, e l’ultima volta le faceva male la gola.
- È venuto il signor Firbo, Gengè. Dice che ritornerà più tardi. Non potresti vederlo fuori? Dio, che nojoso!
Oppure la sentivo cantare:
E se mi dici di no,
caro il mio bene, doman non verrò;
doman non verrò…
doman non verrò…
Ma perché non vi chiudevate in camera, magari con due turaccioli negli orecchi?
Signori, vuol dire che non capite come volevo esser solo.
Chiudermi potevo soltanto nel mio scrittojo, ma anche lì senza poterci mettere il paletto, per non far nascere tristi sospetti in mia moglie ch’era, non dirò trista, ma sospettosissima. E se, aprendo l’uscio all’improvviso, m’avesse scoperto?
No. E poi, sarebbe stato inutile. Nel mio scrittojo non c’erano specchi. Io avevo bisogno d’uno specchio. D’altra parte, il solo pensiero che mia moglie era in casa bastava a tenermi presente a me stesso, e proprio questo io non volevo.
Per voi, esser soli, che vuol dire?
Restare in compagnia di voi stessi, senza alcun estraneo attorno.
Ah sì, v’assicuro ch’è un bel modo, codesto, d’esser soli. Vi s’apre nella memoria una cara finestretta, da cui s’affaccia sorridente, tra un vaso di garofani e un altro di gelsomini, la Titti che lavora all’uncinetto una fascia rossa di lana, oh Dio, come quella che ha al collo quel vecchio insopportabile signor Giacomino, a cui ancora non avete fatto il biglietto di raccomandazione per il presidente della Congregazione di carità, vostro buon amico, ma seccantissimo anche lui, specie se si mette a parlare delle marachelle del suo segretario particolare, il quale jeri… no, quando fu? l’altro jeri che pioveva e pareva un lago la piazza con tutto quel brillìo di stille a un allegro sprazzo di sole, e nella corsa, Dio che guazzabuglio di cose, la vasca, quel chiosco da giornali, il tram che infilava lo scambio e strideva spietatamente alla girata, quel cane che scappava: basta, vi ficcaste in una sala di bigliardo, dove c’era lui, il segretario del presidente della Congregazione di carità; e che risatine si faceva sotto i baffoni peposi per la vostra disdetta allorché vi siete messo a giocare con l’amico Carlino detto Quintadecima. E poi? Che avvenne poi, uscendo dalla sala del bigliardo? Sotto un languido fanale, nella via umida deserta, un povero ubriaco malinconico tentava di cantare una vecchia canzonetta di Napoli, che tant’anni fa, quasi tutte le sere udivate cantare in quel borgo montano tra i castagni, ov’eravate andato a villeggiare per star vicino a quella cara Mimì, che poi sposò il vecchio commendator Della Venera, e morì un anno dopo. Oh, cara Mimì! Eccola, eccola a un’altra finestra che vi s’apre nella memoria…
Sì, sì, cari miei, v’assicuro che è un bel modo d’esser soli, codesto!



[...]


VI - Finalmente!


- Sai che ti dico, Gengè? Sono passati altri quattro giorni. Non c’è più dubbio: Anna Rosa dev’esser malata. Andrò io a vederla.
- Dida mia, che fai? Ma ti pare! Con questo tempaccio? Manda Diego; manda Nina a domandar notizie. Vuoi rischiare di prendere un malanno? Non voglio, non voglio assolutamente.
Quando voi non volete assolutamente una cosa, che fa vostra moglie?
Dida, mia moglie, si piantò il cappellino in capo. Poi mi porse la pelliccia perché gliela reggessi.
Gongolai. Ma Dida scorse nello specchio il mio sorriso.
- Ah, ridi?
- Cara, mi vedo obbedito così…
E allora la pregai che, almeno, non si trattenesse tanto dalla sua amichetta, se davvero era ammalata di gola:
- Un quarto d’ora, non più. Te ne scongiuro.
M’assicurai così che fino a sera non sarebbe rincasata.
Appena uscita, mi girai dalla gioja su un calcagno, stropicciandomi le mani.
“Finalmente!”

[Luigi Pirandello, Uno, nessuno e centomila]


* * * * *

L’appuntamento settimanale mi catapulta fuori dalle coltri soffici del paesaggio mentale che mi campeggia libero e silente nell’anima.
Il fatto è che mi trovo a dover assolutamente stringere la mano al mio caro buon amico Gengè (ovvero, il signor Vitangelo Moscarda protagonista del romanzo citato e titolare del buffo nomigliolo affibbiatogli dalla moglie), e ad assecondare quella necessaria sensazione di solitudine che oggi si libra leggera attorno alle mie poche e infruttuose capacità creative. Ogni tanto si sente il bisogno di star soli. Ma anche lo star da soli a volte comporta l’invasione poderosa di pensieri e ricordi e cianfrusaglie mentali che non recano né riposo né silenzio!
Eppure oggi è venerdì. Dovrei fare il punto della settimana. Dovrei scrivere qualcosa di sensato per quei pochi cari lettori che si stancano la vista a leggere le mie pazze elaborazioni letterarie. Già. Da dove prendere spunto? Dalle notizie di cronaca riportate dai quotidiani o dalle ultime affascinanti diatribe della politica? Dalle incursioni su face-book dell’ultima associazione sovversiva che inneggia alla eliminazione fisica di un crazy horse del governo? Dalle incresciose e ossessionanti violenze perpetrate ai danni di minorenni da parte di ragazzini sciagurati che non hanno tanta intelligenza da capire qual è il modo più interessante per passare il tempo? O ancora dalla vergognosa vicenda campana? No, prego. Fate un po’ di silenzio. Spengo la televisione e chiudo i giornali. Silenzio, voglio un po’ di sacrosanta solitudine ed evasione da questa realtà così bistrattata. Cosa? Chi si chiude gli occhi e le orecchie è fuori dal mondo? Eh già, come se chi rimane invece con l’attenzione vigile dinanzi alle immagini e alle parole d’attualità possa definirsi un eroe moderno. No. Silenzio ci vuole. Bisogna, a volte, anche depurarsi l’udito e la vista, così tanto da poter riuscire ad esplorarsi dentro e a scoprire quanto faccia rumore la propria anima.
Ssst… non c’è nessuno in casa, adagiatevi sulle piume dei vostri pensieri più reconditi e aprite la finestretta sulla memoria del tempo…