La vita è esperienza, cioè improvvisazione, utilizzazione delle occasioni; la vita è tentativo in tutti i sensi. Donde il fatto, a un tempo imponente e assai spesso misconosciuto, delle mostruosità che la vita ammette
Georges Canguilhem



domenica 29 marzo 2009

Invito alla visione di Fortapàsc
Non è il solito film centrato su tematiche mafiose, dalla trama narrativa scontata ed appesantita da futili ricami romanzeschi o volto alla mitizzazione indiretta della figura maledetta del criminale, sulla falsariga di robaccia come “Il capo dei capi”. Si tratta della storia nuda e cruda di un ventiseienne, apparentemente normale, che si chiamava Giancarlo Siani, e che aveva un contratto da precario, dipendente “abusivo”, presso la redazione del Mattino di Fortapàsc, una Torre Annunziata soffocata dalle lotte di potere che opponevano i clan camorristici Nuvoletta, Gionta e Bardellino, nella prima metà degli anni’80. Dobbiamo riferirci a Giancarlo con l’imperfetto. Ha pagato il prezzo della verità, scaturita da inchieste giornalistiche impeccabili, da “giornalista-giornalista”, piuttosto che da innocuo “giornalista-dipendente”, cronista di frontiera che si occupi esclusivamente si scippi, rapine, incidenti stradali, morti bianche. Viviamo sullo schermo le giornate di un ragazzo autentico che, comunque, non emergeva affatto per qualità straordinarie. Avrebbe voluto tanto partecipare al concerto napoletano di Vasco Rossi; pochi istanti prima di essere martirizzato, rientrando a casa con la sua inseparabile Mehari, ascoltava alla radio, canticchiando nervosamente, Ogni volta che viene giorno. L’eccezionalità di Giancarlo è da ricondurre, piuttosto, alla straordinaria tenacia con cui ha saputo essere se stesso, amare, disprezzare, ridere, temere in un Far West, dove la “legge” è riflesso dell’esercizio bruto della forza, dove la comunità è asservita alla buffoneria di gorilla analfabeti, segnati esclusivamente dalla capacità di maneggio del “ferro”.
Tre scene straordinarie lasciano il segno.
Durante uno scontro a fuoco fra i rappresentanti delle diverse cosche, nel cuore della città, nelle prime ore del pomeriggio, rese oziose dall’afa soffocante, seguiamo la passeggiata di una bambina, passo spensierato che diviene corsa disperata, poi pugni battuti contro il portale della chiesa barocca. La Casa di Dio è serrata. La bambina si accascia al suolo, punta da un proiettile. Ho inteso la figurazione della scena come una proiezione metaforica del disimpegno della Chiesa cattolica contro mafie, padrini devoti di Padre Pio e criminali pendolanti croci abnormi. Mai una parola spesa. La Curia è troppo presa dalla valutazione teologica dell’uso dei preservativi, del decorso naturale della vita, delle cellule staminali, per opporsi alla barbarie contagiante intere lande meridionali. Il coraggio della denuncia è affidato esclusivamente alla santa intrapredenza di pochi illustri sacerdoti, come l’eroico don Puglisi.
In seguito alla strage di piazza, nel contesto della quale la bambina resta ferita, il sindaco ha indetto un comizio pubblico per starnazzare la tesi secondo cui un'oscura minoranza non può oscurare la dignità di una comunità sana. Parole di un mafioso. Si elevano fischi di dusgusto dal cuore della città, un temporale impone il silenzio. Pioggia celeste che si converte in fango.
La discussione del dibattimento nel consiglio comunale a maggioranza DC-PSI, animato dalle urla disperatamente inutili degli oppositori berlingueriani, viene magistralmente sovrapposta da Risi ad un vertice congiunto dei tre clan di Torre. Metafora dei processi di criminalizzazione della politica e politicizzazione della mafia, ancora attivi, in Campania, Calabria e soprattutto Sicilia.
I tempi non sono semplici. Abbiamo bisogno di leggerezza. Ben vengano, pertanto, commedie come I mostri. Oggi. In ogni modo, proprio perché i tempi sono difficili, un film come Fortapàsc può svolgere un’eccellente funzione civica ed educatrice.
La sala era piena, soprattutto di coetanei di Giancarlo Siani. Si tratta di una straordinaria notizia.

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